Capitolo quattordici
Sedici anni prima
Dopo l’attesa del primo appuntamento, che le era parsa lunga una vita, finalmente Rose era pronta per uscire.
Aveva calcolato un largo anticipo per raggiungere l’imbocco della via e incontrare Gareth subito dopo la curva, all’incrocio nel quale lui le aveva detto di aspettarla in macchina.
«Dove hai detto che vai?». Ray Tinsley bevve un’altra sorsata di birra dalla lattina e fece un rutto, scoccando uno sguardo di disapprovazione alla figlia che lo salutava a distanza di sicurezza dall’ingresso.
«Sei bellissima, Rose», le sussurrò Billy alle spalle e lei allungò una mano dietro per stringere la sua.
Nonostante le istruzioni dettagliate di Cassie, alla fine Rose aveva deciso di vestirsi in modo poco appariscente. Non aveva altra scelta, se voleva tenere segreto l’appuntamento.
Indossava dei pantaloni neri di sartoria, un paio di décolleté ragionevolmente basse e una camicetta bianca che la madre le aveva comprato un anno prima da Marks & Spencer. In pratica era l’abbigliamento che aveva indossato al colloquio di selezione per il corso d’arte.
Dal suo punto di vista, era un abbinamento piuttosto “in tiro” rispetto ai jeans, T-shirt e scarpe da ginnastica che metteva tutti i giorni.
Ma Cassie non l’avrebbe scelto neanche morta. Appuntamento sexy o niente appuntamento.
«È bello vedere che hai fatto un piccolo sforzo per vestirti meglio, tesoro. Sei molto carina».
«Grazie, mamma». Rose guardò il padre per rispondergli. «Esco con alcune compagne del college. Beviamo qualcosa e poi andiamo al cinema, papà. Non farò tardi».
«Mi auguro proprio di no», brontolò lui. «Non ci hai messo tanto a cominciare a bere, da quando frequenti quella scuola».
«Suvvia, Ray, non essere ingiusto». Stella posò una mano sul braccio della figlia. «Rose è una brava ragazza e non esce quasi mai. Hai abbastanza soldi, tesoro?».
Lei annuì. «Allora vado».
«E come pensi di arrivarci?», latrò il padre.
«In autobus», tagliò corto lei, come se fosse ovvio. Per fortuna, Ray non replicò.
Rose tornò nell’ingresso. «Ops, ho dimenticato la giacca. Corro di sopra a prenderla, poi vado».
«Divertiti», disse la madre, sedendosi davanti al televisore con un sacchetto di patatine.
Rose salì in camera e si passò in fretta un po’ di fard sulle guance e un rossetto leggero sulle labbra. Aveva già applicato un velo di mascara, ma non poteva destare i sospetti dei genitori.
Se Cassie l’avesse vista così sobria dopo gli sforzi dell’altra sera, sarebbe andata su tutte le furie.
Rose scese di corsa e si precipitò fuori dalla porta. Billy l’aspettava in cortile. «Ti accompagno fino alla fermata dell’autobus», propose.
«No!». Il cuore di Rose cominciò a martellare. «Non stasera, Billy».
«Ma mi stufo. Non so cosa fare».
Rose guardò il fratello, che le fece tanta pena. Da quando aveva cominciato il college a settembre, non gli aveva dedicato molto tempo.
Avevano dieci anni di differenza, ma lei lo adorava. Giocavano sempre a qualche gioco da tavola: Cluedo, Scarabeo e il preferito di Billy, l’interminabile Monopoli.
Ma ora, con gli studi d’arte e l’impegno da volontaria presso la biblioteca locale, Rose aveva meno tempo a disposizione.
Mentre lo osservava, Billy si voltò appena e Rose notò un’ombra sulla sua mandibola.
«È un livido quello?». Allungò la mano verso di lui.
«Mi è arrivata una pallonata», rispose Billy scontroso, facendo un passo indietro. «Ieri, quando siamo andati a giocare al campo».
«Senti, domani sera facciamo qualcosa insieme». Rose avanzò verso il vialetto che costeggiava la casa e si girò a guardare l’espressione desolata del fratello. «Promesso».
«Che cosa?»
«Non so, Billy. Scegli tu. Pensa a qualcosa che ti piace e domani mattina me lo dici». Rose non si voltò più; doveva sbrigarsi.
Raggiunse l’incrocio concordato almeno cinque minuti prima e fu sorpresa di vedere già parcheggiata una Ford Escort grigia metallizzata.
Avvertì il sangue affluire alle guance e dovette fare appello a tutta la propria forza di volontà per non scappare via.
Mentre si avvicinava all’automobile, sentì una musica a volume alto e notò che Gareth aveva il finestrino abbassato. Le note di All Rise della boyband Blue rimbombavano all’esterno, attirando l’occhiataccia di un uomo, che lei per fortuna non conosceva, a passeggio con il cane sul lato opposto della strada.
Rose chinò la testa e sbirciò attraverso il finestrino del passeggero per accertarsi che fosse proprio Gareth. Quando lui le fece l’occhiolino, prese una bella boccata d’aria e aprì la portiera.
«Ciao, Rose». Gareth sorrise e abbassò la musica. «Sei molto carina».
«Grazie». Rose salì sull’auto. Lui si voltò sul sedile e si mise a fissarla. Il rossore sul viso e sul collo della ragazza si accentuò. «Qualcosa non va?», chiese.
«Non c’è niente che non va». Gareth le sfiorò una guancia sorridendo. «Guardo solo quanto sei bella. A te va bene, no?»
«Sì», squittì lei, pregando tra sé e sé che il sedile si aprisse di colpo e la ingoiasse in un boccone.
E comunque, non andava bene, non proprio. Anche senza specchio, Rose sapeva di essere un gigantesco disastro: capelli rossi, faccia rossa. Si sentiva chiaramente fuori luogo e non avrebbe mai dovuto presentarsi lì.
Gareth riportò lo sguardo al volante e girò la chiave. L’accensione tossicchiò ma non partì. Lui girò ancora un paio di volte.
«Adoro i tuoi colori», commentò, alla vista di Rose che si scostava la chioma dal viso. «I tuoi capelli rossi e la tua pelle così liscia».
Lei non voleva che le facesse complimenti solo per metterla a suo agio. Detestava il proprio aspetto.
«Sei molto bella». Gareth sorrise, senza smettere di osservarla, mentre Rose era tutta concentrata a mordicchiarsi le unghie. «Non sei abituata ai complimenti, vero?».
Lei fece spallucce, nella speranza che l’altro cambiasse argomento.
«Be’, allora farai meglio ad abituarti, perché per me sei bellissima».
L’automobile finalmente prese vita e partì lungo Hucknall Road. Rose espirò a lungo e in silenzio.
«Così sei riuscita a scappare da Colditz?»
«Come?»
«Da tuo padre, intendo. Credevo fosse per lui che mi sono dovuto fingere una tua compagna di scuola, l’altra sera al telefono».
Le sorrise e Rose si ritrovò a ridere di quel commento e rilassare un pochino le spalle.
«È filato tutto liscio», rispose. «Papà ha fatto qualche domanda su dove andassi e come. Poi, come se non bastasse, il mio fratellino Billy si è offerto di accompagnarmi alla fermata dell’autobus».
«Hai un fratellino, eh? Sembra una bella seccatura».
«Non mi dà problemi, a dire il vero». Rose sorrise con malizia. «Preso a piccole dosi».