Capitolo ventinove
Sedici anni prima
Lo desiderava, davvero. Ma il disagio che avvertiva era tale da provocarle la nausea.
Facendo sesso troppo presto, le cose sarebbero andate storte in tutti i sensi. Per cominciare, Rose avrebbe fatto la figura della ragazzina sciocca e inesperta qual era. Sarebbe stato meglio aspettare un momento più speciale e che lei si sentisse più sicura.
Gareth staccò la mano e Rose riprese fiato, ma lui d’un tratto le sfiorò il ventre con le dita e, veloce come un lampo, gliele infilò sotto la maglietta puntando al ferretto del reggiseno. Rose si irrigidì di colpo e lui si fermò.
«Per la miseria…». Gareth inspirò e l’asprezza del suo tono scomparve. «Cosa c’è che non va, Rose? Non ti piaccio?»
«Sì! Certo, è solo…».
«Allora, ti prego, facciamo l’amore. Ho aspettato fino adesso perché ti rispetto profondamente, lo sai, no?»
«Sì», sussurrò lei, sforzandosi di allontanare la sensazione che stesse accadendo troppo in fretta.
«Benissimo, allora. Io amo te e tu ami me. Consolidiamo il nostro amore, per appartenere completamente l’uno all’altra».
Rose si morse il labbro e Gareth abbassò lo sguardo.
«Non volevo dirtelo ma, da quando sono qui, mi girano intorno un sacco di ragazze, sai?».
Lei sgranò gli occhi. No che non lo sapeva.
«Io non le guardo nemmeno, Rose, perché ho occhi soltanto per te. Voglio solo te».
Rose ripensò alle parole di Cassie, quando l’amica l’aveva avvertita che Gareth l’avrebbe considerata solo una ragazzina un po’ cresciuta, se non si fosse data da fare. Lui era un uomo, non uno studentello brufoloso. Ovvio che le ragazze gli si gettavano ai piedi, era più che comprensibile. Ragazze come Cassie, che si sarebbero concesse a chiunque senza pensarci due volte.
Rose e Gareth si frequentavano da diverse settimane e lui si era sempre comportato da perfetto gentiluomo. Non le aveva mai messo fretta. Se solo fosse riuscita a fargli capire come si sentiva.
«Non mi va di affrettare le cose», insisté, detestando l’idea di sembrare così ingenua e patetica.
«Certo, neanche a me», la rassicurò Gareth con dolcezza. «Ma non stiamo affrettando niente, ormai stiamo insieme da un pezzo. È l’evoluzione naturale del rapporto. Ti fidi di me, Rose?»
«Certo», annuì lei, pensando che in realtà uscivano da poche settimane, benché lui le gonfiasse.
«Allora dimostramelo». Gareth premette la gamba contro di lei. Rose avvertì sulla guancia il suo fiato caldo e trasalì non appena la sua mano scivolò fuori dalla maglietta per scenderle tra le cosce. «È arrivato il momento, Rose. Voglio che tu mi appartenga».
«Io non…». Rose si agitò sotto la sua presa salda. «Non sono pronta, Gareth».
Poi ebbe un sussulto, perché di punto in bianco lui le balzò addosso, stendendosi di peso sopra di lei e schiacciandola contro il divano.
«Vuoi essere mia, Rose?». Gareth le infilò di nuovo la lingua in bocca, senza permetterle di rispondere.
Rose giaceva pietrificata sotto di lui, il suo corpo un unico blocco pulsante. Non capiva se ciò che provava fosse eccitazione o terrore, ma voleva che lui si fermasse.
«Mi ami?», chiese Gareth con insistenza, premendo l’inguine contro di lei e abbassando la mano dal suo seno alla cerniera dei jeans.
«Sì», ansimò lei. «Ma…».
«E allora rilassati», le ordinò, sbottonandole i jeans. «Devo sapere che sei mia, Rose. Voglio solo te, lo sai, ma ho bisogno di sentirti più vicina. Capisci?».
Rose non aveva dubbi che il paese pullulasse di ragazze che gli facevano il filo. E supponeva che prima o poi sarebbe dovuto succedere; non poteva certo restare vergine per sempre.
Almeno lui era gentile e l’amava e lei amava lui. Col cavolo intendeva fare la fine della signorina Carter, come le ripeteva sempre Cassie per prenderla in giro.
«Sì», sussurrò Rose, mentre lui le sfilava i jeans. «Capisco».
Dopo quella volta, Rose era stata a casa di Gareth quasi ogni giorno. Ormai uscivano sempre più di rado. Non appena si vedevano, lui voleva solo portarla a letto.
E ora, eccola di nuovo lì, in attesa di trascorrere con lui la pausa pranzo.
Rose udì dei passi dietro l’angolo e lo vide comparire di colpo.
«Scusa, principessa», esclamò Gareth con gli occhi al cielo. «Quegli idioti di volontari, tutti insieme non hanno un solo neurone funzionante. Avrebbero dovuto lasciarli crepare in miniera, quando l’hanno chiusa».
Notando la faccia di Rose, scoppiò a ridere. «Non mi riferivo a tuo padre, Rosie, solo a qualche altro».
Lei lo seguì in casa.
Gareth controllò l’ora e rialzò lo sguardo. «Ti va di passare una mezz’oretta a letto?».
Rose ebbe un dubbio improvviso. «Sai chi abita sotto di te?»
«Un vecchio», rispose lui indifferente. «Perché?»
«Mentre ti aspettavo, mi ha detto che l’uomo che vive sopra di lui ha dato una festa ieri sera».
«Be’, di sicuro non io», tagliò corto Gareth. «Sarà uno degli altri inquilini. Qualcosa non va, tesoro? Sembri turbata».
«Io… volevo solo parlare un po’ con te», rispose lei, con gli occhi che bruciavano.
«Ehi, non piangere, Rosie». Gareth la guidò verso la piccola zona giorno con cucinino.
«Non so cosa farei senza di te», piagnucolò Rose. Lui le posò una mano sulla spalla. «In questo periodo sei l’unico che voglia avermi tra i piedi».
«Io ci sono sempre per te, lo sai», sussurrò lui, giocherellando con i suoi capelli come adorava fare. A volte capitava che glieli tirasse, strappandole un lamento. «Io sono tuo e tu appartieni a me. Ogni centimetro di te mi appartiene, dagli splendidi capelli rossi fino alle deliziose dita dei piedi».
Rose annuì, provando gratitudine e sollievo, mentre sprofondava sempre di più contro la spalla di Gareth. Sapeva di poter contare su di lui.
Ecco perché aveva acconsentito a farci sesso. Gareth era stato delicato e attento, e le aveva perfino dichiarato che il suo imbarazzo e la sua mancanza di esperienza contribuivano ad accrescere il suo amore per lei.