Capitolo dodici

Rose

Oggi

 

Il giorno dopo il collasso di Ronnie, arrivo al lavoro un po’ prima del dovuto.

L’ingresso riservato ai dipendenti è aperto, ma mi rincuora non vedere traccia di Jim. Gli voglio un gran bene ed è proprio di compagnia, ma non sempre capisce quando è ora di finirla con le chiacchiere e lasciarmi lavorare in pace.

La sua risata tonante e l’acceso umorismo Geordie basterebbero a far morire di vergogna qualsiasi bibliotecario; dopotutto, è rinomato il nostro amore per i bisbigli appena sussurrati.

La biblioteca non aprirà al pubblico per altri cinquanta minuti, così mi preparo un caffè e mi metto comoda sulle poltrone dell’angolo lettura per spulciare un voluminoso fascio di documenti. Ho continuato a rinviarne la consultazione perché non mi sembra altro che una montagna di chiacchiere ufficiali da parte delle autorità locali, nelle quali elencano le loro ragioni per la chiusura di quindici biblioteche nella contea di Nottingham.

Una lettera di accompagnamento annuncia la visita dei funzionari presso ciascuna struttura per visionare la sede e incontrare di persona i bibliotecari. Annoto sull’agenda la data della visita a Newstead e proseguo.

Un brivido mi sale lungo la spina dorsale al pensiero di cosa accadrà se perderò il lavoro. Mi sento al sicuro qui: conosco il posto e quasi tutte le persone che frequentano la biblioteca con regolarità. Sono diventate la mia famiglia.

Sarei costretta a cercare un altro lavoro.

Ho dei risparmi da parte, ma ammontano a poco più di due mesi di stipendio. Il pensiero di ricominciare da capo altrove… magari costretta a trasferirmi in un altro posto… mi opprime il petto come se i polmoni stessero per esplodere.

Non posso permettermi di rimuginare oltre. Non sono ancora abbastanza forte da considerare un cambiamento di vita così radicale mentre ancora lotto per sopravvivere giorno dopo giorno.

«Buongiorno, Rose», saluta Jim alle mie spalle, facendomi sobbalzare. «Non volevo spaventarti. Come sta Ronnie?».

In paese si era sparsa la voce dei suoi problemi di salute. Dopo appena pochi minuti da quando l’ambulanza aveva condotto Ronnie in ospedale, si era radunato un capannello di vicini preoccupati, ansiosi di dargli una mano in qualsiasi modo.

«Buongiorno a te, Jim». Faccio un bel respiro per riprendermi e mi volto. «Ho chiamato l’ospedale appena sveglia e mi hanno detto che ha trascorso una notte abbastanza irrequieta, ma ora sta meglio. Vado a trovarlo nel pomeriggio».

«Gli porteresti i miei auguri e quelli di Janice, cara? E fammi un fischio se il giardino ha bisogno di una sistemata o di qualche altro lavoretto. Non esistono più persone come Ronnie, questo è sicuro». Il sorriso di Jim si spegne in un’espressione triste. «Ha fatto tutto quello che poteva per il nostro Joe, non lo dimenticherò mai. Ha provato a resuscitarlo proprio lì davanti alla miniera, in mezzo alla folla che sbraitava. Ha un cuor di leone, il nostro Ronnie Turner».

Conoscevamo tutti la storia. Joe, il fratello gemello di Jim, apparteneva a un gruppetto di minatori che nel 1984 avevano scelto di non scioperare. Regolarmente additati come “crumiri” dai colleghi che protestavano, diventarono oggetto di calunnie e intimidazioni da parte della gente locale.

Una mattina, quando l’autobus del National Coal Board che trasportava i minatori operativi superò la massa di scioperanti rabbiosi e senza un soldo in tasca, il blocco della polizia non resse. Mentre i lavoratori scendevano dall’autobus, la folla insorse contro di loro lanciando oggetti.

Un pezzo di mattone volante colpì Joe Greaves alla nuca. L’uomo non riprese più conoscenza e il colpevole non fu mai identificato.

Avvennero numerosi incidenti simili, testimonianza di quegli anni turbolenti, come rimasero noti a livello locale, ma quasi nessuno dall’epilogo altrettanto tragico. Tuttavia, la mancanza di giustizia in seguito alla morte di Joe alimentò il malcontento e la sfiducia della comunità, che hanno continuato a covare sotto la superficie fino a oggi.

«Dirò a Ronnie che hai chiesto di lui, Joe», lo rassicuro alzandomi in piedi. «Ora puoi aprire la porta principale, per favore. Ci sarà l’assalto, presumo, con tutti quei deliziosi libri nuovi, in attesa di essere presi in prestito».

«Ah, avresti dovuto vedere la faccia della mia Janice quando le ho portato a casa il libro, ieri sera. Ci ha affondato subito il naso». Jim assume una finta espressione seria. «Guarda, mi sono perfino dovuto preparare la cena da solo».

Sorrido e mi dirigo alla mia postazione mentre lui apre le porte. Come previsto, c’è già una manciata di persone in fila, in gran parte avvisata ieri dai miei messaggi.

Ma le prime domande non riguardano i tanto attesi libri.

«Come sta il povero Ronnie?». La signora Brewster protende verso di me la mole imponente e si appoggia al bancone per riprendere fiato. «Non ho fatto che pensare a lui da quando ho saputo».

La signorina Carter la segue a ruota e io riferisco a entrambe ciò che ho appreso quella mattina per telefono dall’infermiera.

«Avevo intenzione di organizzare una piccola colletta per il signor Turner», propone timidamente la signorina Carter. L’anziana, magra come un chiodo e con i capelli grigi raccolti in uno chignon, mi scruta attraverso le lenti da professoressa. «Se non è troppo presuntuoso da parte mia».

«La trovo una splendida idea», rispondo con un sorriso, sperando non abbia ulteriori quesiti sulle mie abitudini alimentari. «Ronnie ne sarà commosso, ne sono certa».

Non fidarti di lui
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