Capitolo sedici
Rose
Oggi
Di venerdì la biblioteca apre solo il pomeriggio, dalle due alle sei, perciò decido di sfruttare la mattinata per continuare le mie pulizie a sorpresa da Ronnie.
Ieri sera, nonostante la stanchezza, sono stata felice di dare una mano lavorando a casa sua fino a tardi prima di rientrare.
Spesso le mie serate vuote si dilatano, ecco perché tendo ad andare a letto presto quasi tutti i giorni, se non ho niente da guardare alla televisione. È incredibile quanto girino lente le lancette dell’orologio, se non hai nessuno con cui discorrere della giornata o dei problemi del mondo davanti a un bicchiere di vino.
Ormai dovrei esserci abituata, suppongo. Eppure è stato un bel diversivo veder volare le ore come ieri sera.
Ho dato da mangiare a Tina, la gatta di Ronnie, poi ho iniziato dalla cucina, strofinando a fondo i ripiani e le ante degli armadietti. Ho ponderato se svuotarli e pulirli anche all’interno, ma temevo di varcare il limite. Non volevo far pensare a Ronnie che ero stata troppo invadente in sua assenza.
Oltretutto, mi è bastata un’occhiata sbrigativa per capire che alcuni armadietti erano stipati fino all’orlo con ogni sorta di oggetti strampalati – gomitoli di lana, confezioni ancora intatte di mollette per il bucato o del necessario per il cucito – che dovevano essere rimasti lì, congelati nel tempo, in seguito alla morte di Sheila cinque anni fa.
Dopo aver pulito e strofinato tutta la cucina, ho passato lo straccio sul pavimento, chiudendomi la porta alle spalle per lasciarlo asciugare.
Poi ho preso l’aspirapolvere dal mobile del sottoscala nel piccolo ingresso e mi sono trasferita in salotto.
Una volta spolverato, sprimacciato i cuscini e finalmente aspirato il tappeto sfilacciato e rappezzato, ho deciso che oggi avrei rimosso le pesanti tende di velluto per spalancare le finestre. Una bella arieggiata alla casa avrebbe senz’altro giovato.
Perciò, stamattina, è ora di finire il lavoro.
Esco in giardino e inspiro l’aria mattutina, umida e terrosa. Non è poi così male qui: ho ricordi felici di quando ci giocavo da piccola.
Come i vari compleanni festeggiati in famiglia, a base di hamburger e bibite, con gli adulti seduti sulle scomode sdraio a righe dalla struttura in metallo che papà aveva stipato sul nostro praticello fangoso.
Era il periodo in cui lavorava ancora alla miniera e faceva sempre un sacco di straordinari. Anche dopo la chiusura, gli era rimasta la sensazione che prima o poi la ruota avrebbe ripreso a girare.
Al pari delle generazioni precedenti, papà dava per scontato che il suo futuro fosse già pianificato: lavorare per il National Coal Board – o NCB, come veniva abbreviato – prima di ritirarsi con una bella pensione comoda. Guadagnata onestamente fino all’ultimo penny, sgobbando per decine di migliaia di ore in un ambiente sporco e surriscaldato, a quasi mille metri sottoterra, sul fronte di abbattimento.
Alla mamma piaceva stare in giardino. A partire dalla primavera, riempiva le bordure di fiori colorati e curava il prato con il suo piccolo tosaerba elettrico. Era un’anima creativa, e niente la rendeva più felice che curare il giardino o cucinare.
Io invece riesco a malapena a tenere il cortile ordinato in questi giorni, ma non ho né il pollice verde della mamma né la sua creatività.
Varco il cancello che porta al giardino di Ronnie e lì è tutta un’altra storia. Il cortile sul retro è ricoperto di cemento. Ricordo di averglielo visto fare con le sue stesse mani qualche anno fa.
«Il prato è troppo impegnativo», aveva brontolato rivolto a papà, da una parte all’altra della siepe. «Meglio godersi la vita che spezzarsi la schiena in giardino, dico bene, Ray?».
Avevano riso e papà si era detto d’accordo, salvo poi storcere il naso verso la mamma, dopo che Ronnie era rientrato.
«Razza di pelandrone», si era lagnato. «Quanto mai ci vorrà a tenere ordinato un fazzoletto di terra, eh?»
«Non ci vorrà molto per te, ma di certo impegna un bel po’ del mio tempo», aveva precisato la mamma.
Ora il cemento del cortile di Ronnie è sporco e dal centro si irradiano profonde crepe, come strade dismesse su una piantina non aggiornata.
Entro in casa e provo soddisfazione nel constatare che, dopo le grandi pulizie di ieri, la cucina ha un’aria fresca e ordinata come non la vedevo da anni.
Apro la piccola finestra accanto al forno, poi estraggo il tappeto striato dalla lavatrice avviata ieri sera e lo stendo sul filo della biancheria appena fuori dalla porta sul retro. Oggi c’è una brezza frizzante, perciò non impiegherà molto ad asciugarsi.
In salotto, spalanco le tende il più possibile e apro le due finestre in alto.
Valuto che forse potrei suggerire a Ronnie di sostituire i pesanti drappeggi di velluto con delle graziose tende più corte e leggere.
Sarei felice di accompagnarlo per negozi a scegliere nuovi tessuti d’arredo, ma ho la vaga sensazione che lui non vorrà cambiare… Troppi ricordi di Sheila si conservano ancora tra le pieghe e la polvere.
Ferma ai piedi delle scale, alzo lo sguardo verso il piano superiore, la borsa dei detersivi stretta tra le mani, e noto che anche lassù serve una bella passata d’aspirapolvere.
Non mi ero mai chiesta come facesse il mio vicino a tenere in ordine la casa. Come gran parte delle coppie dell’età di Ronnie e Sheila, i due avevano mantenuto i rispettivi ruoli tradizionali per quasi tutta la durata del matrimonio e lei era una casalinga formidabile, che si riempiva d’orgoglio nel tenere la casa sempre lustra e in perfetto ordine.
Dopo la morte della moglie, Ronnie si sarà visto strappare dal suo ambiente sicuro e, impegnato a lottare contro il proprio dolore, ha lasciato che tutto il resto gli scivolasse sopra.
Salgo al primo piano, e rimando a più tardi la pulizia delle scale. Sono quasi a metà rampa, quando mi si bloccano i piedi al pensiero della richiesta di Ronnie.
«Non andare di sopra», erano state le sue ultime parole, prima che lo portassero via in barella.
Credo di sapere perché lo abbia detto. Quasi certamente è perché quassù la casa è in condizioni pessime e lui si vergognava all’idea che la vedessi. Figuriamoci se Ronnie non si preoccupa di quello che la gente possa dire di lui, anziché pensare solo a guarire.
Certo, non vorrei ignorare in modo spudorato la sua richiesta esplicita, ma è davvero indispensabile dare una rinfrescata al bagno prima che lui ritorni. L’odore terrificante di ieri era la prova lampante che si fosse sentito male proprio lì, subito prima che io lo trovassi. Anche se il pensiero mi fa rivoltare lo stomaco, come minimo devo disinfettare il gabinetto e passare lo straccio sul pavimento.
Per fortuna la finestrella del bagno è rimasta spalancata tutta la notte e l’aria all’interno non è pesante come me l’aspettavo.
Verso nel water una dose generosa di candeggina e la lascio agire per un po’, poi pulisco anche il lavandino e la vasca da bagno.
Mi si stringe il cuore nel vedere ammassata in un angolo una serie di boccette di prodotti femminili.
Un altro ricordo di Sheila dal quale il povero Ronnie non sembra ancora pronto a separarsi.