Capitolo settantuno

 

 

 

 

 

Carcere di Wakefield, oggi

 

Rose entrò nella sala delle visite e sorrise a Gareth, avvicinandosi al tavolo.

«Ecco la mia principessa», la accolse lui raggiante. «Wow, guardati! Ti sei fatta bella per me?».

Era stata da una parrucchiera a Mansfield quella mattina stessa per fare taglio, messa in piega e colpi di luce ramati. Indossava una camicetta nuova, dal taglio lungo, color smeraldo e si era messa il mascara e un velo di rossetto scuro; a essere precisi, era lo stesso che le aveva regalato Cassie tanti anni prima.

«Ho fatto un piccolo sforzo perché oggi è un giorno speciale». Gli sorrise.

«Brava la mia ragazza. Allora, hai la ricevuta?». Gareth guardò l’ora. «Il mio avvocato dovrebbe arrivare tra poco e ha riservato una stanza nell’edificio principale per raccogliere la tua deposizione».

«Sì», confermò lei. «Ho la ricevuta qui con me».

Rose osservò Gareth con occhi diversi. Di fronte a lei non c’era l’assassino di Billy. Le aveva detto la verità.

«Grazie, Rose», rispose lui, lo sguardo luminoso. «Per aver creduto in me. Giuro che non ho mai fatto del male a Billy. Lo prendevo in giro qualche volta, ma gli volevo bene come fosse mio fratello, lo sai».

Rose lo scrutò.

«Qualcosa non va, principessa?»

«Devo chiederti un’ultima cosa, Gareth, e ho bisogno che tu mi dica la verità. Sei stato tu ad aggredire Cassie?»

«No!», esclamò lui, deglutendo a stento. «Non sono stato io, Rose. Ero sconvolto quando ho saputo che quella povera ragazza si era tolta la vita, davvero».

«Non l’hai violentata e non ti sei sfilato il passamontagna subito dopo e le hai sorriso? Minacciandola che, se avesse detto una sola parola, avresti rovinato me e la mia famiglia?»

«No!». Il viso gli diventò paonazzo. «No! Chiunque ti abbia raccontato una cosa simile è un bugiardo, Rose. Un bugiardo, credimi».

«Ti mostro la ricevuta», gli disse, prendendo la borsa.

«Puoi darla al mio avvocato», rispose lui, rilassando un poco le spalle.

«Voglio che tu lo veda, Gareth, il tuo biglietto per la libertà».

«Come sei dolce, dài, allora». Gareth sfoderò un gran sorriso. «L’avvocato dice che se gestiamo bene la cosa e dimostriamo che la polizia ha insabbiato le prove, potrei uscire nel giro di qualche settimana, forse anche prima».

Rose estrasse la piccola busta dalla borsa, la stessa che aveva prelevato dall’agenda della madre, conservata in soffitta.

«Rose…». Gareth la osservò aprire la busta, gli occhi scintillanti di trepidazione. «Gettiamoci alle spalle tutto questo orrore. Ricominciamo da capo. Cosa ne dici?».

Rose aprì la busta e un centinaio di frammenti neri di carta incenerita piovvero sul tavolo.

Gareth spalancò la bocca e la fissò terrorizzato.

«Questa era la ricevuta che negherò di aver mai posseduto. L’ho bruciata quando ho scoperto che sei stato tu a violentare, e di conseguenza a uccidere, la mia migliore amica», spiegò Rose compiaciuta. «Vedi, Gareth, io ho già ricominciato da capo. Ma senza di te».

Lui mosse le labbra senza articolare alcun suono.

Rose scoppiò a ridere. «Per quello che vale, adesso so che non sei stato tu a uccidere Billy, ma hai fatto del male a Cassie. Sarà il nostro piccolo segreto, Gareth. Non lo condividerò con nessuno e non ti aiuterò a tornare in libertà. Rimarrai rinchiuso qui dentro fino alla fine dei tuoi giorni».

«Tu… razza di puttana! Stai commettendo un terribile errore. Oddio, ma cosa hai fatto?».

Gareth balzò in piedi e si scagliò verso di lei, ma Rose era preparata. Indietreggiò di scatto, sfuggendogli per un soffio. Le donne e i bambini intorno a loro si misero a urlare e nel giro di pochi secondi accorse una guardia.

«Quella puttana ha distrutto…».

La guardia lo agguantò e Rose si scostò alla svelta, mentre altri due poliziotti accerchiavano Gareth. In preda all’ira, lui sollevò una sedia e la sbatté sulla testa di uno dei due. Rose strizzò gli occhi alla vista di un rivolo di sangue che scendeva dall’occhio della guardia.

La poliziotta con i capelli corti le corse incontro.

«Stai bene, cara? Che diavolo è successo?»

«Ha perso la testa», spiegò Rose con espressione allibita. «Ha iniziato a blaterare che voleva uscire di qui per ricominciare insieme. Sta scontando l’ergastolo per aver ucciso mio fratello! Quando gli ho detto che era solo un povero illuso, è impazzito».

Altre guardie erano accorse a sgombrare la stanza delle visite. Le due donne si diressero verso la porta.

«A fine mese mi ritiro dal lavoro», le riferì la poliziotta sottovoce. «Perciò voglio dirti una cosa che ti sarei grata se tenessi per te. Farnham ha appeso alla parete della cella una fotografia gigante di voi due; quando gliel’ho chiesto, mi ha detto che eri sua moglie. Ti ho riconosciuta alla prima visita».

Rose la guardò.

«Sembri una ragazza perbene e assennata. Se fossi in te starei lontana da lui, tesoro. Gli daranno almeno altri cinque anni, oltre all’ergastolo, per aver aggredito il poliziotto Renshaw oggi».

«Grazie». Rose annuì. «Non tornerò. Ho promesso a mio padre molto tempo fa che non avrei avuto più niente a che fare con Gareth Farnham e stavolta intendo mantenere la promessa».

«Mi rincuora sentirtelo dire. Ti auguro un futuro felice».

«Grazie, non vedo l’ora». Rose sorrise. «Ho una vita intera che mi aspetta».

Per la prima volta in vita sua, si rese conto che era proprio così.

Non fidarti di lui
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