Capitolo sessantuno

Rose

Oggi

 

Una settimana dopo, imbocco la M1 e la percorro dall’uscita numero 27 alla numero 40.

Sembra banale ma, per calmare il cuore che martella e rinfrescare le guance in fiamme, devo parlare con me stessa a voce alta per tutto il tempo. Non è solo una reazione al fatto che non guido in autostrada da anni, ma anche a ciò che mi attende alla fine del viaggio.

Preferisco non pensare allo stress e alla tensione che mi hanno travolta da quando ho ricevuto per posta il permesso di visita. Sono rimasta sdraiata in camera per ore a fissare il soffitto con occhi vitrei. Quando sono scesa, sono passata da Ronnie, poi mi sono messa a scrivere un’altra lettera per Gareth Farnham. Era identica alla prima, con un’aggiunta:

 

Non mi è possibile venire di persona. Attendo risposta via lettera.

 

Tre giorni dopo ho ricevuto un altro permesso di visita.

Ero così furiosa da volerlo ignorare, ma altrettanto disperata da intraprendere il viaggio per andare a parlare con lui. Dopo svariate notti insonni e un giorno di malattia dal lavoro, alla fine ha vinto la disperazione.

Mi fermo alla stazione di servizio Woodall, tra l’uscita 29 e la 30, e abbasso il finestrino anche se piove, per far circolare l’aria nella mia Ford Fiesta vecchia di dieci anni. Ho parcheggiato accanto a una fila di alberi all’apparenza desolati, ma avverto la presenza di un merlo da qualche parte. Sento il suo canto, un trillo profondo e così nitido che pare posato sulla mia spalla.

Magari avessi anche la mente così nitida. Starò facendo la cosa giusta? Faccio un respiro profondo a denti stretti e rilascio l’aria.

A essere sincera, non so se ci sia una cosa giusta da fare.

Appoggio il gomito sul bordo del finestrino aperto e lascio penzolare il braccio all’esterno, mentre una brezza leggera mi solletica le dita.

Se non fossi stata insieme a Billy, quel giorno all’abbazia, forse avrei trovato una spiegazione logica per la presenza della copertina a casa di Ronnie e mi sarei tolta quel pensiero dalla testa.

Ma non sarei riuscita a scacciarlo del tutto, come avrei potuto?

Anche perché io c’ero quel giorno all’abbazia e so che Billy aveva la copertina con sé.

Tutti adorano Ronnie e, se mai ne avessi dubitato, le tante manifestazioni di affetto e apprensione dopo la sua breve malattia lo hanno dimostrato a dovere.

Nel corso degli anni lui ha aiutato così tante persone che, se solo osassi suggerire il contrario, verrei subito additata come la strega cattiva.

Vengo distratta dai miei pensieri da una famiglia – genitori e due bambini piccoli – in procinto di infilarsi nella macchina parcheggiata accanto alla mia. Fratello e sorella chiacchierano eccitati e i genitori, nonostante l’aria sfinita, hanno modi rilassati e confortanti che non posso fare a meno di invidiare.

Un genitore da una parte e uno dall’altra, assicurano i due figli sui seggiolini posteriori e il padre sorride scuotendo il capo alla vista del portapacchi stipato di vestiti, giocattoli e valigie.

Anche mamma e papà si impegnavano affinché trascorressimo una vacanza tutti insieme, una volta all’anno. Di solito era una settimana al mare; molto spesso a Whitby o Morecambe. Ma l’anno che siamo stati a St Ives in un piccolo cottage mi è rimasto impresso nella mente.

La luce sfavillante, l’azzurro del mare e del cielo, il verso dei gabbiani quando ci svegliavamo al mattino e quando tornavamo dopo una giornata torrida sulla spiaggia.

Inauguravamo ogni mattina con una colazione sostanziosa, di quelle speciali che papà riservava alle domeniche a casa. Poi la mamma preparava il cesto del picnic, che consumavano sullo sfondo delle onde e con il sole che ci batteva sulle spalle.

La ciliegina sulla torta erano i gelati e le merende, e le cene giù al porto, a base di fish and chips divorati direttamente dai vassoi.

Avevamo stretto amicizia con la famiglia della casa accanto. La figlia, Bethany, era di un solo anno più piccola di me. Andavamo spesso insieme al negozio all’angolo, quando le nostre rispettive famiglie finivano il pane o il latte, oppure altre provviste essenziali.

Il proprietario del negozio, di cui non ricordo il nome, ci aveva prese in simpatia e ci dava consigli sui migliori locali per i giovani e noi ogni tanto lo aiutavamo a riportare dentro la lavagna con la lista dei sandwich, compito da sbrigare prima della chiusura, alle sei del pomeriggio.

Poi un giorno, poco prima che tornassimo a casa, la polizia fece visita al nostro cottage. L’aveva mandata il proprietario del negozio, che sospettava me e Bethany di aver rubato da sotto la cassa una sacca di stoffa contenente diversi assegni e circa cento sterline in contanti.

Fu orribile. Le nostre mamme scoppiarono in lacrime, i due papà si scambiarono sguardi diffidenti, come se ognuno dei due sospettasse della figlia dell’altro. Il giorno seguente scoprimmo che per il furto era stato arrestato un ragazzo del posto; lo aveva ripetuto in diversi negozi lungo la costa.

Tuttavia non ho mai dimenticato la sensazione di essere accusati, i tentativi vani e disperati di dimostrare la propria innocenza e la consapevolezza che più ti arrabbi e più ti credono colpevole.

Per anni mi sono chiesta se mamma e papà avevano dubitato di me, prima di scoprire che la polizia aveva stanato il colpevole.

Non voglio prendermi la responsabilità di far provare a Ronnie la stessa cosa, se è innocente. Lo stimo troppo.

Vado ai servizi e uscendo mi prendo un cappuccino. Devo berlo tutto prima di ripartire, perché la mia automobile non è dotata del lusso di un portabevande. Dico sempre che devo procurarmi uno di quegli anelli di plastica a ventosa, ma ultimamente è raro che usi la macchina.

Spesso mi chiedo se valga la pena sobbarcarmi la spesa di mantenerla, ma mi rassicura sapere che è lì, parcheggiata davanti a casa. Nel caso avessi bisogno di scappare in fretta.

Oggi mi è stato utile averla a portata di mano. Perché, dopo aver rimuginato all’infinito sulle possibili alternative, provo un’energia rinnovata all’idea di andare a Wakefield per fare visita a Gareth Farnham.

Devo rimanere forte e lucida e scoprire la verità. Dopotutto, è lui quello rinchiuso in cella.

E io non sono più la ragazzina ingenua del college… Che male può farmi ormai?

Non fidarti di lui
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