Capitolo trentuno
Rose
Oggi
L’ambulanza accosta di fronte alla casa di Ronnie e io inspiro a fondo, poi espiro lentamente, come dicono di fare per alleviare il dolore.
Respira, Rose, respira, mi ripeto in silenzio.
Il pensiero di trovarmelo davanti, di parlargli…
Osservo da dietro le tendine i paramedici che spingono con cautela la sedia a rotelle di Ronnie attraverso il cancelletto di legno. Vado alla porta e apro.
Posso farcela. Non ho scelta.
«Accomodatevi pure», li invito, e loro sollevano Ronnie dalla sedia a rotelle per aiutarlo a sistemarsi sulla poltrona.
Sembra più minuto ed esile, la pelle raggrinzita come carta da regalo stropicciata. Tiene lo sguardo basso sulle mani ma, quando lo chiamo per nome, alza gli occhi e accenna un sorriso, come se si fosse appena accorto della mia presenza.
«Rose», dice con voce flebile e roca, quasi per rammentare a se stesso chi sono. Sembra rassicurato dall’ambiente familiare, felice di essere di nuovo a casa.
«Ciao, Ronnie», lo saluto. Le parole mi si bloccano in gola come una lisca di pesce. Tossisco. «Stai bene?»
«Non mi lamento», risponde. «È bello essere a casa».
Allarga la bocca in un sorriso sdentato. Le labbra sottili hanno un colorito rosa scuro, violaceo in alcuni punti. Ha il mento irritato, ricoperto da chiazze di peli grigi.
Mi sento rivoltare lo stomaco.
«Scusatemi», mormoro e corro in cucina. Mi sciacquo il viso con un po’ d’acqua e rimango china sul lavello per qualche istante.
«Si sente bene?». Il paramedico donna mi osserva dalla soglia.
«Sì, tutto a posto». Mi tiro su e mi asciugo la bocca con il dorso della mano. «Scusi, ho avuto un piccolo capogiro».
Lei mi osserva con occhi curiosi. «È una parente di Ronnie, o…».
«Sono la sua vicina. Viviamo l’uno accanto all’altra da anni».
«Pensa di potergli dare un’occhiata di tanto in tanto e controllare che prenda le medicine? Sembra piuttosto confuso ed è ancora malfermo sulle gambe».
Non mi piace il modo in cui la donna mi pondera, con la testa reclinata da una parte. Come se riuscisse a leggere oltre la facciata sottile che mi sto sforzando di mantenere.
Vedere Ronnie mi ha provocato un’ondata di ripulsione, ma ora mi sento quasi in colpa. Potrebbe non avere fatto niente di male. Anzi, fatico perfino a formulare il pensiero che lui possa essere coinvolto, anche lontanamente, nella morte di Billy.
Come minimo, l’avrei saputo. All’epoca, qualcuno avrebbe saputo.
Mi si affaccia alla mente il volto di Sheila. Serro gli occhi piano, ma con decisione. Mantenere il controllo è fondamentale.
Mi rendo conto che non vedo l’ora di liberarmi dei paramedici per parlare a tu per tu con Ronnie.
«Ce la caveremo», affermo con tutta la sicurezza che riesco a manifestare. «Chiamerò subito l’ospedale se ci sono problemi».
«Perfetto». La donna si volta per tornare in salotto. «Se vuole seguirmi, le spiego le medicine nel dettaglio. Purtroppo deve prenderne parecchie».
La seguo lungo il breve corridoio e mi siedo sulla poltrona, rivolta in modo tale da non guardare Ronnie, per il momento.
«Sembra più pulito qui», lo sento commentare alla mia sinistra. «Hai fatto ordine, Rose». Mi giro verso di lui e Ronnie sta sorridendo all’altro paramedico. «È sempre così buona con me, sa».
Il battito del cuore mi rimbomba più forte nelle orecchie e stringo i braccioli della poltrona.
«Un’ottima cosa perché avrai bisogno di tutto l’aiuto possibile, Ronnie», dice il paramedico. La sua voce mi giunge attutita come se si stesse allontanando. «Hai avuto una brutta influenza e sarai debole per un po’. Devi andarci piano e dare al fisico il tempo di recuperare».
«Ho pulito la cucina e il bagno. Ho pulito dappertutto, Ronnie», mi sento annunciare con voce stridula e forzata. «Piano terra e primo piano».
I nostri sguardi si incrociano e sono certa di vederlo sussultare, quasi qualcuno gli avesse sferrato un colpo dietro la testa.
«Tutto bene, Ronnie?». La donna paramedico accorre al suo fianco.
«Non proprio», gracchia lui, voltando il capo. «Ho caldo… Sto per sentirmi di nuovo male».
Ma non accade e, dopo aver atteso qualche minuto per precauzione, i due finalmente se ne vanno.
Li accompagno alla porta, poi mi siedo di fronte a Ronnie e lo fisso negli occhi.
La stanza è tetra; sento il ticchettio dell’orologio e ogni colpo è come una freccia dritta al cuore. Non ce la faccio; non posso tacere ancora a lungo.
«Ronnie», inizio con tono calmo. «Posso chiederti una cosa?»
«Non so». Sembra avere il respiro affannato. «Sono debole e ho paura di stare male di nuovo». Stringe il vassoio di cartone a forma di fagiolo come se la sua vita dipendesse da quell’oggetto.
Mi domando se è solo frutto della mia immaginazione o Ronnie ha smesso di sentirsi male non appena abbiamo accantonato l’argomento pulizie.
«Devo farti soltanto una domanda», insisto. «È molto importante».
Ronnie si agita sulla poltrona. Chiude gli occhi e comincia a inspirare ed espirare dal naso.
«Ricordi quando ti hanno portato via dal bagno, dopo che ti ho trovato a terra?».
Lui riapre gli occhi.
«Mi hai detto qualcosa mentre uscivi di casa, te lo ricordi?». Lui non risponde. «Hai detto: “Non andare di sopra”. Sono state queste le tue ultime parole, Ronnie, prima che ti portassero in ospedale. Cosa intendevi? Perché non dovevo andare di sopra?».
Cala di nuovo il silenzio e l’orologio ticchetta.
Mi sembra di avvertire il peso della stanza-ripostiglio sopra di noi, quasi fosse finalmente pronta a svuotarsi dei suoi segreti.
«Ronnie?»
«Non ricordo di averlo detto». Le parole escono strozzate.
«Non devi ricordarti per forza, Ronnie, ti assicuro che hai pronunciato esattamente quelle parole. Quello che vorrei sapere è a cosa ti riferivi».
«Non sapevo quello che dicevo, Rose. Stavo malissimo». Si ferma e respira a fondo. «Hanno detto che se non mi avessi trovato subito, sarei… sarei potuto morire».
«So che stavi molto male, Ronnie, e che non sei ancora guarito al cento percento, ma prova a riflettere un momento. È importante».
Lui mormora qualcosa tra sé e sé.
«Ronnie?»
«Non riesco a pensare con lucidità», risponde, le dita affondate nei braccioli della poltrona. «Scusa, non ci riesco».
Mi avvicino a lui, posandogli le mani sulle braccia scarne. Due braccia che un tempo, me lo ricordo bene, erano state forti e muscolose.
L’uomo che è stato, tanti anni fa… Quella persona esiste ancora dentro di lui.
La verità non sparisce, né ci abbandona mai; rimane per sempre, con la sua luce forte. Si può nascondere o mascherare, ma resta. Basta sapere dove cercarla.
«Ronnie», continuo con tono gentile. «Ne abbiamo passate tante insieme. Mi sei stato accanto prima e dopo Billy. Siamo una famiglia, tu e io. Perciò devo proprio insistere: perché mi hai chiesto specificatamente di non andare di sopra?».
La mano raggrinzita di Ronnie raggiunge la mia e mi stringe le dita.
«Mi dispiace tanto», sussurra, «ma non ricordo niente, Rose».