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«Ma chi fu Mosè?», chiese Max León all’ambasciatore Moses Gate. «Un faraone?».
Dal soffitto intanto piovevano pietre.
Max León, senza smettere di guardare in su, si ritrasse, in modo da spingere Moses Gate contro la mappa, al riparo.
«Che gran figlio di puttana!», imprecò verso l’alto John Apostole, girando in direzione del soffitto il piccolo fermaglio dorato della fibbia della cintura. «Sono qui per ucciderti, miserabile terrorista! Ti ammazzo, maledetto capo dell’operazione Gladio!».
Max non riuscì a capire se John stava parlando al presidente degli Stati Uniti, al reverendo Lotan o a un’altra persona, perché non arrivava a vedere ciò che vedeva John.
Da sopra, una voce di giovane donna gridò: «Max! Proteggi l’ambasciatore Gate! Non lasciare che lo uccidano! Sono venuti per assassinarlo, Gate è il Documento J!».
Anche le pareti laterali cominciarono a crollare e dalle crepe entrava acqua scura e pestilenziale.
«Quando si dice una situazione complessa», mormorò Max León tra sé e sé, e intanto faceva scudo con il suo corpo all’ambasciatore come aveva tentato di fare fin dall’isola di Patmos. «Davvero non c’è uscita?»
«Già ti ho detto qual è. Non è da sopra, né da sotto, né laterale. È al centro».
«Parla chiaro». Guardò avanti. «Non vedi che siamo nei guai?».
John Apostole continuava nel frattempo a puntare il fermaglio dorato verso l’alto.
«Ti ammazzo, miserabile!».
Dal soffitto, attraverso la crepa, saltarono giù gridando i soldati di Abaddon Lotan, armati di revolver SIG Sauer.
«Giù, miserabili! Buttatevi nel fango!».
Ai lati le pareti crollarono e mucchi di fango vennero spinti dentro dalla pressione. Moses Gate osservò i bocchettoni scuotendo il capo.
«Siamo sul fondo dello scarico di Tyropoeon. Inonderà tutto in pochi secondi. Abbiamo solo pochi istanti». Guardò in su. «Non mi farò sconfiggere, non mi tireranno su».
Dalla spaccatura cominciarono a calarsi lungo corde nere anche soldati statunitensi con le mute scure.
«On your knees, guys. Be smart…», sbraitavano. Da sopra Max León riuscì anche a sentire abbaiare Abaddon Lotan.
«Ti annienterò, Moses Gate! Il messicano è un uomo di Gate! Prendetelo! Lavorava per l’ambasciatore Valdés!».
Max udì anche le grida delle due donne, Clara Vanthi e Serpia Lotan che litigavano, picchiandosi e urlandosi contro.
«Oddio…». Guardò in su. Di nuovo osservò John Apostole che continuava a gridare minacce puntando il suo fermaglio dorato.
All’improvviso risuonò un ronzio al di là del soffitto. Era un suono elettronico, vibrante. Un megafono da cui uscì una voce.
«È il presidente degli Stati Uniti che vi parla. Sono arrivato da Washington, è stato un viaggio alquanto scomodo e non ho voglia di perdere tempo. Domani ho una conferenza stampa e ordino che mi venga consegnato quel maledetto rotolo archeologico. Subito, non domani».
Calò un profondo silenzio.
In basso, Max León guardò verso l’alto e deglutì.
«Perché vuole questo rotolo?», gli gridò in risposta.
Il presidente si rivolse ad Abaddon Lotan.
«Chi diavolo è questo che mi interpella?»
«È il messicano», sorrise Lotan, fissando il pavimento di piastrelle. Tra le colonne di fuoco, il presidente scosse il capo e si portò il megafono alle labbra.
«Ascoltami, miserabile nativo. Sei come l’Africa e Haiti: un maledetto buco di culo. Ti do cinque minuti per consegnarmi quel rotolo archeologico, altrimenti sarà il tuo buco di culo a riempirsi di gas ed essere ancora più pieno di merda di così, hai capito?».
Max León dal basso gridò per tutta risposta: «La sa una cosa, signor presidente? Ho una malformazione genetica all’udito e di conseguenza non sento le cazzate».
Il presidente sgranò gli occhi e tornò a parlare ad Abaddon Lotan.
«Chi si crede di essere questo miserabile? E tu permetti che mi parli così?». Riprese il megafono. «Rispondi, maledetto nativo, delinquente non civilizzato, ti ho dato un ordine. Obbedisci! Sono il presidente degli Stati Uniti, dammi quel maledetto rotolo!».
«No!», gridò Max León. «Lei ha un problema psicologico che la fa sentire inferiore agli altri. Si sente un bambino e per questo deve far finta di essere grande, come tutti gli psicopatici. Da oggi non poi non ci sarà un nuovo Nabucodonosor!». E così dicendo, colpì con violenza la mappa dell’Egitto nel punto in cui diceva AKHET-ATON, CITTÀ DI DIO.
Il mosaico iniziò a frantumarsi, alcuni tasselli caddero a terra. Max tirò l’ambasciatore Gate nel buio, spingendolo nel buco nero verso il torrente. Ingoiando acqua gli gridò: «Benvenuto allo scarico di Tyropoeon!».
Accanto a lui, John Apostole gridò verso l’alto con il fermaglio dorato in mano.
«Ti ucciderò, figlio di puttana! Ho già ucciso il tuo Doppelgänger a Efeso. Io sono il vero John Apostole», e lanciò il fermaglio in direzione di Abaddon Lotan.
L’oggetto volteggiò nell’aria brillando nel buio. Era “oro fulminante”, carbonato di oro, un composto alchemico medievale. Esplosivo.