Capitolo quarantatré

 

 

 

 

 

Sedici anni dopo

 

Rose bussò alla porta di Cassie e venne ad aprire Jed.

La madre le aveva detto che era tornato a casa, ma Carolyn era ancora preoccupata per lui. Aveva raccontato a Stella che incolpava se stesso per l’aggressione subita da Cassie.

«È a letto», disse Jed a Rose, fissando un punto nel vuoto poco sopra la sua testa.

«Voglio solo scambiare due parole con lei», lo implorò Rose, facendo un passo avanti. «Per favore, Jed, mi bastano cinque minuti».

Lui si raddrizzò in modo da riempire del tutto la porta.

«È a letto e ha lasciato istruzioni di non essere disturbata», riferì come un automa.

Rose lo scrutò, ma non vide alcuna reazione.

«Perché fa così?». La compostezza contenuta di Rose cedette. «Siamo amiche da Dio solo sa quanti anni e mi tratta come fossi un’estranea».

Il ragazzo rimase immobile, il volto impassibile.

«Dài, Jed…», proseguì lei con tono più morbido, «è traumatizzata, non le farà alcun bene starsene in camera tutta sola. Anche tu sarai preoccupato per lei e io posso aiutarla, sai che è così».

«Mi dispiace Rose, ma non puoi entrare». Jed indietreggiò svelto e le chiuse la porta in faccia.

Rose batté i pugni contro la porta per la frustrazione, poi si voltò, il viso rigato dalle lacrime per quell’ingiustizia. Capiva bene che non volesse incontrare nessuno, ma era lei, per la miseria.

La loro amicizia di recente aveva subìto qualche scossone, soprattutto per la sua relazione con Gareth, e adesso Rose comprendeva meglio gli avvertimenti di Cassie.

Ecco perché voleva vederla per qualche minuto. Per dirle che adesso aveva capito che aveva sempre avuto ragione.

Fino a poche settimane prima, Cassie avrebbe chiesto di lei nello sconforto, non l’avrebbe respinta in quel modo.

Avevano bisogno l’una dell’altra, ora più che mai. Cassie era l’unica persona nella quale Rose potesse davvero confidare.

Il padre avrebbe strangolato Gareth, se avesse scoperto come aveva trattato lei e Billy, anche a costo di perdere l’unica occasione di assicurarsi un futuro.

Mentre percorreva la strada di Cassie, ancora avvilita per il brusco rifiuto di Jed, un’automobile color argento attraversò molto lentamente l’imbocco della via. Rose non vi badò, finché un paio di minuti dopo non la vide ripassare.

Era troppo lontana per identificare la persona al volante, ma le provocò un certo disagio. La strada era immersa nel silenzio. Non c’era traffico e Rose non aveva ancora incrociato anima viva.

Proseguì ancora per un po’. L’automobile era sparita e lei scosse la testa, lasciandosi sfuggire una risatina per quello scherzo dell’immaginazione.

Con tutta probabilità si trattava di qualcuno che si era perso o cercava una via particolare. A chi non era pratico, il paese poteva sembrare un tortuoso labirinto di vicoli identici tra loro.

Rose raggiunse l’inizio della via e fece per attraversare quando, di colpo, un’automobile sbucò fuori dal nulla e accelerò verso di lei. Rose saltò di nuovo sul marciapiede, ma inciampò e cadde con un grido, slogandosi la caviglia.

Tentò di rialzarsi, ma le faceva troppo male. Non le restava che strisciare verso il muro e usarlo come sostegno.

Nonostante il forte dolore, Rose udì il rombo di un motore. Alzò lo sguardo e vide l’auto grigia ferma sul lato opposto della via; il finestrino del conducente era abbassato.

«Ciao, Rose», disse Gareth, scendendo.

Lei si sforzò di rimettersi in piedi, ma non poteva poggiare a terra la caviglia sinistra. In meno di un secondo, Gareth torreggiava su di lei.

«Posso aiutarti a salire in macchina o costringerti, Rosie», disse allegro. «Per me non fa differenza».

Rose lo fissò, temendo che cominciasse a inveirle contro da un momento all’altro. Doveva rimettersi in piedi.

«Gareth, ne abbiamo già parlato. Non stiamo più insieme e io non…».

«Voglio solo parlarti. Nient’altro. Non farne una questione di Stato».

Rose riuscì a spostare quasi tutto il peso sulla gamba buona. Reggendosi al muro vicino, fece per alzarsi.

«Non posso parlare ora, devo tornare a casa».

Lui fu rapidissimo. Con una mano le afferrò un braccio e con l’altra la prese per i capelli. Rose strillò per il dolore alla testa e alla caviglia, mentre lui la sollevava di peso trascinandola attraverso la strada.

«Smettila», gridò Rose. «Ti prego, lasciami in pace!».

Gareth le lasciò i capelli, ma solo per serrarle la bocca con la mano. Lei continuò a strillare, ma la sua voce si ridusse a un debole lamento soffocato.

Con gli occhi si perlustrò attorno disperata, ma nei paraggi non si vedevano pedoni né altre automobili. Rose pregò che qualcuno stesse guardando, che qualcuno notasse qualcosa della sua vana lotta, da una delle villette a schiera allineate lungo la via. La gente del posto era ficcanaso per natura e Rose non ci aveva mai sperato tanto come in quel momento.

Nessuno sapeva dove fosse. I suoi genitori non avevano la minima idea che stesse frequentando Gareth o il suo appartamento. Suo padre era felicemente ignaro di qualunque cosa fosse accaduta e che il suo futuro nel progetto aveva le ore contate.

E Billy… povero, piccolo Billy, che le aveva giurato di non dire una parola sui maltrattamenti subiti da Gareth. Convincerlo a tenere la bocca chiusa le era sembrata la cosa giusta in quel momento, ma ora sperava e pregava che lui, non vedendola rientrare a casa, spifferasse tutto.

C’era cascata come una stupida di fronte alla volontà di Gareth di rimanere amici. Aveva creduto di poterlo tenere a bada.

Lui la scaraventò sul sedile del passeggero e sbatté la portiera. Mentre tornava deciso verso il posto di guida, Rose tentò di riaprirla, ma Gareth doveva aver inserito il blocco di sicurezza per i bambini perché la maniglia si abbassava invano tra le sue dita.

Quando si aprì lo sportello del conducente, Rose tentò di tuffarsi fuori da quella parte, ma Gareth la respinse con brutalità e le sferrò un ceffone sulla testa.

«La prossima volta ti arriva un pugno, quindi tappati quella cazzo di bocca».

Lei si rannicchiò sul sedile e lo guardò con la coda dell’occhio. Gareth serrava il volante con entrambe le mani, curvo in avanti, gli occhi sgranati e fissi sulla strada.

Rose non riconosceva più chi fosse la persona accanto a lei.

Quando l’automobile rallentò davanti a casa sua, Gareth si voltò.

«Posso usare le maniere buone o le cattive», disse tranquillo. «Voglio solo parlare con te e poi ti lascerò andare. Sto per andare via dal paese e se farai la brava tuo padre potrà mantenere il lavoro. Ti chiedo solo di fare due chiacchiere, nient’altro».

Rose aveva pensato di mettersi a gridare non appena lui avesse aperto la portiera, ma quelle parole le bloccarono il fiato in gola.

Se lei avesse acconsentito a parlargli, sarebbe finito tutto bene. Le cose per suo padre sarebbero andate per il verso giusto e presto Gareth sarebbe uscito dalle loro vite.

Così gli permise di darle una mano a salire le scale verso l’appartamento del primo piano. Lui sembrava essersi calmato. Ridicolo a dirsi, ma pareva addirittura preoccuparsi di nuovo per lei.

Una volta dentro, l’aiutò a sistemarsi sul divano.

«Torno subito», le disse con un sorriso e sparì in cucina.

Rose guardava fisso davanti a sé con occhi vitrei. Avvertì un dolore sordo, nel profondo del cuore, non appena l’enormità di quello che aveva combinato le si abbatté sulla testa.

Aveva commesso un errore madornale a fidarsi di quell’uomo. Aveva contribuito a tenere segreta la loro relazione, costretto Billy a mantenere il silenzio, allontanato la famiglia e gli amici… Aveva mentito a tutti coloro che le volevano bene, li aveva ingannati.

E quel che era peggio, ne era stata pienamente consapevole. Era stata complice e partecipe del raggiro di Gareth Farnham.

Un bicchiere di succo d’arancia le apparve davanti agli occhi.

«Immagino tu abbia la gola secca dopo il casino che hai fatto in strada», osservò lui.

Gareth era un pazzo. Pericoloso. Rose doveva restare calma, perché lui si convincesse che tutto fosse normale e concludesse la chiacchierata il prima possibile. Poi lei doveva trovare il modo di tornare a casa sana e salva.

Aveva lasciato che la situazione si dilungasse troppo; lavoro o non lavoro, era giunto il momento di parlare con il padre.

Bevve una lunga sorsata. Il liquido freddo e dolce fu un toccasana per la sua gola riarsa. Per un breve istante, la parte più stupida di Rose si domandò se le cose non potessero sistemarsi davvero, pur conoscendo ovviamente la risposta.

Non ci volle molto prima che cominciasse a sentirsi strana. Lui le stava parlando e a quel punto Rose si rese conto di avere davanti due Gareth. Quando lui scoppiò a ridere, la sua voce le giunse rallentata e distorta.

Rose lasciò cadere il bicchiere e gli tese le mani. Nella sua testa, le parole si articolavano alla perfezione, ma il suono che le uscì di bocca fu un solo, lungo grido lamentoso.

Non fidarti di lui
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