Capitolo quarantotto

Rose

Oggi

 

Alzo lo sguardo dal computer e vedo Jim che mi fissa, immobile di fronte a me.

«Stai bene, tesoro?», domanda. «Ti ho già chiesto due volte fino a che ora hai bisogno di me, oggi».

«Scusa, Jim». Chiudo la finestra del catalogo online che stavo fingendo di consultare. «Solo fino all’ora di chiusura, oggi ho bisogno di tornare a casa».

Per una volta, non vedo l’ora di arrivare a casa mia e chiudermi la porta alle spalle. Mantenere questa maschera è estenuante e non desidero altro che tirare le tende davanti alle finestre e raggomitolarmi sul divano.

Jim sospira di sollievo. «Fantastico, Rose, grazie. Vedi, Janice ha un controllo in ospedale nel pomeriggio e se non stacco all’ora di chiusura sarà dura riuscire ad accompagnarla in tempo».

«Nessun problema». Gli sorrido, sentendomi in colpa per il fatto che abbia dovuto chiedermelo.

«Come sta Ronnie?».

Lo guardo con aria assente.

«Ronnie», ripete Jim. «Sta migliorando?».

Deglutisco. Non voglio dirgli che è già tornato a casa, altrimenti tutto il paese comincerà a fargli visita e io più tardi ho necessità di parlare con lui in santa pace.

«Sta un po’ meglio. Erano molto indaffarati in reparto stamattina, al telefono sono di poche parole».

«Certo», annuisce. «Corrono come matte, quelle povere infermiere. Ma si staranno prendendo cura di Ronnie. È il posto migliore per lui finché non si sarà rimesso in forze».

«Infatti», confermo.

Il volto di Ronnie mi si affaccia alla mente: i lineamenti segnati dal tempo, gli occhi che si socchiudono quando ride, i denti gialli e le gengive ritirate, la pelle tesa intorno alle labbra a chiazze e la sua furia sferzante, con tanto di colpi alla finestra, quando scorge i gatti del vicinato nel suo giardino.

Mi alzo, presa dall’ansia di allontanarmi da Jim e dalla signorina Brewster diretta verso il bancone.

«Torno subito», balbetto, quasi ribaltando la sedia. «Ho bisogno di…».

Sfreccio accanto a Jim come una saetta per raggiungere il bagno e colgo lo sguardo preoccupato che lui si scambia con la signorina Brewster. Entro nel cubicolo più ampio e chiudo la porta a chiave, poi mi appoggio al lavandino incrinato e fisso allo specchio il mio viso smorto e gli occhi stralunati.

Come farò ad affrontare Ronnie più tardi? La sola idea di trascorrere del tempo con lui mi fa accapponare la pelle.

Allora provo a pensare ad altro; quando la sensazione svanisce, comincio a pormi delle domande.

Dev’esserci per forza una ragione logica per la presenza della copertina a casa di Ronnie. Insomma, se lui c’entrasse qualcosa, perché mai avrebbe dovuto conservare una prova così lampante?

Avrebbe potuto bruciarla, gettarla in un bidone dell’immondizia… o qualsiasi altra cosa.

Non ha alcun senso.

Sto trafficando con il database dei libri in catalogo, per perdere tempo, quando qualcuno tossicchia. Alzo lo sguardo: davanti al bancone ci sono un uomo e una donna, entrambi in abiti scuri.

«Scusatemi!». Allontano le carte. «Avevo proprio la mente altrove. Come posso aiutarvi?».

La donna mi mostra un tesserino plastificato appeso a un cordino. «Cynthia Colton e Greg Allsop del Notts County Council. Pensavamo ci aspettasse».

Oddio. Oddio. Oddio!

La visita ispettiva alla biblioteca per la consultazione finale. Mi era completamente sfuggito dalla testa. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che ho controllato l’agenda della biblioteca. Era sempre il mio primo e ultimo compito della giornata.

«Mamma mia, è già ora?». Tento disperatamente di darmi un contegno e riformulare la frase. «Certo che ricordavo della visita, ma stamattina il tempo è proprio volato, sapete».

I due si guardano.

Con la coda dell’occhio noto che l’angolo dei bambini non è ancora stato riordinato dopo la consueta lettura del dopo pranzo. Sono rimasta indietro anche con i libri restituiti e le pile di volumi da sistemare svettano sul bordo ricurvo del bancone come fossero una barriera. Ben lungi dalla perfezione.

«Posso offrirvi qualcosa da bere? Una bevanda calda, o dell’acqua fresca?», farfuglio.

«Siamo a posto così, grazie, non abbiamo molto tempo». Cynthia mi concede un sorriso tirato. «Come precisato nella lettera, ci piacerebbe visitare la struttura».

«Ma certo». Mi rendo conto di sorridere fin troppo. «Vado a chiamare il nostro custode, il signor Greaves, che sarà lieto di accompagnarvi».

Convoco Jim, tentando di evitare lo sguardo da serpente di Cynthia che guizza sul disastro della mia scrivania. Con un po’ di fortuna riuscirò a segnalare al custode di mostrare prima la zona ufficio e il cortile, per poter correre a sistemare alla bell’e meglio il resto.

«La signora desidera?». Jim compare sulla soglia con il solito atteggiamento scherzoso e informale.

Tossicchio. «Ehm, sì. Cynthia e Greg sono qui per l’ispezione di cui le parlavo», spiego in modo eloquente, sgranando gli occhi per incoraggiarlo a reggermi il gioco. «Aveva proposto di fare da cicerone e mostrare loro la nostra struttura, ricorda?».

Per un attimo Jim mi osserva perplesso, ma poi capisce. «Ah, certo. Ora ricordo. Prego, da questa parte».

Quasi svengo per il sollievo, quando i due marciano fuori dalla sala principale, diretti agli uffici. Jim mi fa l’occhiolino sorridente e li segue.

Non fidarti di lui
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