Capitolo quarantacinque

Rose

Oggi

 

Esco di corsa dall’appartamento di Mike North. E intendo di corsa.

Una donna e il figlioletto stanno entrando nell’edificio e, al mio passaggio, si scostano e spalancano la bocca allarmati. Mi precipito giù dalle scale e barcollo fuori all’aria aperta.

Le temute parole di Mike mi riecheggiano nella testa: Non sono mai stato sicuro al cento percento che avessimo preso la persona giusta.

Nella mente mi turbinano tante di quelle sensazioni da non riuscire a identificarle. So solo che tutte insieme mi fanno venire voglia di scappare a nascondermi in un angolino buio.

Ma ecco intervenire i miei anni di terapia. Gaynor non si sarebbe mai accontentata che rispondessi “Non lo so” quando chiedeva cosa provavo. Mi ha insegnato a fare un passo indietro e a guardarmi dentro, a sciogliere ogni garbuglio di emozioni, per quanto dolorose.

Così, quando salgo in macchina, mi soffermo un istante per seguire il suo consiglio.

Rabbia.

Mi coglie assolutamente di sorpresa provare tanta rabbia nei confronti di Mike. Se nutriva dei dubbi all’epoca delle indagini, perché non lo ha fatto presente? Aveva una responsabilità verso di noi, verso Billy… verso se stesso… Quella di scoprire la verità e accertarsi che fosse fatta giustizia.

Che avesse confidato i propri dubbi a mamma e papà? Non lo saprò mai.

Provo un’incredibile rabbia verso me stessa per averglielo chiesto in primo luogo. Può un qualunque detective avere mai la certezza assoluta di aver arrestato il vero criminale? Non avrei dovuto affrontare l’argomento con Mike.

Paura.

Ho il terrore che l’unica cosa di cui ero sicura oltre ogni possibile dubbio – l’unica cosa di cui l’intero paese era sicuro – ora sia in bilico. È stato Gareth Farnham a uccidere Billy?

Oggi sono andata da Mike con la speranza che mi aiutasse a risolvere un dilemma, invece è riuscito a raddoppiarlo.

A sentire lui, dovrei forzare la mano. Dovrei, ora più che mai, passare all’azione senza indugio.

Lo stress di un’accusa sarebbe il colpo di grazia per Ronnie… che magari è innocente.

È fragile e malato e, anche se un funzionario di polizia dotato di sensibilità riuscirebbe a mascherare al meglio un interrogatorio, la verità nuda e cruda è che Ronnie scoprirebbe di cosa lo sospetto.

L’intero paese saprà che l’ho tradito. Dovrò andarmene, ricominciare altrove, da sola. Circondata da estranei.

La paura si trasforma in una furia selvaggia quando penso che, solo andando alla polizia, potrei inavvertitamente avviare il processo che rimetterebbe Gareth Farnham in libertà.

Sembrerò una persona orribile, ma io non voglio che esca e sia libero di girare per strada. Anche se mi lasciasse in pace, rimarrebbe un predatore. Gli uomini come lui non cambiano; nel giro di qualche giorno punterebbe gli occhi addosso a un’altra ragazza giovane e ingenua. Ha rovinato la vita di molte persone e, a dispetto di quanto dicono i buonisti, l’unica cosa di cui sono certa è che quell’uomo merita di rimanere dietro le sbarre per il resto della sua vita.

Eppure, eccomi qua, in balia di un circolo vizioso di pensieri che mi riporta sempre allo stesso punto: E se fosse stato davvero Ronnie a uccidere Billy?

E se, in tutto il tempo passato a guardare la mia tormentata famiglia, fingendosi di enorme sostegno, avesse riso dietro le nostre spalle?

Anziano o no… perché dovrebbe essere libero di vivere la sua vita?

Metto in moto l’auto e in pochi minuti imbocco Colwick Loop Road.

Al suono potente e prolungato di un clacson caccio un grido e sterzo completamente il volante a sinistra. Ero finita in mezzo alla strada e un camion che viaggiava in direzione opposta me lo ha fatto notare senza mezzi termini.

“Scusi”, mimo con le labbra, mentre l’enorme veicolo mi passa accanto con un rombo.

Abbasso un po’ il finestrino per prendere una boccata d’aria.

Questa faccenda finirà per uccidermi in un modo o nell’altro: o per lo stress o sotto le ruote di un tir.

Allungo la mano verso la borsetta e bevo un sorso d’acqua dalla bottiglia che ho sempre con me. Quanto vorrei che Mike avesse esternato a quel tempo le proprie sensazioni sull’indagine.

I suoi dubbi erano solo passeggeri o c’era sotto dell’altro?

Le aveva raccontato che proprio per quella ragione il caso lo aveva coinvolto al punto da dedicargli più tempo e lavorarci da casa tutte le sere.

A cosa servivano quelle ore in più? A cercare indizi mancanti o passare al setaccio gli interrogatori per individuare una parola sbagliata… o cos’altro?

Non posso nemmeno lamentarmi della sua evasività. Sono stata io a decidere il tono della conversazione, con la mia cosiddetta genialata del “parlare per ipotesi”.

Solo una cosa brilla come il faro della verità in tutta questa confusione. L’unica che non posso ignorare, a prescindere dal numero di opzioni che voglio concedermi: la copertina di Billy.

Devo solo porre le domande giuste alle persone giuste. Qualcuno ha infilato la copertina in una scatola del ripostiglio a casa dei Turner. Chi, quando e perché… è ciò che ho bisogno di scoprire.

Non fidarti di lui
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