Capitolo trentaquattro

Sedici anni prima

 

Il mattino seguente Rose e Stella andarono a casa di Cassie.

Carolyn si presentò alla porta in camicia da notte, il viso rigato dalle lacrime e i capelli ricci per la permanente che guizzavano in ciuffi scomposti. Era noto che le piacesse alzare un po’ il gomito, ma Rose non ricordava di averla mai vista in quello stato.

Stella si fiondò verso Carolyn e la strinse a sé. Rose si aspettava di vederla scoppiare in singhiozzi incontrollati, ma non accadde. La madre di Cassie rimase immobile e pietrificata con le braccia lungo i fianchi, gli occhi fissi e sgranati.

Era quasi più inquietante che vederla piangere.

«Vado a fare il tè», suggerì Rose, superando le due donne per raggiungere la cucina.

«No!», strillò Carolyn, sciogliendosi dall’abbraccio di Stella. «Hanno detto che non possiamo ancora entrarci».

Rose si bloccò sulla soglia sbarrata dal nastro isolante giallo e si guardò attorno. Sembrava che qualcuno avesse svuotato metà del contenuto degli armadietti, sparpagliandolo per tutto il ripiano.

Doveva essere successo lì. Gli occhi di Rose furono attirati dalle macchie scure sul tappeto a quadri, davanti alla porta che dava sul retro.

Disgustata, si voltò e tornò in salotto. Carolyn aveva ripreso a parlare.

«Stavo quasi per non andare da Noreen, sapete. Stava poco bene, invece l’ho convinta che bere qualcosa le avrebbe giovato». Si coprì il viso con le dita aperte e macchiate di nicotina.

«Carolyn, tesoro, non puoi prenderti la colpa dell’accaduto», la rassicurò Stella con dolcezza, accarezzandole sulla nuca i capelli ispidi e secchi tinti di rosso. «L’unico colpevole qui è quel… quel mostro che ha aggredito Cassie».

«Non nominarlo!», piagnucolò Carolyn. «Non riesco neppure a tollerare il pensiero. Nessuno ha più visto Jed; è sparito chissà dove. La polizia lo sa, dice che ormai è adulto e tornerà quando se la sentirà, ma lui non riesce a farsene una ragione. Ho paura che finisca per ammazzarsi, Stella».

Rose raggiunse il divanetto usurato di velluto a fantasia e si sedette all’estremità opposta rispetto alla madre. Jed era in uno stato terribile la notte precedente, quando l’aveva visto allontanarsi in fretta e furia da casa sua; si augurò che Carolyn si sbagliasse sullo stato mentale del figlio.

La donna alzò lo sguardo di colpo, il tono pieno di rimpianto, di accusa. «Di solito dormivi sempre qui da noi il venerdì sera, Rose. Perché stavolta non c’eri?».

Rose comprese all’istante che Cassie non aveva detto alla madre del loro litigio.

«Sono uscita con alcuni amici del college», rispose al volo, celando di aver trascorso la serata a casa di Gareth.

Stella annuì. «È rientrata per le undici, vero, tesoro?»

«L’ospedale la terrà sotto osservazione per un paio di giorni», proseguì Carolyn, e Rose riprese fiato, rendendosi conto che non avrebbe subìto altri interrogatori.

«Possiamo andare a trovarla?», domandò. «Vorrei tanto vederla».

«L’hanno sottoposta a ogni sorta di controlli orribili», riprese Carolyn, come se Rose non avesse parlato. «Ha una commozione cerebrale e ha perso molto sangue. Dicono che abbia afferrato un coltello, forse per difendersi, ma si è tagliata le mani».

Rose ripensò alle macchie color ruggine che aveva notato in cucina, sul tappeto a quadri.

«Ma è terribile», commentò Stella. «Povera piccola».

«Possiamo andarci oggi, mamma? A trovare Cassie?»

«Ma certo», rispose Stella. «Per te va bene, Carolyn?».

La donna annuì lentamente, ripiombando in quello strano stato di trance. «Ci vado questa mattina verso le undici. Potete venire con me, se vi va. Sono certa che sarà felice di vederti, Rose».

 

Carolyn comparve in fondo al corridoio dell’ospedale e si trascinò piano verso Rose e sua madre.

Aveva la bocca incurvata per la stanchezza, l’espressione abbattuta.

«Rose, mi spiace tanto. Cassie non vuole vederti». Carolyn tese i palmi all’infuori e scosse il capo perplessa. «Non ha voluto dirmi perché, ma non sente ragioni».

Rose guardò sua madre.

«Sembra molto confusa». Carolyn si torse le mani, rivolta verso Stella, il tono implorante. «Non è in sé».

«È più che comprensibile», si affrettò a rispondere l’amica. «Non fartene un cruccio, Carolyn. Che ne dici se passiamo a trovarvi quando tornerà a casa e si sentirà meglio?»

«Ma certo». Carolyn guardò Rose. «Mi spiace tanto, tesoro».

Lei sospirò. «Voglio solo che Cassie sappia che sono passata, che ero qui per lei. Puoi abbracciarla da parte mia?»

«Lo farò. Grazie di essere venuta, Rose».

Quando Carolyn scomparve di nuovo in fondo al corridoio e in camera di Cassie, Stella strinse la mano alla figlia.

«Non prenderla sul personale, Rose. La povera Cassie sarà traumatizzata, è naturale. Nessuno di noi sarebbe in grado di agire in modo razionale dopo quello che è successo. Un’esperienza così orribile scatena ogni sorta di emozioni: vergogna, paura…».

«Lo so, mamma», concordò Rose con un filo di voce.

Madre e figlia si diressero verso la fermata dell’autobus, ma presero due corse diverse. Stella aveva appuntamento dall’ottico a Hucknall, mentre Rose tornò a casa, adducendo il pretesto di qualche ora buca al college.

Mentre si sistemava sul sedile, prese il cellulare e riattivò la suoneria.

C’erano sei chiamate senza risposta e un messaggio, tutti di Gareth.

Non fidarti di lui
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