Capitolo quarantuno

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Rose seppe dalla madre che Cassie era uscita dall’ospedale.

«Dalle un paio di giorni, tesoro», disse Stella, quando lei accennò a farle visita. «So che non è tipico di Cassie, ma il trauma che ha subìto… devi capirla…».

«Ma io voglio aiutarla a superarlo». Rose voltò le spalle alla madre. «Voglio che sappia che ci sono».

Ogni volta che ripensava all’aggressione di Cassie, il suo cuore si riempiva del bisogno travolgente di sistemare le cose tra loro. Rose non sapeva cosa fare di preciso riguardo al litigio, ma quella era l’occasione perfetta per dimostrare a Cassie che ormai non aveva importanza. Era convinta che starle accanto sarebbe bastato.

«Ancora un paio di giorni e ti accompagno», promise Stella. «Che ne dici?».

Rose si strinse nelle spalle e uscì dalla cucina; sembrava non avere voce in capitolo.

 

Aveva pensato di avvisare il signor Barrow che quella settimana non avrebbe potuto svolgere il proprio lavoro di volontaria, ma dal momento che Cassie non se la sentiva ancora di vederla, Rose decise che tanto valeva andare in biblioteca.

Molto meglio, pensò, che restarsene a casa ad avvilirsi per Gareth o Cassie senza poter comunque risolvere la situazione né con uno né con l’altra.

«Ah, Rose, eccoti», l’accolse il bibliotecario con tono sbrigativo, sollevando lo sguardo per un solo istante dalle sue carte. «Ho fatto un po’ di pulizia stamattina e ti ho lasciato una montagnola di libri laggiù. Spero non ne avrai a male».

Accennò al tavolino quadrato alle proprie spalle e le rivolse un sorriso colpevole. Sul tavolo si ergeva una pila di libri malconci.

«È da tanto che hanno bisogno di una sistemata». Il signor Barrow si alzò e la squadrò attraverso le lenti oblunghe degli occhiali, che non si spostavano mai dalla punta del naso aquilino. «Non ti dispiace, vero?»

«Niente affatto». Rose sospirò. Non le dispiaceva davvero; sarebbe stato rilassante quel pomeriggio lasciarsi assorbire da un lavoro umile ma che tutto sommato dava soddisfazione.

Prestò una vaga attenzione alla presenza del bibliotecario che parlava a raffica del suo orto. Annuiva ogni tanto dove le sembrava opportuno e la cosa sembrò tranquillizzarlo.

Rose iniziò a separare i libri in mucchi diversi, che aveva rinominato in silenzio: dorso, pagine e copertina. Il signor Barrow le aveva già preparato da una parte il nastro adesivo per le riparazioni, la colla vinilica e il cellophane per foderare.

Rose trovava gratificante riparare i libri consumati dall’uso, proteggere le parole al loro interno, perché altre persone potessero leggerle e apprezzarle.

Mentre cominciava a rilassarsi nel suo compito, coccolata dal ronzio discreto delle conversazioni attorno a lei, le apprensioni più profonde sgusciarono fuori dall’angusto compartimento della sua mente.

Chi aveva aggredito Cassie?

Rose non riusciva a capire perché l’amica la respingesse. Sì, avevano litigato sul serio per la prima volta da quando si conoscevano eppure… tutti quegli anni di amicizia dovevano pur contare qualcosa.

E lei aveva fatto la cosa giusta interrompendo la storia con Gareth?

Le era parso così accomodante e dispiaciuto. Si era comportato in modo terribile sia con lei sia con il povero Billy e lo aveva riconosciuto in pieno. Nonostante tutto, Rose sentiva già la sua mancanza. Le sembrava l’unica cosa bella che le fosse capitata da tanto tempo. Gareth non le aveva chiesto una seconda possibilità, ma forse era stupida lei a non concedergliela?

Rose non sapeva se sarebbe riuscita a tenere il padre completamente all’oscuro di quanto era successo. Aveva sbagliato a chiedere a un bambino di otto anni di nascondere segreti ai genitori, di difendere qualcuno che lo aveva aggredito. Ma cos’altro avrebbe potuto fare in quelle circostanze?

Stava cercando di proteggere tutti e di proteggere il lavoro del padre. A forza di pensare a tutte quelle cose, cominciò a girarle la testa.

«La signorina Rose Tinsley?».

Sentendo il suo nome, Rose alzò di scatto lo sguardo dai libri. Il signor Barrow si voltò verso di lei e sorrise, facendole cenno di avvicinarsi alla scrivania principale, davanti alla quale attendeva un fattorino, le braccia sommerse da un enorme mazzo di rose rosso sangue.

«Il tuo giorno fortunato, bellezza». Il fattorino sorrise, porgendole i fiori con entrambe le mani, come se le stesse passando un neonato.

«Santo cielo, Rose…», esclamò il bibliotecario stupefatto, «festeggi qualcosa?»

«In realtà, no», mormorò lei, pescando una piccola busta in mezzo ai boccioli. «Non ho idea di chi li abbia mandati, signor Barrow».

Il bibliotecario aveva già riportato l’attenzione allo schermo del computer. Rose si guardò attorno e un paio di utenti le sorrisero, accennando al dono compiaciuti, ma lei fece ritorno al tavolino in modo da voltare le spalle alla sala.

Prese le forbici e aprì la busta con una lama. Ne estrasse un bigliettino bianco, con il bordo ornato di una cornicetta di petali rossi e rosa stampati.

Deglutendo a fatica, rilesse più volte il contenuto dalla grafia curata.

 

Mia per sempre, G

 

Alle quattro in punto, Rose salutò il signor Barrow e uscì dalla porta secondaria.

Dieci minuti prima di andarsene, si era resa conto di aver passato più di due ore a riparare lo stesso libro. Il bibliotecario aveva scrutato con perplessità la pila intatta di libri da sistemare, ma non aveva esternato commenti. La mente di Rose era stata ovunque tranne che sul compito da svolgere.

Cosa sperava di ottenere Gareth mandandole dei fiori? Le era sembrato così ragionevole il giorno prima, nell’accettare la sua decisione e proporle di rimanere amici.

Quando Rose aveva letto il bigliettino, quelle tre parole autoritarie, aveva avvertito un rivolo di sudore freddo scivolarle lungo la schiena.

Si presumeva che un dono floreale avesse l’intento di far sentire il destinatario speciale e prezioso, ma qualcosa in quel gesto le sembrava così… strano… così inappropriato.

Il signor Barrow l’aveva scrutata con la coda dell’occhio, preoccupato per la sua reazione. Rose aveva gettato il bigliettino nell’immondizia e abbandonato i fiori nel cucinino sul retro.

Stava quasi per svoltare l’angolo in fondo alla strada, quando si bloccò di colpo perché qualcuno aveva gridato il suo nome. Si girò e vide Jim Greaves, il custode della biblioteca, che correva verso di lei, tra le braccia il mazzo di rose abbandonato. «Hai dimenticato i tuoi bellissimi fiori, cara!».

Rose imprecò tra sé e sé contro l’invadenza sfacciata dell’uomo. Le mancava solo quella.

«Per fortuna ti ho raggiunta». Jim le porse il mazzo, raggiante. «Come sta quel birichino di Billy?»

«Sta bene, grazie», rispose lei con un filo di voce.

«Digli di passare da noi quando ha un minuto, alla zia Janice farebbe tanto piacere una sua visita, per farsi raccontare le ultime marachelle».

«Glielo dirò», promise Rose, poi guardò i fiori e scosse il capo. «Grazie, Jim, ma non li voglio».

«Eh?»

«Le rose. Perché non le porti a Janice?». Gli sorrise, posandogli una mano sulla spalla. «Ci vediamo la settimana prossima».

Appena girato l’angolo, Rose si guardò indietro e vide Jim immobile dove l’aveva lasciato, che la fissava con curiosità.

Non fidarti di lui
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