Capitolo quarantasei

Rose

Oggi

 

Arrivo a casa mezz’ora dopo. Fuori dalla porta di Ronnie c’è un’automobile che non ho mai visto.

Decido di passare a cambiarmi e poi controllare come sta, prima di andare in biblioteca. Occupandomi di Ronnie mi sembra di giocare al tiro alla fune. Sto aiutando l’assassino di Billy? O mi sto prendendo cura di un vicino anziano, una persona squisita e meravigliosa?

Mi sforzo con tutta me stessa di arginare quei pensieri. È l’unico modo per andare avanti.

Chiudo la porta a chiave alle mie spalle, controllo che al piano terra sia tutto come l’avevo lasciato, poi salgo in camera mia.

Sfilo i jeans e la canotta e mi accorgo di avere la schiena fradicia. Mi provoca un tale disagio che decido di farmi un’altra doccia veloce. Dieci minuti più tardi mi sento più fresca e indosso i pantaloni neri da lavoro e la camicetta bianca.

Sulle scale avverto un cupo brontolio e scopro che proviene dal mio stomaco. Non tocco niente da ieri, ma al solo pensiero di mangiare la mia mente si blocca disgustata.

Ricordo di esserci già passata. A quel tempo, nel pieno dell’orrore, in qualche modo controllare il cibo mi faceva sentire più in controllo della mia vita. Ora so che non è logico e sembrerebbe poco sensato a qualunque persona ragionevole ma, ciononostante, mi conosco abbastanza bene da ammettere che era quella la mia realtà.

Devo mangiare, lo so. Ma non ora.

A casa di Ronnie c’è la badante.

«Buongiorno», mi saluta allegra con un accento dell’Est Europa, quando busso alla porta della cucina ed entro. «Mi chiamo Claudia, verrò qui tutti i giorni, un’ora al mattino e un’ora al pomeriggio, per aiutare il signor Turner finché non starà meglio».

«Piacere, Claudia». Ci stringiamo la mano. «Io sono Rose, la vicina di Ronnie».

«Ah, sì, mi racconta sempre di te, Rose. Dice che sei il suo angelo! È felice perché viene suo figlio a trovarlo».

«Eric?», domando stupita.

«Sì, Eric, dall’Australia», conferma lei con un gran sorriso.

Mi mordo l’interno della guancia. «Come sta Ronnie?»

«Sta bene. Se hai voglia di portargli da bere, tra un minuto arriverò con il suo sandwich».

Ronnie è seduto nel suo letto.

«Rose!». Mi sorride. «Il mio Eric sarà qui tra qualche giorno. Gli ho dato il numero della biblioteca per confermarti i dettagli, spero non ti dispiaccia».

«Nessun problema, Ronnie». Poso il bicchiere sul comodino e faccio del mio meglio per scacciare ogni altro pensiero. Sembra vecchio e fragile, bloccato nel suo letto in pigiama. «Come ti senti?»

«Mi conosci, Rose…», sorride debolmente, «sono un guerriero e tornerò in forma in men che non si dica».

«Prima devi riposare, Ronnie», lo rimprovera Claudia con tono scherzoso, entrando nella stanza. «Niente guerre per ora».

«Raccontale com’ero da giovane». Mi fa l’occhiolino. «Forte come un toro, non è vero, Rose?».

Rimango di sasso. Vedo Billy, mentre insegue l’aquilone nei prati dell’abbazia. Ronnie, com’era un tempo, che appare dal nulla e lo blocca con una mossa violenta, poi lo trascina tra i cespugli e…

«Rose?».

Allento i pugni e riprendo a respirare.

«Ti senti poco bene?», chiede Claudia preoccupata.

«Sto bene. Scusate, ora devo andare». Mi volto verso Ronnie con gli occhi che mi bruciano. «Passo a trovarti più tardi, Ronnie, così ci facciamo un tè e due chiacchiere».

Lui distoglie lo sguardo da Claudia e lo posa su di me.

«Per te va bene?», gli chiedo.

«Sì», risponde con un lieve sorriso sulle labbra. «Va bene, Rose».

Non fidarti di lui
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