Capitolo ventidue

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Il venerdì, Gareth passò a prenderla direttamente a casa.

Sembrava fosse suo padre ad avere un appuntamento, pensò Rose, vedendolo camminare avanti e indietro senza sosta e guardare fuori dalla finestra ogni due minuti.

«Rose, è arrivato!», la chiamò Ray eccitato, scostando la tendina di pizzo con la mano.

Quando lei scorse l’automobile di Gareth, le si irrigidirono le spalle e il collo.

Ray gli fece un cenno con la mano e parve felice che lui ricambiasse. «Divertiti, tesoro», disse alla figlia mentre usciva.

Rose non poté evitare di notare la differenza rispetto al terzo grado che aveva subìto la prima volta che era uscita con Gareth.

«Bellissima come sempre», l’accolse Gareth trionfante, appena lei si accomodò sul sedile del passeggero. Avviò la macchina. «Suppongo sia meglio partire subito. Non possiamo certo starcene qui con tuo padre che ci guarda. Potrei non riuscire a tenere le mani a posto».

Rose era sicura che scherzasse, perché non si era messa neanche un filo di trucco, aveva legato i capelli in una coda di cavallo e indossato il solito noioso abbinamento jeans e maglietta. Il padre aveva preso quell’uscita talmente a cuore che tutto doveva apparire normale.

«Non dimenticare, Rose. Se ti capita l’occasione, raccontagli della mia esperienza manageriale in miniera», l’aveva istruita. «Non voglio che pensi che ero solo un cavallo da traino».

“Manageriale” le era sembrato un tantino esagerato, ma Rose aveva sorriso per rassicurarlo. In fondo, dopo la visita di Gareth, Ray non l’aveva più presa a male parole.

All’imbocco della strada, lui indicò l’incrocio dove l’aveva aspettata la prima volta e accostò.

Si protese verso di lei e le schioccò un bacio sulla guancia.

«Ehi, perché quel muso lungo?». Le afferrò il mento tra le dita per voltarle il viso verso di sé.

«Mi sento solo un po’ sotto pressione», ammise lei con un filo di voce.

«Ah, perché disegnare con i tuoi bei pastelli al college significa essere sotto pressione?»

Rose lo scrutò in viso, cercando di capire se fosse serio, e lui sfoderò un gigantesco sorriso. «Sto scherzando, Rose. Sei così tesa. Cosa c’è che non va, bellezza?».

Rose provò imbarazzo per quel complimento che trovava ridicolo. «Ti presenti a casa mia così… è stato… be’, è stata proprio una sorpresa».

«Ha funzionato, però, no? Eccoti qua, e con la benedizione di tuo padre per di più. Chiamami pure genio!».

«Avrei preferito che mi dicessi cosa avevi in mente», obiettò lei con un sussurro. «Così non sarebbe stato uno shock».

«L’ho deciso su due piedi», replicò Gareth, facendo spallucce. «Non credevo fosse un problema per te, che io conoscessi la tua famiglia».

«Non intendo quello», si affrettò a dire Rose, vedendolo deluso. «È che… mi sarebbe piaciuto averlo saputo prima e… e…».

«E?»

«Non voglio che papà si illuda se…».

«Se cosa?»

«Se tu lo hai coinvolto nel progetto solo per ingraziartelo, insomma».

«Per chi mi hai preso, Rose?». Gareth abbassò lo sguardo sulle mani. «Non riesco a credere che tu mi ritenga capace di architettare uno stratagemma del genere tanto per ridere».

«Scusa, non volevo che te la prendessi. Ma papà è un uomo diverso da quando sei venuto a trovarci». Gareth sembrava molto offeso per quelle parole poco ponderate. Rose proseguì balbettando, sforzandosi di salvare la situazione. «Ve… vedi, la chiusura della miniera gli ha portato via tutto; per anni è stato come se gli avessero scavato una voragine dentro. Invece, nel brevissimo tempo che hai trascorso con lui, gli hai ridato la speranza».

Il viso di Gareth si incupì sotto i suoi occhi. «Allora di cosa mi stai accusando, se lui è felice?»

«Non ti sto affatto accusando, Gareth. Mi chiedo solo se è la verità. Che papà potrà lavorare al progetto, intendo».

«Sì, è la verità. Contenta?», tagliò corto lui. «Mi spiace che tu abbia un’opinione così bassa di me, Rose. Sono stato onesto con tuo padre dicendogli che all’inizio si tratterà solo di un impiego su base volontaria. Non potevo essere più chiaro di così, no?»

«Hai ragione, mi dispiace», si scusò lei di nuovo.

«È un gran peccato che tu abbia una pessima considerazione di me e tuo padre. Sembra che in cuor tuo tu abbia deciso che sia un caso disperato».

«Non è vero», obiettò Rose ferita. «Non è colpa sua se qui non ci sono opportunità, né tantomeno se la miniera ha chiuso».

Gareth guardò l’orologio con aria accigliata.

«Se pensi che io sia un uomo senza scrupoli, forse non dovremmo perdere tempo con il giro dell’abbazia», affermò in tono brusco. «E forse in fin dei conti è stata una pessima idea coinvolgere tuo padre nel progetto, se ritieni che voglia solo illuderlo».

Un fiume di immagini si riversò nella mente di Rose. L’entusiasmo distrutto del padre, l’espressione incredula di Cassie e il ritorno improvviso e sgradito alla solita vita piatta e noiosa.

«No!», si affrettò a protestare. «Scusa, ignora quello che ho detto. Non intendevo offenderti, davvero, io…».

Gareth le posò un dito sulle labbra e lei si zittì.

«Perdonata», disse con dolcezza. «Ricominciamo da capo, vuoi?»

«Sì», sospirò Rose sollevata. «Mi spiace tanto, Gareth».

«Dimentichiamo tutto», propose lui con sguardo profondo. «Poi ti farai perdonare».

Rose avvertì una sferzata di panico, poi lo vide ridere e capì che la stava prendendo di nuovo in giro. Gli sorrise. Era proprio un burlone.

«Spero non ti dispiaccia, ma ti ho preso questo». Gareth aprì il vano portaoggetti e ne estrasse un telefonino color argento e un caricabatterie. «Pronto per l’uso. So che parlare al telefono di casa ti mette a disagio. Ora potrai farlo dalla tua camera in tutta privacy».

«Oh! Ma sei sicuro? Sarà costato un occhio».

«Certo che sono sicuro. Niente è troppo per la mia ragazza».

Rose glielo strappò dalle mani, gli occhi scintillanti. «Grazie!».

«Mi fa stare più tranquillo sapere che puoi sempre metterti in contatto con me». Si sporse e la baciò sulla guancia. «Se ne hai bisogno, si intende».

Una sensazione di calore le pervase il petto. Cassie sarebbe diventata verde di invidia.

Rose arrossì. «È un bel pensiero da parte tua».

«Ma c’è dell’altro». Gareth allungò la mano verso il sedile posteriore. «Prima di ripartire, volevo darti questo. Scusa se non l’ho incartato».

Le porse un libro abbastanza malconcio, ricoperto di un tessuto verde oliva, con una scritta sbiadita a caratteri dorati sulla copertina. Rose osservò meglio per decifrare le parole.

«È un libro di poesie di Byron», spiegò lui.

«Oh, grazie», sussurrò Rose, aprendo le pagine ingiallite e inspirando il piacevole odore stantio di un autentico libro antico. «È splendido».

«C’è anche la nostra poesia, guarda». Le prese il libro dalle mani e lo sfogliò, tenendolo bene aperto.

«Eccola».

Rose vide che aveva segnato un paio di correzioni a matita, in modo che il verso recitasse LA MIA ROSE GERMOGLIERÀ.

«La mia Rose», lesse Gareth, mentre lei seguiva le parole in silenzio. «Non permetterò che tu sia divelta da nessuno».

Non fidarti di lui
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