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Clara arrivò in cima, attraverso la scala di pietra, fino all’oscuro portellone di legno. Era chiuso. Era il pozzo che stava sulla vetta. Cominciò a colpirlo.

«Come lo apro?! Come faccio?!». Poi guardò giù, in profondità, e vide luccicare due occhi. Erano quelli di Max.

«Ce la puoi fare», le sorrise. «Hai il gene D21S11. Sei una “superdonna”».

«No, no, no…». Clara continuava a battere più forte. «Io sono solo una pazza, ricordi?».

Il legno scricchiolò, aprendosi verso l’alto. La luce bianca del giorno la colpì negli occhi, come un coltello. Cominciò a salire. Da fuori, il giornalista Omar Chavarría la tirò per un braccio in modo che raggiungesse l’elicottero; Max León e John Apostole salirono dietro di lei.

«Venite, venite! C’è qui l’elicottero!», e uscì alla luce del giorno verso il gigantesco Mil Mi-26, alto quattro piani e pesante quaranta tonnellate, dell’ambasciatore Moses Gate.

Clara sentì alle sue spalle i passi rapidi passi di Max León e John Apostole.

«Prendeteli vivi! Legatela!», gridavano da ogni parte i soldati americani. Saltavano dietro le rocce e gridavano.

«Acchiappa il deforme! Sei la vergogna di mio padre!».

Clara sentì una frustata sulla schiena. Chiuse gli occhi. Un fulmine squarciò il cielo.

Max León la prese per l’altra mano.

«Non aver paura. Non sei più Akhenaton. Ora ci sono io a prendermi cura di te».

«Yah-Mes? Mosè…?»

«Stavolta sarà diverso». La spinse avanti. «Stavolta il serpente non ci sconfiggerà».

A quel punto i tre videro nel cielo un’esplosione colossale, circondata da anelli di fuoco, nella regione stellare di Orione: una potente esplosione di luce colorata, avvenuta molto lontano dall’atmosfera terrestre.

«Non abbiate paura!», li rassicurò Omar Chavarría. «È la stella Betelgeuse! Costellazione di Orione! È venti volte più pesante del Sole! Gli astronomi ne aspettano l’esplosione, la conversione in supernova, da quattordici mesi. La radiazione impiegherà due anni per raggiungere la Terra». Continuava a correre verso l’elicottero. «Nei prossimi tre anni brillerà più di tutte le stelle della galassia. È questo il segnale nel cielo».

Dall’interfono dell’aeromobile, il generale Tomás Ángeles, ex sottosegretario alla Difesa del Messico, ordinò il decollo.

«Decollare! Gli eserciti di sette Paesi li proteggeranno».

«Un momento», si fermò Max. «Non è stato qui, su questa vetta, che Akhenaton vide Dio la prima volta? Non è questa la “montagna” in cui avvenne il contatto? Su questa rupe? Non è questo il vero monte Sinai?».

Tutti rimasero in silenzio. Le pale dell’elicottero continuavano a girare.

Nel silenzio più assoluto, Clara si fermò. Lentamente osservò le rocce. Gocce di pioggia del passato le cadevano sul viso. Si fece buio. Il cielo si oscurò di nuvole nere e verdastre, a causa dell’antica eruzione del vulcano Pago, nella remota isola di Nuova Guinea. Percepì il fragore del lampo nella sua stessa carne.

Si rivide, tremilatrecento anni prima, a sette anni, mentre si arrampicava su quelle stesse rocce.

«Yah-Mes! Difendimi da mio fratello!».

«Mio Dio…». Riaprì gli occhi. «Sono io… Io sono Akhenaton…?». Si guardò le mani.

Con i calzari egizi avanzava tra le rocce.

«C’è uno sfasamento nel portale temporale…».

Un raggio di luce la avvolse. Cominciò a cadere all’indietro, sul bagnato. Il suo muscoloso fratello la tirava per il collo.

«She-Dejer! Keh-her! Muori, maledetto deforme! Muori, bastardo!». Sulla nuca, Clara sentì le punte di bronzo del flagello NekHakha di Totmes, che le strappava la carne dal cranio. Chiuse gli occhi.

Sentì il proprio sangue bagnarle il collo esile. Continuò a salire sulle rocce umide, scivolando all’indietro. Poi, da sopra, apparve una mano.

«Pe-Keh-Er! Vieni! Per di qua!», e quella mano la tirò verso l’alto fino in cima. Era il suo amico Yah-Mes, di otto anni. Entrambi corsero giù per le pietre scivolose, verso il punto di luce sopra la roccia superiore della cima. Era una luce blu, rotante, fatta di scariche elettriche.

«Oddio, e questo cos’è?!».

Lentamente, Clara riaprì gli occhi e si mise a camminare verso le radiazioni.

«Yah-Mes…? Che cos’è…?».

I due si avvicinarono, insieme, in silenzio. Il giovane Yah-Mes la prese per mano.

«Non temere. Ora sarà sempre in te. Io sono qui per proteggerti. Mi ha mandato a prendermi cura di te».

La radiazione iniziò a frammentarsi, a espandersi in tutte le direzioni, come filamenti di luce, come vibrazioni spaziotemporali, composte da milioni di ondulazioni di colori che si sparavano l’un l’altra verso le stelle, le pietre, come curve, integrandovisi; come spirali, come archi ellittici, come torrenti di fuoco verso le stelle.

«Mio Dio…». Clara aprì gli occhi e si rivolse a Max León, «Sto vedendo Dio…?!».

Si fermò, in mezzo agli uomini del generale Tomás Ángeles e dell’uomo d’affari Emilio España, che li avevano presi a bordo. Tutti si fermarono, formando un cerchio di protezione intorno a Clara.

«Cosa vedi?»

«Non lo so… penso di vedere l’ultrastruttura». Sollevò la mano. Perfino sulla sua pelle comparvero dei colori, come vibrazioni di fuoco, trasparenti: strati su strati di energia, frustate di plasma. Si aprì in un sorriso. «Questa dev’essere l’infrastruttura».

Alla sua sinistra, il soccorritore Yohannan Díaz Vargas, giornalista di «Expediente Punto Cero», la prese per un braccio.

«Vieni qui», disse. «L’elicottero ci porterà al laboratorio VERIGEN, sul monte Damavand. Sono i migliori al mondo nella decodifica delle lingue antiche».

«Non aver paura. Tutto ricomincia adesso».

Il terzo uomo, Alexander Cruz Sánchez, della Fondazione Caballeros Águila, sparò un razzo in aria che girò su sé stesso in cielo ed esplose dall’altra parte della stella luminosa Betelgeuse.

«Lavoro per la televisione», disse Yohannan Díaz Vargas, rivolgendosi a Clara. «Abbiamo studiato l’origine della Bibbia. Sapevi che la dea cinese Xihuang Mu custodiva un albero di “pesche sacre”, in un “paradiso” chiamato Kunlun, e che una scimmia venne a rubarli, come nella storia di Adamo ed Eva?».

Clara sgranò gli occhi.

«Un paradiso…?». In lontananza udì crepitare le mitragliatrici dei soldati del presidente degli Stati Uniti. L’elicottero si alzò in volo.

«Prendeteli! Non fateli andar via con il rotolo!».

«Ci danno la caccia. Vorranno fermarci; come quando Ercole si avvicinò all’albero delle mele d’oro nel giardino delle Esperidi, per prenderne una».

«Sì, conosco la storia», commentò allisciandosi i capelli dorati.

«Ehi! È la mia donna! Lasciale la mano!», intimò Max León al giornalista.

«Via col gas nervino!», gridarono i soldati dal basso. «Sparate il gas nervino!».

«Il problema», proseguì Yohannan Díaz, «è che la Cina non ha mai avuto contatti culturali con la Giudea, con Babilonia, con l’Assiria o con la Grecia. Come è possibile che anche nella loro mitologia ci sia un albero di frutti proibiti? Di contro: dall’altra parte del pianeta, in Irlanda, i mitici eroi Brian, Iuchar e Icharba furono inviati in un “paradiso” chiamato Hisbernia, per rubare le mele sacre. Perché questo mito appare ovunque? La stessa storia si ripete ancora e ancora nel mondo, in civiltà che non si sono mai incontrate. In Scandinavia, il gigante vichingo Thjazi volava verso un “paradiso” chiamato Idunn per rubare le mele della giovinezza, sempre d’oro. Perché sempre questo stesso albero di frutti proibiti?».

Clara fece tanto d’occhi. Era ancora avvolta nell’aura luminosa. Di sopra, le pale giravano. Il giornalista le disse ancora: «Il mito dell’albero dei frutti proibiti, custodito da un “drago” o “serpente”, non è nato in Cina, in Irlanda, in Scandinavia o in Mesopotamia. Sorge nel subconscio. È nel nostro cervello. Fa parte della nostra programmazione neurologica e genetica: è un “mitema”, un “archetipo”. È nei nostri geni.

Gena Eden-Clara Vanthi era esterrefatta.

«Un archetipo…?»

«Esistono nella nostra memoria biologica», spiegò Yohannan, «in noi in quanto specie, in quello che Carl Jung, allievo di Freud, chiamava “inconscio collettivo”. Sono come gli istinti: li ereditiamo dai nostri antenati. Ci siamo nati. Il serpente, l’albero, i frutti proibiti… Sono creati dal nostro cervello. Appaiono nei nostri sogni, nelle storie dei bambini, in antiche leggende di tutte le nazioni. I bambini li hanno già senza che nessuno glieli abbia insegnati. Sono il nostro “sistema operativo” cerebrale. Fanno parte del sistema di sopravvivenza con cui siamo nati. Sono tutti quegli istinti e immagini mitologiche che ereditiamo dai nostri antenati».

«Porco cane, che cosa stai dicendo? Che l’Eden è nella nostra testa?»

«Ti chiederò di ricordare», le strinse delicatamente il polso. «Chiudi gli occhi. Primo: un giardino in un Eden. Secondo: un drago cosmico, che minaccia tutta l’umanità e il mondo e che tu devi distruggere, per salvarci tutti. Terzo: l’esistenza di un regno profondo, un “mondo sotterraneo”, un “inferno”. Quarto: l’incontro con un essere superiore o sovrannaturale nella foresta o nella notte del deserto o tra rupi come questa. Quinto: l’esistenza di un mondo antecedente a quello attuale, distrutto da una catastrofe, come Atlantide. Sesto: la convinzione che anche questo mondo finirà per via di una catastrofe cosmica e che ne sorgerà un altro o molti altri universi. Settimo: un grande salvatore che muore per noi e risorge come un dio protettivo, come Quetzalcóatl o Gesù. Ottavo: un giovane disprezzato o orfano che affronta l’oppressore e diventa re. Nono: una coppia siderale formata dalla migliore figlia femmina del re assassinato e dal guerriero perseguitato che ora la salva; trionfano, si uniscono e ora sono i re del futuro, i genitori di una nuova umanità. Decimo: ominidi esistenti in un tempo lontano; nani, folletti e giganti, echi di animali realmente esistiti: il Neanderthal, il Gigantopitecus alto tre metri e il Parantropus, nostri compagni umanoidi del passato, ormai estinti, ma esistiti davvero e che noi evochiamo come “titani” e “nefilim”, e “troll” a seconda del nostro memoriale genetico».

Clara sentì un brivido alla schiena.

«Questi sono gli archetipi…?»

«Tutti nasciamo con questi miti: sono il nostro materiale genetico», le spiegò il giornalista. «Sono nelle fiabe, nei cartoni animati, nelle canzoni; sono i modelli di sopravvivenza che abbiamo come specie: gli eroi, i pericoli, ecco perché ci appaiono come incubi. Grazie a questi modelli di gesti istintivi si proietta ciò che si può fare quando ci si trova nei guai. Tutti questi eroi ed eroine, però, sono te stessa. Tu sei l’Eden. Sei Dilmun. Sei la fonte. La Fonte .

«Diamine…». Clara continuava ad avanzare tra le pietre. «Quindi… Cos’è Dio? È nella nostra mente?»

«La mela o il frutto proibito sull’albero di Xihuang Mu o nel giardino delle Esperidi di Ercole, o nella Genesi della Bibbia, è il simbolo genetico dell’impossibile, di ciò che vogliamo e di ciò che vogliamo raggiungere, di ciò che sogniamo e ci è proibito. È la “sfida”, il “sogno”, il “frutto del desiderio” con cui ci si confronta nella vita. Trovare un nuovo lavoro, diventare una rockstar, cambiare il mondo, baciare la persona che ami, rendere orgogliosi i tuoi genitori. Il mito del frutto proibito dice che puoi fare l’impossibile, che puoi prendere ciò che ti è proibito. Nei tuoi neuroni è codificato questo eroe mitologico che affronta un giardino ostile in cui tutto lo ostacola, per impedirgli di raggiungere il proprio obiettivo: rovi spinosi, buio, la minaccia di un castigo, e subito ha paura. Il timore reverenziale lo può paralizzare, distruggere. Per molti, è questo il momento del sogno in cui ci si sveglia. È tutto nel cervello. Quell’eroe archetipico sei tu. Nel giardino precodificato del tuo cervello ci sono l’albero e anche l’entità maligna che vuole bloccarti. E sei sempre tu, il tuo stesso cervello. È il serpente dell’albero, il drago Lotan, il Fafnir della grotta di Sigfrido, il mostro Iluyanka degli Ittiti, l’Isimud dei Sumeri, il dragone Vritra dell’Indian, il Dahhak persiano, il mostro Kali con cui si scontra Kalki nel Kali Yuga. Sei tu stessa».

«Mio Dio…».

«Sei tanto il drago che temi quanto l’eroe che lo sconfigge, eppure devi batterlo».

Clara lo guardava a occhi spalancati. Yohannan proseguì: «Siamo tutti Teseo, Indra, Marduk, Sigfrido, Davide, Huitzilopochtli. È tutto dentro di noi. Siamo tutti questo stesso eroe interiore universale che può conquistare ogni cosa. È nel tuo programma genetico». I potenti motori LOTAREV D-136 ruggirono nello spazio. «Ogni individuo, in ogni epoca del mondo, aveva in sé questo programma per sopravvivere, per diventare il re, il liberatore della sua specie, ma in pochi risvegliano questi geni istintivi. Sono nel tuo cromosoma 21, nel tuo gene D21S11. Puoi attivarli con il pensiero attraverso i tuoi neurotrasmettitori. Devi fare la regressione adesso. Torna al giardino di Dilmun, dentro di te, e affronta il serpente».

Clara gonfiò il petto. Sentì il calore del deserto, il fumo caldo dell’elicottero Mi-26.

«Che cos’è Dio? Penso di averlo appena visto».

Il giornalista le sorrise.

«Anche il luogo in cui vedere Dio è nel cervello, nella circonvoluzione paraippocampale. Puoi accedere anche a quella con il pensiero».

«Dio esiste?».

L’uomo rimase in silenzio qualche secondo, poi le prese delicatamente la mano per spronarla a fare il collegamento.

«Gli scienziati esplorano Dio da novant’anni. Lo sapevi che l’attrazione tra un protone e un elettrone sarebbe potuta essere del dieci milioni per cento più grande di quanto è, e quindi gli elettroni si sarebbero fusi con i protoni invece di girar loro intorno? E che non ci sarebbero mai stati atomi, né molecole, né la vita come la conosciamo? Sai che poteva accadere anche il contrario? Se questa attrazione fosse stata minore del dieci milioni per cento, elettroni e protoni non si sarebbero mai neanche uniti a formare gli atomi. Il cosmo oggi sarebbe un plasma nero, diffuso, senza pianeti né vita. La combinazione esatta di leggi per cui l’universo sarebbe stato abitato da qualcuno va da uno a settanta trilioni».

Clara lo guardò negli occhi.

«E questo cosa significa?»

«Che qualcuno ha progettato l’universo, Gena Eden», rispose il giornalista, «affinché esistessimo noi. Gli scienziati stanno studiando le sei proporzioni di costruzione dell’universo, i sei “numeri di fuoco”. Numeri cosmici che definiscono tutto: il coefficiente Omega, la costante gravitazionale G, il bilanciamento elettro gravitazionale N, l’integratore nucleare epsilon, il compressore stellare Q, il generatore di spazio D. Tutto ciò è stato studiato da Martin Rees, Alan Guth, Fred Hoyle, Paul Davies, Steven Weinberg e dallo stesso Albert Einstein. Se una di queste sei proporzioni fosse stata anche solo leggermente diversa, non esisterebbe un universo abitabile. Non esisterebbe la vita. Qualcuno ha progettato tutto questo, Gena Eden».

«Dio…». Clara socchiuse gli occhi. Si portò delicatamente la mano sul ventre. Ricordò la luce che aveva visto su quelle stesse pietre tremilatrecento anni prima. In quel momento, in qualche modo, quella luce era dentro di lei.

L’elicottero, con le sue eliche di sedici metri in movimento, attraversò l’aria densa. Sei uomini tesero la mano a Clara.

«Benvenuta a bordo», sorrisero.

Clara guardò giù dal finestrino.

«Aspettate. Voglio che torniamo a prendere Max».

«Max ci raggiungerà con l’altro elicottero, il Mi-8 AMTSh. Ci incontreremo con lui e John sul vulcano Damavand, al VERIGEN».

Rivolgendo a Clara un dolce sorriso, l’imponente gentiluomo Manuel Jiménez Guzmán, ex gran maestro della Grande Loggia della valle del Messico e gran commendatore sovrano del Supremo Consiglio massonico del Messico, dichiarò: «L’ONU sarà solo l’inizio. Siamo qui per prenderci cura di te. Abbiamo qui un vaso del 40 d.C., sigillato a Patmos. Al suo interno c’è il documento Q. È il primo vangelo di Cristo. Anch’esso verrà tradotto dal VERIGEN, insieme alla Fonte J».

Sulla maglietta bianca e attillata di Clara, ormai sudicia e strappata ai lati, era ancora visibile a tutti la scritta: FONTE J / NO ALLO STERMINIO.

Clara sorrise. L’uomo riprese: «Sarai proprio tu a presentare la nuova Bibbia alle Nazioni Unite. Questi reperti archeologici costringeranno i capi religiosi a modificare i testi della Bibbia attuale e del Corano. Non ci saranno più stermini, niente più guerre, niente più odio. Le religioni del mondo cambieranno e con esse la struttura stessa del potere nel mondo. Chi ha avuto il potere cadrà. Sorgerà una nuova struttura».

Clara guardò dal finestrino. Alla sua destra vide brillare la nuova stella Betelgeuse, con trenta gradi di separazione dal Sole, come un secondo sole, con l’energia di dieci trilioni di trilioni di trilioni di luce. Ne sentì il calore sul viso.

«Il segno nel cielo…», e tornò ad accarezzarsi la pancia morbida. Ricordò l’immagine di Gesù che dal Cielo tornava nel mondo, sull’affresco della Cappella Sistina. «Verrai da noi ora?», sorrise tra sé e sé.

Di sotto, Max León sparava ai soldati del presidente degli Stati Uniti.

«Non mi fermerete, coglioni! Io non sono Adamo! Non mi dà alcun fastidio quel figlio di puttana di serpente! Sono come Ercole, o meglio ancora, come Huitzilopochtli!». E guardò l’elicottero su cui si trovava Clara. La vide allontanarsi in direzione di quella nuova stella che brillava.

«Voglio andare con lei. Voglio andare con lei!». Una pallottola gli passò accanto all’orecchio.

La bellissima Serpentia Lotan lo prese per un braccio.

«Devi prima venire con me», disse spingendolo verso l’elicottero Mi-8 Terminator, nero e squadrato come un orribile rospo di dieci tonnellate. «Mi chiamo Lilith», sorrise. «Sono la tua prima moglie».

Max scosse la testa.

«No, no, no!». Ma poi ricordò il suo complesso passato, in cui era stato molti personaggi precedenti, alcuni addirittura risalenti alla preistoria. Sentiva inoltre, con certezza, che ancora doveva esserne molte migliaia nel futuro, tanti quanti le bolle di una bibita gassata che risalgono incolonnate in superficie.

«Sto percependo l’ultrastruttura…», mormorò chiudendo gli occhi. Sentì la mano di Serpia Lotan nella sua. Dalla pelle di lei gli si trasmisero trilioni di torrenti elettronici: i campi invisibili di Albert Einstein, la fabbrica dello spazio e della materia. E insieme si diressero verso il cuore misterioso dell’Asia: in Iran, sui monti Elbruz, al vulcano Damavand.

Il tempo è un cerchio. Torneremo in nuovi corpi e in nuovi tempi. Il fenomeno si chiama ricorrenza del tempo o metempsicosi. Questa non è la fine, ma il principio.

Talete di Mileto / Pitagora di Samo

L’appuntamento ora era sulla montagna dove tutto era iniziato, il vulcano Damavand, in Iran.

L’enigma dell’ultima profezia
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