Capitolo quarantadue
Sedici anni prima
«Hai sistemato le cose con Gareth, tesoro?». La voce tonante del padre sovrastò la televisione, quando Rose fece capolino in salotto per salutare.
Lei tossì per non rispondere e la madre alzò gli occhi dalla rivista.
«Ieri, intendevo», continuò Ray. «Quando sei venuta al cantiere».
«Ah, sì», confermò Rose, fingendosi distratta a cercare qualcosa nella borsa. «Tutto sistemato».
«Gareth ha un debole per la nostra Rose, sai?». Ray fece l’occhiolino a Stella. «Chiede sempre come sta, dov’è stata e con chi esce».
«Papà!».
«Dico per dire. È un ragazzo adorabile, quel Gareth. Non mi dispiacerebbe come genero».
Rose arrossì.
«Suvvia, Ray, è troppo vecchio per lei», intervenne Stella, gli occhi rivolti al soffitto. «Le serve un bravo ragazzo che abbia più o meno la sua età. Giusto, Rose?»
«Vado in camera mia», mormorò lei, allontanandosi dalla porta del salotto. «Devo finire i compiti per domani».
Di sopra, Rose passò accanto al fratello che giocava con le macchinine sul pianerottolo.
«Vieni in camera mia, Billy». Lo superò e gli arruffò i capelli.
«Perché?»
«Voglio parlarti un minuto, tutto qui».
Billy la seguì e si sedette sul bordo del letto. Sembrava pallido e stanco. Rose si domandò se facesse fatica a dormire.
«Allora, come sta il mio ometto?»
«Bene, suppongo», rispose lui, facendo spallucce e tormentandosi le unghie sporche.
Rose sospirò. «Billy, mi dispiace tanto per l’altro giorno, non dovevo permettere a Gareth di trattarci in quel modo orribile. E mi dispiace averti chiesto di non dire niente a mamma e papà, non è stato corretto da parte mia».
«Fa lo stesso», mormorò lui.
«No, non fa lo stesso», replicò lei, sedendosi accanto al fratello e passandogli un braccio attorno alle spalle ossute. «Nessuno ha il diritto di trattarci così, Billy. Nessuno. Ecco perché ho detto a Gareth che non voglio vederlo più».
«Ma non credevo che fosse davvero il tuo ragazzo». Billy la guardò imbronciato. «Hai detto che lo stavi solo aiutando per delle cose, come papà al cantiere».
Rose strinse le labbra per scacciare quella bugia.
«Ormai non ha importanza», replicò. «L’importante è che non si intrometterà più nei nostri momenti insieme».
«Cosa devo fare se voglio venire giù?»
«In che senso?»
«Gareth mi ha detto che non posso scendere quando lui viene qui a casa e mamma e papà non ci sono».
«Ha detto così?». Rose si portò la mano alla bocca. «Perché non me l’hai riferito?»
«Perché lui ha detto che se te lo riferivo allora papà non lo avrebbe più aiutato con il progetto. Ma ora che lui non ti piace più, suppongo di potertelo dire».
Rose trasalì e deglutì una boccata d’aria quasi fosse una palla di pelo in gola.
Cosa diavolo aveva combinato alle loro vite, tessendo una relazione con Gareth Farnham?
Il giorno seguente, sull’autobus verso casa dopo il college, Rose strizzava di continuo gli occhi che non facevano che riempirsi di lacrime.
Cassie le mancava moltissimo. Il loro litigio era acqua passata, per quel che la riguardava. Ricordava solo le risate e i bei momenti insieme, durante le lezioni.
La gente chiedeva a lei cosa fosse successo di preciso all’amica.
A scuola le voci proliferavano e nessuno sapeva per certo come fossero andate le cose. Il giornale locale aveva riportato l’aggressione a una giovane del posto, ma senza scendere nei dettagli. Così Rose, all’ora di pranzo, divenne il bersaglio preferito di tutti gli interrogativi ansiosi, ma inquisitori, sullo stato di salute di Cassie e sull’aggressione.
Lei forniva una risposta standard. «Cassie mi ha chiesto di ringraziarvi per l’interessamento, ma la polizia si è raccomandata di non divulgare i dettagli dell’accaduto per ora».
Era abbastanza orgogliosa di quella versione, che aveva inventato da sola. La faceva sentire come se Cassie fosse ancora la sua migliore amica.
Trasmettendo il “messaggio” dell’amica più volte durante la pausa pranzo, si era convinta che le cose tra loro si sarebbero sistemate al più presto, soprattutto non appena Rose le avesse confessato che aveva sempre avuto ragione a proposito di Gareth Farnham.
Poi un giorno Vicky Sparkes le si avvicinò, quando ormai tutti gli altri studenti erano usciti dall’edificio. Vicky apparteneva al gruppetto che Cassie aveva preso a frequentare dopo la loro rottura.
«Ciao, Rose», la salutò. Lei si voltò e si ritrovò ipnotizzata da una pallina bianca di chewing gum che la ragazza continuava a far rimbalzare sopra e sotto la lingua. «Ho un messaggio da parte di Cassie: sta’ alla larga da casa sua».
Altre tre ragazze del gruppo le raggiunsero e accerchiarono Rose. Il loro atteggiamento bellicoso attirò gli sguardi incuriositi dei passanti.
«Cassie non ti vuole più vedere. Capito?». Vicky fece oscillare all’indietro i lunghi capelli con i colpi di luce e sogghignò. Tutti fissavano Rose.
«Non ho bisogno che sia tu a portarmi i suoi messaggi», tagliò corto lei. «Posso parlarle benissimo da sola».
«Ha finto di sapere cosa è successo a Cassie», dichiarò Vicky rivolta alle altre, attorcigliando una ciocca di capelli sul dito. «Ma Cassie non vuole avere niente a che fare con lei, non è vero, Rose?»
«Puoi dire quello che ti pare», sbottò lei, e si allontanò.
Vicky le gridò qualcosa, ma Rose non capì. Il ronzio nelle sue orecchie si era fatto assordante.