Capitolo cinquantotto

Rose

Oggi

 

L’ora della decisione è giunta.

Potrei cercare di dimenticare la copertina di Billy. Me lo ripeto nella testa in silenzio, ma so che il solo pensiero è fantasia pura.

È assolutamente impossibile che io dimentichi una scoperta così scioccante, così grave.

Anche se riuscissi a spingerla verso i meandri più reconditi della mia psiche – impresa che non ha avuto grande successo con i traumi precedenti – avvelenerebbe tutto. Vivrei piena di interrogativi per il resto della vita e odierei me stessa per aver scelto la via più facile.

Potrei parlare con Ronnie per la terza volta, ma credo con tutta sincerità che non ne caverei un ragno dal buco. Dopo la nostra ultima conversazione, la sua memoria sembra più labile e lui non è ancora in forze. Un attimo prima lo guardo e vedo il mio vicino di casa premuroso e incoraggiante e quello dopo me lo immagino più giovane e vigoroso, capace di arrecare del male.

Ho parlato con Mike North, l’ispettore capo che aveva condotto le indagini, e nemmeno lui è stato in grado di fornirmi risposte solide. Solo suggerimenti fiacchi: riferirlo alla polizia, che però potrebbe decidere di non muoversi, perché ammettere un errore giudiziario e riaprire un caso chiuso implicherebbe una responsabilità enorme.

Potrei andarci comunque, ma sento che è proprio l’ultimissima opzione in ballo. Se Ronnie venisse traumatizzato dagli interrogatori e poi confermato innocente, non riuscirei più a vivere in pace con me stessa.

Finirei per distruggere l’unica vera amicizia rassicurante che mi è rimasta da quando è morto Billy. Verrei denigrata da tutti coloro che vogliono bene a Ronnie e non mi resterebbe altra scelta che trasferirmi altrove.

No. La mia prossima mossa è chiara, per quanto terrificante. Devo fare una cosa che avevo giurato a me stessa che non avrei mai fatto, che vanifica ciò che ho promesso a papà sul letto di morte.

Devo mettermi in contatto con Gareth Farnham.

Rabbrividisco e mi torco le dita così forte da farmi male. Eppure, sento che è l’unica decisione logica in questo momento.

Chiudo gli occhi e ripenso alle prime lettere che mi scriveva dalla prigione. Ne lessi solo un paio prima che la mamma distruggesse tutte le successive. Ma le prime due erano praticamente identiche.

Entrambe seguivano la stessa impostazione. Nel bel mezzo di una lunga invettiva in cui mi accusava di averlo abbandonato e tradito, di punto in bianco passava alle dichiarazioni d’amore.

Mi implorava di andare a trovarlo, di parlare insieme dell’accaduto. Diceva di avere delle cose da dirmi riguardo a quel giorno, cose di cui voleva parlare solo con me.

«Sta’ lontana da lui, Rose», mi aveva intimato papà una mattina, gettando un’altra delle lettere di Gareth nel fuoco. «È diabolico e il suo unico obiettivo è quello di controllarti e distruggerti. Per l’amor di Dio, non caderci di nuovo».

Non se ne rendeva conto, ma mi faceva sentire una stupida quando mi parlava così.

So che lo meritavo in pieno. Insomma, che razza di idiota può permettere a qualcuno di manovrarle la mente al punto da non prestare più ascolto a chi le vuole bene, prendendo invece per Vangelo le parole di un perfetto estraneo?

Una volta vidi un documentario affascinante su certi parassiti schifosi che controllano la mente degli animali ospitanti.

Il batterio responsabile della toxoplasmosi è una creatura monocellulare che infetta i topi e i ratti modificando completamente il modo di pensare del roditore, al punto che quello non scappa più di fronte all’odore dei gatti, ma addirittura comincia a sentirsi attratto dai feromoni presenti nell’urina dei felini.

In poche parole, i topi smettono di nascondersi nei muri e finiscono dritti in pasto al nemico. A quel punto il parassita si riproduce nello stomaco dei gatti.

Ricordo di aver cambiato canale, perché la faccenda diventava inquietante.

In modo analogo, anch’io ero stata infestata da Gareth Farnham quando avevo diciotto anni. Gli avevo permesso di penetrare nella mia mente e in un certo senso lui mi aveva modificato il DNA.

Papà aveva ragione, eccome. Devo stargli lontana per il resto della vita. Ed è proprio quello che intendo fare… una volta ottenuto da lui quello che mi serve.

 

Scrivere la lettera si rivela subito molto più difficile della decisione in sé.

Parliamo dell’uomo che sta scontando l’ergastolo per aver ucciso il mio adorato fratellino Billy.

L’uomo che si è introdotto così abilmente nella mia testa e che ha rovinato le nostre vite.

Come faccio a trovare le parole giuste, quando in realtà vorrei solo sputargli in un occhio?

Il tono della lettera significa tutto. Non dev’essere troppo speranzoso. Va calibrato bene, altrimenti lui coglierà al volo l’occasione per manipolarmi di nuovo. Ma se è troppo distaccato, potrebbe ignorare la lettera.

Devo stuzzicare il suo interesse in qualche modo. Devo aggiungere qualcosa che riguardi lui; con Gareth Farnham funzionava sempre così.

Il gesto stesso di scrivere una lettera a mano sembra troppo personale. Ormai è tutto digitalizzato.

Alcune prigioni consentono le comunicazioni via e-mail, ma a me non piace l’idea che la mia lettera vaghi per il cyberspazio. Quando Gareth è stato condannato, la posta elettronica non era tanto diffusa. Lui potrebbe non essere pratico delle nuove tecnologie ed è meglio non correre il rischio.

Una lettera, per quanto sia difficile elaborarla, è molto più affidabile perché ha buone probabilità di finire nelle sue mani.

Ho carta e penna. Ho fatto ricerche su come si contatta un detenuto e recuperato l’indirizzo postale del carcere di Wakefield.

Non mi resta che scrivere.

“Caro Gareth”, comincio.

La punta della penna slitta sul foglio, lo afferro e lo appallottolo. Non posso iniziare con “caro”.

Prendo un altro foglio.

 

Gareth,

dopo la morte di Billy, dicevi che…

 

Ancora troppo personale. Non voglio rivolgermi a lui in tono familiare, né tantomeno infangare la memoria di Billy citandolo nella lettera.

Appallottolo anche il secondo foglio e lo lascio da parte. La penna rimane sospesa sopra una nuova pagina bianca.

Risoluto, diretto e formale è senza dubbio l’approccio più adatto.

 

Alla c.a. di Gareth Farnham, Carcere di Wakefield

 

Diversi anni fa volevi discutere con me di certe informazioni in tuo possesso.

Se lo desideri ancora, mi trovo ora nella condizione di leggere una tua lettera.

Rose Tinsley

206, Tilford Road, Newstead Village, Nottinghamshire

NG15 0BX

 

Mi sfugge una smorfia nel riportare il mio indirizzo, pensando che i suoi occhi, un tempo pieni d’amore per me e alla fine sprezzanti, ci sarebbero andati a nozze.

Ma non è il momento di lasciare che le emozioni negative prendano il sopravvento. Lui sa già dove abito. Non gli sto comunicando niente di nuovo, senza contare che fornire il proprio recapito è una delle condizioni stabilite dal carcere di Wakefield per inoltrare la posta a un detenuto.

Rileggo il biglietto un paio di volte e poi, prima che diventi un’ossessione, lo ripiego e lo infilo nella busta già completa di indirizzo. Per ironia della sorte, la prigione di Wakefield, nello Yorkshire occidentale, si trova in una via chiamata Love Lane, “strada dell’amore”. Destinazione curiosa per un individuo che ha distrutto così tanto amore, rifletto tra me e me.

Fisso la lettera per qualche istante.

Ce l’ho fatta.

Controllo l’ora sull’orologio alla parete e noto che sono quasi le nove di sera. Non esco mai con il buio: è una delle mie regole. Ma voglio imbucare questa lettera prima che mi assalga l’ansia.

Carica di spavalderia per averla scritta, mi infilo le scarpe e afferro le chiavi.

Posso farcela. Posso arrivare fino in fondo, per Billy.

Non fidarti di lui
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