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Tremilatrecentocinquanta anni dopo, a bordo del pesante Terminator, Clara Vanthi strinse le mani a Max León.
«Mio caro Max», esordì, guardando fuori dal finestrino, «voglio dirti una cosa molto importante». Lo fissò dritto negli occhi. «Ci fu un uomo, prima di Nabucodonosor di Babilonia, molto tempo prima, un suo antenato che tutti chiamano Azi-Dahhak».
Max sgranò gli occhi.
«Azi-Dahhak…». Anche Max si girò verso il finestrino da cui si vedeva la penisola del Sinai. «Sì, l’ho sentito nominare spesso. Non era il drago persiano che viveva nel vulcano a nord dell’Iran, un mostro a tre teste poi “cristianizzato” nell’Apocalisse?»
«Sì». Gli strinse il polso. «Dahhak fu il fondatore della tribù it-yakin. Fu un uomo reale, una persona. È l’“antico re drago dell’Iran”. Prese in sposa Malingal, principessa nera di Babilonia, figlia di Burnaburiash che fu re di Babilonia all’epoca di Akhenaton. È la dinastia da cui discende Nabucodonosor».
«Porco diavolo, è tutto così… grottesco».
«Ascolta, Max, è sempre stata la stessa guerra. È tutto collegato. Sono sempre gli stessi attori. Siamo noi. Tutto si ripete, è un ciclo di Poincaré», affermò con un sorriso.
Max osservò il verde degli occhi di Clara Vanthi, illuminati dalla luce che filtrava dal finestrino, e sorrise a sua volta.
“Ti amo, chiunque tu sia, anche se sei pazza”.
«Stai quindi dicendo che questo Azi-Dahhak visse ai tempi del faraone che cerchiamo come Mosè?»
«Non solo vissero nella stessa epoca. Fu lui ad assassinarlo. E da lì cominciò la deformazione della Bibbia e del passato».
«Porca miseria e chi era questo Azi-Dahhak? Compare nei registri storici?».
Due metri più in là, nella cabina di pilotaggio, il giornalista messicano Omar Chavarría, con le grandi cuffie sulle orecchie, si avvicinò al microfono di controllo.
«Chiedo l’autorizzazione per lasciare la regione di informazione di volo FIR LLLL Tel Aviv ed entrare nella zona FIR Cairo HECC. Altitudine trenta metri. Ci troviamo in una situazione militare delicata». Si girò verso i dodici elicotteri CH-47 Chinook da quindici tonnellate ognuno. «Ho dodici velivoli che mi seguono: unità di combattimento statunitensi che mi stanno attaccando. Richiedo appoggio militare dall’aeronautica egiziana affinché protegga il diritto di navigazione e l’equipaggio. È una missione ONU».
A due miglia aeree di distanza, nell’elicottero CH-47 Chinook 01, detto anche Marine One, del presidente degli Stati Uniti, il copilota Trevor Robert parlava al proprio microfono:
«Base Cairo, richiedo passaggio in zona aerea HECC e uscita dai radar».
Più indietro, nella stanzetta degli ospiti, percependo la vibrazione dei motori sulle gambe, il predicatore Abaddon Lotan afferrò la figlia per gli avambracci con violenza.
«Non mi rovinerai i rapporti con il presidente, maledetta strega. Sei Lilith?»
«No, papà». Gli si inginocchiò davanti.
«Sei Lilith?», gridò di nuovo Lotan.
«No, papà!», ripeté lei slacciandogli la cintura. Il reverendo le bloccò le mani, girandosi a guardare le due porte e le due videocamere sul soffitto. «Alzati, lurida maledetta. Non avrei mai dovuto generarti».
«Papà, non sono il diavolo! Ti do la mia parola! Non sono qui per tentarti, non ho mai rapito quei bambini!».
Lotan l’afferrò per i capelli.
«Ti perdono se fai una cosa per me».
«Tutto quello che vuoi, papà». Scoppiò a piangere contro le sue gambe. «Sono qui solo per adorarti e obbedirti! Dimmi cosa vuoi che faccia!».
«Difendi la tua stirpe. Siamo alla fine della guerra. La tua stirpe è bit-yakin. Lo capisci?». Indicò fuori dal finestrino l’elicottero Terminator, un paio di miglia aeree più avanti. «La donna che è lì dentro è una traditrice. È tua nemica. Lavora per quelli che mi odiano. È il gene D21S11». Riportò gli occhi sulla bellissima figlia, accarezzandole la guancia. «Vai da questa donna. Tu sei la figlia di Babilonia, lei la figlia dell’Egitto. Distruggila, Lilith. Usa la tua forza».