Capitolo diciannove

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Rose ritenne i loro primi appuntamenti un vero successo.

Gareth si rivelò un fan accanito del cinema, così ci andarono quasi sempre.

Cassie aveva indovinato almeno una cosa: ogni volta, Rose vedeva il film a malapena. Ma era soprattutto perché nascondeva la faccia tra le mani durante le scene sanguinarie e rivoltanti degli horror che tanto piacevano a Gareth, che non per il fatto che lui le infilasse la lingua in gola.

Al contrario, Gareth era un perfetto gentiluomo.

La portava spesso a bere qualcosa in un piccolo bar vicino al cinema, che dava poco nell’occhio. Lui prendeva una birra e lei un aperitivo al vino bianco.

Rose non temeva più, come all’inizio, di dover allacciare una relazione sofisticata da cocktail bar. Il locale era tranquillo e discreto e lei si sentiva perfettamente a suo agio.

Oltretutto, Gareth non voleva saperne di farle spendere un solo penny per le bevande o il biglietto del cinema.

«Io lavoro, e per di più guadagno uno stipendio di tutto rispetto, mentre tu stai ancora studiando. Lasciati viziare un po’», dichiarò risoluto la prima volta che Rose tentò di pagare i popcorn.

E così fu. Lasciò che lui l’aiutasse a sedersi, che le tenesse aperte le porte per farla entrare per prima e non obiettò neppure quando lui insistette per scegliere al suo posto il gusto del gelato, affermando che quello cioccolato e uvetta fosse di gran lunga superiore alla noiosa vaniglia che lei avrebbe preferito. E aveva ragione lui; era molto più bello così.

Le piaceva l’idea di lasciargli le redini della situazione e che lui si prodigasse così. Sembrava che Gareth tenesse davvero a lei, anche se Rose era consapevole che non fosse possibile, non così presto.

Allontanarsi da casa e dalle costanti critiche dei genitori apportò un incredibile cambiamento al suo umore. Rose spiegava bene, ogni volta che usciva con lui, che aveva appuntamento con gli amici del college. Era straordinariamente facile sgattaiolare fuori senza subire alcun controllo e godersi la lontananza da quell’atmosfera opprimente.

Aveva notato che Billy non la implorava più di accompagnarla e, anche se negli ultimi tempi era diventato piuttosto taciturno e riservato, sembrava aver trovato il modo di cavarsela senza di lei.

Gareth diceva che gli avrebbe fatto bene e Rose si convinse che aveva ragione.

Dopo il film, lui la riaccompagnava sempre a casa, si salutavano allo stesso incrocio al quale si incontravano, in largo anticipo rispetto al coprifuoco delle undici che il padre aveva stabilito l’anno precedente e non aveva più cambiato.

Dal momento che Rose usciva di rado, prima di allora non si era mai posto il problema.

«Non vogliamo certo farti passare dei guai con il tuo vecchio, no?». Gareth sorrise e Rose sospirò di sollievo per essere arrivata a casa in tempo.

In quell’occasione, lui le diede il solito bacio casto sulla guancia e le chiese di uscire di nuovo il venerdì seguente.

«Pare ci sarà bel tempo. Hai qualche idea per una passeggiata nei dintorni, al posto del cinema?»

«Sì, potremmo fare un picnic alla chiesa di Annesley», propose lei. «C’è un parco delizioso».

«Oh. Io avevo pensato di visitare l’abbazia e fare una passeggiata nei giardini. Poi potremmo bere qualcosa da me, se ti va», rilanciò Gareth. «Cosa ne dici?»

«Splendido», rispose Rose, annuendo eccitata per l’invito a casa sua, ma chiedendosi allo stesso tempo quale scusa presentare al padre.

Gareth piegò la testa da un lato e sembrò indovinare il suo dilemma.

«Pensi di riuscire a scappare da Colditz, Rosie?».

Lei fece spallucce, mordendosi il labbro. «Mi verrà in mente qualcosa».

Non doveva pensare ai genitori in quel momento. Voleva solo godersi gli ultimi minuti con Gareth.

Lui insistette per accompagnarla a piedi fino all’imbocco di Tilford Road e, dopo aver perlustrato la via, le posò un unico, delicato bacio sulle labbra tremanti.

Rose stava quasi per mettersi a ballare verso casa, invece si allontanò a passo fermo, sentendo contro la schiena lo sguardo rovente di Gareth. Lui rimase a fissarla finché non la vide arrivare in fondo alla strada, poi si salutarono con un cenno della mano mentre Rose infilava la chiave nella porta.

Erano al quarto appuntamento e non sarebbe potuto andare meglio di così. Rose era uscita nei panni della solita sciocca ragazzina del college ed era rientrata sentendosi una vera donna.

Gareth sarebbe stato un ottimo partito per qualunque ragazza dei dintorni, eppure aveva scelto di uscire con lei e di invitarla a casa sua. Sembrava ci tenesse davvero.

Cassie sarebbe stata stragelosa.

 

Il giorno seguente Rose girovagò per il college leggera e sognante. Di ritorno in autobus nel pomeriggio, sorrise ripensando alla reazione di Cassie dopo il racconto dettagliato della serata.

«Sul serio, Rose, credi di aver trovato il vero amore?», le aveva chiesto con occhi sgranati.

«Come faccio a chiamarlo “amore”, stupidella?», sbuffò Rose. «Ci siamo appena conosciuti».

Ma Cassie era sempre stata innamorata dell’idea di innamorarsi.

«Gareth sembra così coinvolto e appassionato. Secondo me, si è innamorato di te, anche se tu non provi ancora lo stesso». L’amica le stritolò il braccio. «Sono pazza di gelosia!».

Lei non respinse la sua ipotesi sui sentimenti di Gareth. Anzi, l’idea non le dispiaceva per niente.

Cassie volle sapere nei minimi dettagli l’abbigliamento e il trucco scelti per l’appuntamento. Come prevedibile, se la prese quando Rose le confessò la verità nuda e cruda.

«Stai scherzando? Mi stai dicendo che sei uscita con i tuoi jeans del cavolo e una maglietta?», chiese inorridita. «Devi farti dare una controllatina al cervello. Sei proprio una sfigata, Tinsley».

«Gareth ha detto che ero adorabile», puntualizzò Rose.

«Ma è ovvio, sono i primi appuntamenti!». Cassie abbassò il tono. «Avete… insomma, avete giocherellato un pochino al cinema?»

«No».

«E in macchina quando siete rientrati?»

«No!».

Cassie scosse la testa lentamente e la fissò come se Rose non avesse speranze. «Be’, ti consiglio di dare una bella accelerata, la prossima volta. Ormai uscite insieme da un pezzo e, insomma, non vorrai mica rischiare di annoiarlo, giusto?».

Rose si vide costretta ad ammettere di no.

«Quando lo rivedrai?»

«Venerdì sera. Faremo una passeggiata all’abbazia di Newstead e poi mi ha chiesto di andare da lui, se riesco a trovare una scusa plausibile da raccontare ai miei».

Cassie si rabbuiò. «Ma ti ho detto la settimana scorsa che mia mamma passerà la notte da zia Noreen e diamo una festa a tutto alcol, non ti ricordi?»

«Cavolo, mi dispiace, Cassie. Me l’ero scordato».

«Fantastico». Cassie incrociò le braccia con aria offesa.

«Non preoccuparti, cambierò giorno con Gareth».

«Davvero?», sorrise l’amica con imbarazzo. «È carino da parte tua, Rose, grazie. Non sarebbe lo stesso senza di te. Anzi…», aggiunse illuminandosi in viso, «perché non porti anche lui?»

«Oh!». Rose deglutì. «Non so, insomma…».

«Che c’è?»

«Be’, è molto più grande di tutti gli altri invitati e potrebbe sentirsi a disagio».

«Ah, capisco. Ora non andiamo più bene per te, giusto?»

«Non dire fesserie». Rose le diede una spintarella amichevole. «Glielo chiedo, okay?»

«Ci conto», sorrise Cassie. «Almeno potremo rifarci gli occhi in mezzo a tutti quei ragazzini brufolosi del college e agli amici sfigati di Jed».

Gareth si era accordato con Rose per richiamarla quella sera alle otto e lei aveva ridacchiato del suggerimento di usare la solita tattica per rispondere al telefono.

«Indosserò di nuovo la mia gonnellina frou-frou e fingerò di essere la tua amichetta del college».

«Beth», aveva precisato Rose.

«Sì», aveva confermato lui. «Diventerò Beth».

Ora, mentre scendeva dall’autobus con un balzo, Rose pensò a come dirgli che dovevano rinviare l’appuntamento.

A dire il vero, non aveva la minima voglia di andare da Cassie quel venerdì sera. L’amica aveva già organizzato altre «feste a tutto alcol», come le chiamava lei, ed erano noiose da morire se non ci si ubriacava, cosa che Rose non faceva mai.

Eppure, si sentiva in colpa a darle buca all’ultimo momento dopo aver preso l’impegno con lei.

Era certa che Gareth avrebbe capito.

Non fidarti di lui
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