Capitolo dieci

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Rose strizzò forte gli occhi, si voltò verso lo specchio e li riaprì.

«Wow», sussurrò.

«“Wow” è la parola giusta», concordò Cassie. «Sembri una modella. Dimostri almeno vent’anni, anziché i tuoi dodici circa».

Rose le fece una linguaccia allo specchio, ma i suoi occhi tornarono subito all’immagine riflessa. Non riusciva a smettere di guardarla.

Il paragone della modella era un po’ esagerato, ma sembrava davvero più adulta, molto più navigata e sofisticata.

Constatò compiaciuta che l’amica aveva messo in risalto il verde dei suoi occhi, sfumando con tocco leggero un ombretto color oro e cioccolato, e ne aveva ridefinito l’aspetto tondo e infossato con un eye-liner nero sottile. Così, notò Rose, sembrava meno un maiale e più una gattina sinuosa.

La pelle pallida e cosparsa di macchie era diventata una tela di porcellana uniforme e senza difetti, e per la prima volta in vita sua le labbra, dall’intensa tonalità prugna, apparivano carnose e sensuali.

«Sei un autentico schianto», dichiarò Cassie con un enorme sorriso. «Che te ne pare?»

«Non riesco a crederci. Mi piace da morire!». Rose si girò, ancora seduta, e abbracciò forte l’amica.

«Attenta a non sbavare tutto», rise Cassie, allontanandola un poco. «Non voglio che il mio straordinario talento vada sprecato».

«Grazie infinite, Cass».

«De nada», rispose l’altra con un cenno della mano. «Ora, veniamo a cosa dovrai fare al cinema con Gareth. Qualche idea?».

Rose corrugò la fronte. «Guardare il film e poi parlarne insieme?»

«No, no, no!», esclamò Cassie, scuotendo il capo disperata in sincronia con le parole. «Quando uscirai dall’Odeon, non dovrai ricordare un bel niente del film, stupidina».

«Perché?»

«Perché sarai fin troppo impegnata a guardarlo, se capisci cosa intendo…». Cassie si sedette sul bordo del letto e picchiettò lo spazio vuoto accanto a sé. Rose si sedette ubbidiente. «Allora, immagina di essere al cinema proprio in questo istante, okay? Il film è cominciato e tu sei bella comoda e rilassata. Dopo una decina di minuti o giù di lì, potresti allungare una mano verso la sua gamba, così». Premette la mano sulla coscia di Rose e cominciò a sfregarla in modo seducente.

«Piantala!», strillò lei e si scostò con un balzo, ridendo a crepapelle.

«Rose! Non è un gioco. Gareth non è un bambino, sarà abituato a frequentare donne vere. Donne sicure di sé che sanno perfettamente cosa fare. Capisci cosa intendo?».

Rose scivolò di nuovo al suo fianco.

«Se ti sembra troppo ardita come prima mossa, puoi semplicemente posargli la testa sulla spalla o spostare una gamba verso di lui in modo che le vostre ginocchia si sfiorino, così». Cassie premette leggermente il ginocchio contro il suo.

«Okay», rispose Rose dubbiosa.

Per la mezz’ora successiva, l’amica le illustrò l’intera gamma di possibilità: dal banale sfioramento di ginocchia fino a rasentare il rapporto completo sulla poltrona del cinema. Rose non intendeva seguire nessuno dei suggerimenti, ma ascoltò in silenzio fingendo di prestare la massima attenzione.

Aveva imparato fin dalle elementari che, quando Cassie si metteva in testa qualcosa, non c’era verso di fermarla. Era più semplice lasciarla parlare.

La madre dell’amica fece capolino alla porta. «Vado a bere qualcosa con Barbara allo Station Hotel. Caspiterina, ma sei proprio tu, Rose? Sei favolosa».

«Grazie, Carolyn». Rose sorrise imbarazzata. Era bello, una volta tanto, sentirsi sicura del proprio aspetto.

Appena Carolyn uscì, le ragazze scesero in salotto. Cassie accese il CD di Britney al doppio del volume consentito dalla madre e Rose andò a prendere i due Bacardi Breezer che l’amica aveva nascosto in fondo al frigorifero.

Poi iniziarono a piroettare con movenze sensuali, scambiandosi colpi di fianchi e glutei a ritmo di musica, e a tracannare dalla bottiglia. Nel giro di poco caddero sul divano, esauste e incapaci di parlare a forza di ridere.

Quando Rose ripartì, si era già fatto buio. Imboccò la strada a passo veloce, gustandosi l’aria fresca e il silenzio dopo tutta la musica sparata nei timpani. Si sentiva il traffico scorrere regolare sulla strada principale del paese, ma nelle vie secondarie non si vedeva l’ombra di un’automobile.

Si era divertita un mondo a casa di Cassie. Quando si era guardata allo specchio, dopo il cambio di look, si era sentita come una farfalla appena uscita dal bozzolo. Non avrebbe mai immaginato di poter diventare così… attraente.

Poteva abituarsi sul serio a usare quell’aggettivo per se stessa?

Ora, rientrando a casa, aveva l’impressione che l’avessero estrapolata dal solito tran tran di ragazzina del college per collocarla sul sentiero per diventare donna. Un appuntamento con un uomo vero e una nuova immagine sexy nel giro di poche ore… Rose riusciva a malapena a capacitarsene.

Ma lo avrebbe fatto, si disse tra sé, si sarebbe abituata, perché era un sacco più eccitante di come era stata la sua vita fino a quel momento.

Passando sotto un lampione, Rose guardò l’ora. Non erano nemmeno le sette e un quarto. Non aveva alcuna fretta di rincasare, per atterrare con un tonfo e ritrasformarsi nella solita monotona Rose. Anche se in realtà era impaziente di parlare con Gareth, nonostante l’agitazione al pensiero che il padre la scoprisse al telefono con un ragazzo.

Decise di percorrere il tragitto lungo e poi tagliare attraverso il parco e sbucare in fondo alla sua via.

Mentre camminava, rivide nella mente l’immagine di Gareth: i suoi capelli scuri e ordinati e gli occhi espressivi. Non era troppo muscoloso né magro; aveva una corporatura perfetta per la sua statura, che Rose stimava attorno al metro e ottanta, una decina di centimetri più alto di lei.

Aveva una voce profonda e autorevole. Mentre chiacchieravano, le era parso così colto e maturo… Era semplicemente perfetto!

Varcando la soglia del piccolo parco che l’anno prima il comune aveva costellato di giochi e strutture d’arrampicata per i bambini della zona, Rose pensò a come sarebbe stato baciare Gareth e rabbrividì.

D’impulso, si sedette su un’altalena, dondolandosi piano senza staccare i piedi da terra. Chiuse gli occhi e sorrise, la testa appoggiata contro la catena gelida, immaginando di premere la guancia contro il petto di Gareth.

Un rumore alla sua sinistra le fece riaprire gli occhi di scatto. Rose balzò in piedi e scrutò verso i cespugli bui dai quali era giunto quel suono di ramo spezzato.

«C’è nessuno?». Si avvicinò e si rimise all’ascolto.

Niente. Probabilmente era stato un gatto. Rose alzò le spalle e ridacchiò tra sé e sé, di nuovo immersa nelle sue fantasie a oggetto maschile mentre si dondolava sull’altalena. Ecco il risultato di qualche goccio e danza selvaggia di troppo.

Eppure, non ricordava di essersi mai sentita così eccitata e nervosa in ugual misura.

Sospirò, pensando che avrebbe fatto meglio a rientrare per non perdere la chiamata di Gareth.

Raggiunse l’uscita del parco e attraversò la strada fino alla sua abitazione, con le luci già accese nel salotto che si affacciava sulla via.

Non si guardò alle spalle. Né vide la figura che sbucava dai cespugli e rimaneva a osservarla mentre lei girava la chiave nella porta d’ingresso.

Non fidarti di lui
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