Capitolo quarantasette
Sedici anni prima
Gareth le aveva preso il cellulare e non c’erano orologi nella stanza, ma Rose stimò di essere sveglia da un paio d’ore.
La luce all’interno indicava che era ancora mattina presto. La sua memoria, non ancora ripresa del tutto, cominciava a riunire i pezzi. L’orrore dei ricordi le fece quasi desiderare di non recuperarla per niente.
La porta della camera si aprì. Gareth era vestito da lavoro e venne a sedersi accanto a lei sul letto.
«Mi hai detto che tra noi era finita. Mi hai detto che non volevi più vedermi, Rose. Riesci a immaginare cosa ho provato?». La sua voce era fluida e calma, e la terrorizzò ancora di più. «Dimmi che non parlavi sul serio».
«Io…». Rose cercò le parole giuste. Aveva imparato a prestare attenzione al tono di Gareth per decidere come rispondere, ma anche per quello era finita in quel casino. «Credo sia meglio rimanere amici».
«Parli sul serio, cazzo?». Gareth si alzò, svettando minaccioso al suo fianco, i pugni serrati.
«Non farmi ancora male», gridò Rose. «Dicevi di amarmi!».
Lui si chinò a fianco a lei. «E ti amo ancora, Rosie. Ma sono stufo di tutte le persone nella tua vita che cercano di rovinare il nostro tempo insieme».
«A chi ti riferisci? Nessuno sa di noi… a parte Billy, intendo».
«Mi fa andare in bestia, è sempre tra i piedi».
«Ha otto anni!», ribatté Rose. «È solo un bambino e io lo amo più di…».
I lineamenti di Gareth si contrassero e Rose si morse la lingua per quello che aveva appena detto.
«Più di cosa, Rose? Più di me?»
«È solo un modo di dire, che ami qualcuno più di ogni altra cosa». Sospirò. Era così stanca e dolorante, e stufa di dire sempre la cosa sbagliata.
«Ma non hai mai detto di amare me più di ogni altra cosa». Gareth affondò i denti nel labbro inferiore. «Lo dici solo quando parli di lui».
«È mio fratello!», sbottò Rose.
«E io dovrei essere la tua anima gemella», ringhiò Gareth.
Rose rimase in silenzio. Era impossibile ragionare con lui.
Gareth si alzò. «Non puoi fuggire da me, Rose; tu mi appartieni. Se ci provi rovinerò te e la vita della tua famiglia».
Avrebbe cacciato il padre dal lavoro, ipotizzò Rose. Quanto alla sua vita, era già rovinata. Non si era mai sentita così infelice, senza contare che Gareth aveva aggredito e minacciato Billy. Non poteva più tollerarlo.
«Non sono il tuo animaletto domestico, Gareth. Tu non sei il mio padrone», protestò Rose, con più coraggio di quanto ne avesse. «Se la gente scopre come hai trattato me e Billy, saranno guai seri».
«Ecco perché mi sono preso la libertà di stipulare una piccola polizza assicurativa». Gareth sogghignò ed estrasse una macchina fotografica dalla tasca. «Quando farò stampare queste meraviglie, nessuno crederà più a una sola parola della svergognata Rose».
Lei rabbrividì di fronte alle sue risate.
«Ti chiudo dentro», annunciò Gareth impassibile. «Tornerò per pranzo e, nel caso ci stessi pensando, anche le finestre sono bloccate e non c’è il telefono». Le mostrò ancora la macchina fotografica. «Non fare sciocchezze altrimenti appiccicherò queste fotografie su tutti i lampioni della città».
«Perché tutto questo?», sussurrò Rose.
«Perché tu fai la difficile», rispose lui, diretto alla porta. «E finché non ritroverai il senno, la tua vita non sarà per nulla piacevole».
Sbatté la porta e Rose udì scorrere un chiavistello all’esterno. Una chiusura di sicurezza fuori dalla porta?
Sembrava che Gareth avesse pianificato di rinchiuderla da tempo.