Capitolo tre

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

In un primo momento, Rose non si era nemmeno accorta che qualcuno la stesse guardando.

Appesantita dall’enorme cartelletta nera del portfolio di arte, la borsa a tracolla e la valigetta voluminosa per l’occorrente da disegno, cercava di destreggiarsi con il carico, spostandolo da una mano all’altra, e per poco non cadde dalla pensilina dell’autobus.

La fermata si trovava in Hucknall Road, che delimitava i margini di Newstead e conduceva alla A611 per Nottingham. Il paese sorgeva da un lato della strada e dall’altro si estendeva il bosco, creando una curiosa fusione tra gli aguzzi spigoli d’acciaio di un’industria morente e la soffice foschia verde della natura.

Rose sospirò quando i suoi piedi toccarono terra. Dopo un’intera giornata al college, durante il viaggio le era calata addosso la consueta e familiare rassegnazione.

Succedeva tutti i giorni. Più l’autobus si avvicinava a casa, più il cuore di Rose diventava pesante, un blocco sospeso al centro del petto.

Non era sempre stato così. L’atmosfera in casa era peggiorata di netto negli ultimi mesi. Mamma e papà si gridavano contro, dicendosi cose orribili per infliggersi a vicenda più dolore possibile.

Ma Rose aveva notato nuovi, sgradevoli sviluppi. Quando si stancavano di insultarsi, avevano preso il vizio di attaccare lei. Le rinfacciavano tutto ciò che aveva di sbagliato, tutti gli errori che aveva commesso e di essere una costante delusione.

Giorno dopo giorno, Rose si chiedeva per quanto sarebbe stata in grado di sopportarlo ancora.

Avrebbe compiuto diciotto anni a giugno e ormai mancavano solo un paio di mesi. Se davvero lo avesse voluto, avrebbe potuto lasciare il paese e ricominciare altrove, lontano da lì. Nessuno poteva impedirglielo.

Fantasticare le dava forza e conforto, senza riflettere su come avrebbe fatto a mantenersi. Sapeva anche che non avrebbe mai potuto lasciare Billy. Perciò il suo piano non era attuabile, eppure… quel pensiero la aiutava a tenere a distanza la situazione domestica che si aggravava sempre più.

Rose notò le piccole pozzanghere rivelatrici sul marciapiede dissestato e intuì che era piovuto abbastanza forte. Non aveva badato al tempo nel calduccio della classe, assorta nella sua arte.

Ma ora ricominciava a piovere e, mentre cercava di distribuire il carico in maniera più gestibile, Rose percepì l’odore di terra vecchia e umida e di foglie nuove e fresche; non era la prima volta che rifletteva su quanto fosse strano avere il bosco così vicino alla strada.

Aveva appena ritrovato l’equilibrio sulle comode suole basse, quando l’autobus richiuse le porte pneumatiche con un soffio e proseguì rombando lungo la via. Rose perse la presa e la valigetta stracolma le scivolò dalle dita, riversando sull’asfalto i preziosi pastelli.

«Pare proprio che ti serva una mano», disse una voce alle sue spalle. «Ti aiuto a portare qualcosa?».

Rose si voltò e vide un uomo che la osservava con aria divertita. La prima cosa che notò fu che sembrava un bel po’ più grande di lei, forse vicino alla trentina. Emerse dal folto degli alberi con indosso una giacca di tela cerata verde che riluceva di gocce d’acqua e i capelli bagnati, appiccicati alle guance e alla fronte.

Rose alzò lo sguardo verso il cielo ma piovigginava appena, non al punto da inzuppare una persona in quel modo.

«Lo so, sono bagnato fradicio». L’uomo le rivolse un sorriso attraente, nonostante i denti fossero un po’ irregolari. «Mi sono arrampicato sugli alberi e strofinato sulle foglie. Sai, per fotografare». Sollevò una macchina fotografica dall’aria costosa.

Rose notò che era calato un gran silenzio da quando l’autobus era ripartito. Non si vedeva nessuno in giro. Le nuvole cariche di pioggia si erano incupite e si domandò quanto sarebbe passato prima che le cateratte del cielo si aprissero.

Posò la cartelletta a terra e cominciò a raccogliere i pastelli sparsi, pregando che nessuno fosse finito nelle pozzanghere. I suoi genitori non potevano permettersi di comprarne altri e sarebbe stato un nuovo pretesto per sgridarla.

L’uomo continuava a fissarla. Lei si sentì avvampare, malgrado l’aria frizzante.

«Allora, non mi rispondi?»

«Come, scusi?». Rose infilò l’ultimo pastello nella valigetta e afferrò l’ingombrante cartelletta con la mano destra.

«Ti aiuto a portare qualcosa?»

«Oh, sì». Con le guance arrossate, gli porse il voluminoso portfolio. «Grazie».

Per quanto fosse innegabile che lo sconosciuto la intrigasse, Rose desiderò che sparisse per la sua strada e la lasciasse in pace. Sapeva bene di avere l’aria della perfetta idiota. Guance paonazze in tinta con i capelli rossicci. Che disastro.

«Mi chiamo Gareth Farnham», si presentò l’uomo. «Ti porgerei la mano ma mi hai caricato come un mulo».

Si era offerto lui, pensò Rose e lo guardò chiedendosi se ribattere qualcosa in propria difesa, ma l’altro le sorrise. Lei ricambiò appena e abbassò lo sguardo a terra.

«Fai strada, io ti seguo», suggerì l’uomo allegro.

Attraversarono la via e puntarono verso il paese. Le sembrava strano, camminare accanto a un uomo. Era molto più alto e robusto di lei e Rose si rese conto che la sensazione non le dispiaceva.

L’avrebbe accompagnata fino a casa? Si era solo offerto di darle una mano, dopotutto. Non implicava che lei gli piacesse… giusto?

In ogni caso, lui era troppo grande perché si potesse pensare una cosa del genere.

Se li avesse visti insieme, a sua madre sarebbe venuto un colpo e Rose non voleva neanche immaginare cosa avrebbe detto il padre. Considerato l’umore che lui aveva ultimamente, avrebbe anche potuto strozzarla.

Tuttavia, Gareth era piuttosto attraente. E molto maturo rispetto ai compagni del college di Rose che si comportavano ancora come dodicenni.

Sentendolo tossicchiare, Rose si accorse che le aveva chiesto qualcosa.

«Mi scusi, io…».

«Dicevo che puoi darmi del tu, ma non ti sei presentata». Gareth si fermò. «Sembri distratta… preoccupata per i compiti? Magari ti posso aiutare anche con quelli».

Le ammiccò sorridendo e lei avvertì una vampata di calore alla nuca.

«Scusa, io mi chiamo Rose», rispose lei e si guardò indietro, arrestando anche i propri passi.

L’uomo aveva la testa piegata di lato e la fronte corrugata come se cercasse di ricordare qualcosa, poi prese a recitare, con tono risonante e drammatico.

«Ahimè, divelta nel fiore di tua bellezza, / su di te non peserà la tomba grave, / ma sulla tua zolla le rose germoglieranno foglie, / le prime dell’annata».

La guardò raggiante e attese.

«Una poesia?». Rose sentì il rossore sul proprio viso aumentare di dieci volte.

«Di Lord Byron, la cui residenza, come saprai, sorge poco lontano dal paese». Gareth sorrise. «Come si chiama?»

«Abbazia di Newstead».

«Esatto, l’abbazia di Newstead. Vedi, volevo fare colpo recitando una poesia che contiene il tuo nome, Rose. Ho un’ottima memoria, mai avuto problemi con gli esami».

«Hai fatto colpo». Rose non poté evitare di sorridere. Si sentiva ancora a disagio ma in fondo poteva sforzarsi di fare conversazione. «Non… non ti ho mai visto in paese prima d’ora».

«Non avresti potuto, mi sono trasferito solo un paio di giorni fa», spiegò lui. «Ho preso in affitto uno dei nuovi appartamenti di Lacey Grove; ho ancora scatoloni dappertutto, purtroppo. Mi occuperò del nuovo progetto di rinascita. Ne hai sentito parlare?»

«Mi pare di sì», annuì Rose. «Realizzeranno un parco e un laghetto per la pesca dove un tempo sorgeva la miniera?»

«Esatto». Gareth sembrò compiaciuto che lei sapesse del progetto. «L’hai semplificato un po’, ma in realtà è un programma di altissimo livello».

«Oh», esclamò Rose.

«Mettiamola così, ho dovuto scambiare due parole con i piani alti del governo per avviare la cosa». Gareth si interruppe e la guardò in trepida attesa. Poiché lei non commentava, riprese a parlare. «Aspetta e vedrai, porterà una ventata d’aria nuova».

Proseguirono verso il paese, lasciandosi alle spalle la vegetazione gocciolante.

«Sembra un gran bel progetto», osservò Rose, seppur in cuor suo trovasse crudele la pesca. Tuttavia, prometteva bene che finalmente piovessero finanziamenti sul paese colpito dalla disgrazia.

Il programma di riqualificazione del governo era un inizio positivo, ma perfino Rose era in grado di capire che ci sarebbero voluti ben altro che uno spiazzo d’erba e una pozza d’acqua per trasformare il suo paese, diventato una cittadina fantasma dopo la chiusura della miniera nel 1987.

Non fidarti di lui
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