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Trecento metri a ovest verso il mar Mediterraneo, nella struttura sotterranea di acciaio denominata Dilmun-1, tra le luci al neon a terra, il canuto e temibile dottor Noè Robinson, con sei guardie al seguito, abbatté la porta di metallo ed entrò nel cubicolo di Isaac Vomisa e Moshe Trasekt.
«Mettetegli in testa quelle maledette buste!», gridò ai propri soldati. «Iniettate il triazolam!».
Quando il fumo pian piano si diradò, tuttavia, il direttore dell’archivio Dilmun si trovò davanti solo due sedie, la console, i computer, le tastiere. Inclinò il capo, interdetto.
«Maledetti bastardi…». Sulla parete notò un piccolo dispositivo collegato alle telecamere e connesso agli alimentatori video: un cellulare. «Figli di puttana! Setacciate tutto il complesso!».
Sopra di loro, nell’angusto condotto dell’aria condizionata, l’esile Moshe Trasekt avanzava gattonando. Piangeva, le gambe graffiate dai bulloni.
«Che mi stai facendo, maledetto figlio di puttana! Ero una persona normale!», disse all’amico Isaac Vomisa. «Dove stiamo andando?!».
«Ti sto portando alla verità».
«Ma io non voglio! Non voglio! La mia vita era normale fino a tre ore fa!».
«La tua vita non era normale! Non lo è mai stata! Hai vissuto in una maledetta bugia! Ora fai parte delle tante persone che hanno indagato sul segreto della Bibbia!».