Capitolo cinquantadue

Rose

Oggi

 

«Che vuoi dire, Ronnie?». Mi si stringe la gola e le parole escono strozzate. «Perché provi rammarico?»

«So che per te è doloroso solo sentirlo nominare, Rose, ma c’è una cosa che mi tortura da quella notte».

Trattengo il fiato e fisso il mio anziano vicino di casa. Sembra avvicinarsi al dunque per poi allontanarsi di nuovo; mi parla, ma le sue parole risuonano confuse come se si sciogliessero le une nelle altre.

Sta per dirmi della coperta. Sta per confessare tutto.

«Rose?». Ronnie alza la voce e i suoni riemergono distinti.

«Scusa…». Rimetto la vista a fuoco. «Cosa stavi dicendo?»

«Dicevo che continuo a sentirmi in colpa per non averlo trovato durante le ricerche», ripete Ronnie, voltandosi verso la luce ormai fioca alla finestra. «Sono stato io a guidare i volontari verso il lago e l’abbazia, lontano dalla parte residenziale della tenuta. Lontano dai boschi dove… dove è successo tutto. Provo un grande rammarico per questo».

Lo fisso di nuovo. Non avevo mai considerato che all’epoca Ronnie avesse avuto il potere, come coordinatore delle ricerche, di sviare i volontari dal luogo in cui si trovava il corpo di Billy. Se avesse avuto a che fare con la sua morte, la copertura sarebbe stata perfetta. Oggi come oggi, la polizia avrebbe verificato ogni minimo dettaglio, ma all’epoca le cose funzionavano diversamente.

«Ti senti bene, Rose?».

Distolgo lo sguardo. Ronnie sembra rievocare il passato alla perfezione, nonostante ieri insistesse di non ricordare proprio nulla.

«Immagino tu abbia fatto ciò che potevi», mormoro, nel tentativo di non farlo distrarre. «All’epoca, intendo».

D’un tratto mi assale la paura che non capiterà un momento migliore di questo per parlargli della scoperta del ripostiglio. È la mia occasione, forse l’ultima, per carpire informazioni da Ronnie, perché al più presto dovrò decidere cosa fare di quella prova cruciale.

Senza dire una parola, allungo la mano verso la mia borsa e stringo le dita attorno al sacchetto di plastica trasparente al suo interno. Lo estraggo e lo poso sul letto tra me e Ronnie.

La copertina rossa, benché sbiadita, spicca sul copriletto chiaro come una chiazza di sangue.

Lui vi posa sopra lo sguardo e appoggia la tazza sul comodino.

«Te la ricordi, Ronnie?», domando con tono cauto. «È la copertina di Billy».

«Io… non saprei», risponde lui, agitando le dita lungo l’orlo del copriletto. «Da quando sono caduto, la mia memoria fa cilecca, Rose. Continua ad andare e venire».

«Billy la portava sempre con sé, dappertutto. L’aveva con sé anche il giorno in cui sparì. La vidi nel suo zaino mentre usciva. La polizia la cercò per settimane dopo l’accaduto».

Sembra che Ronnie non riesca a staccare gli occhi dalla copertina.

Mantengo il tono fermo e pacato. «Mentre eri in ospedale, l’ho ritrovata in una scatola. Nel tuo ripostiglio, Ronnie».

Lui scuote il capo.

«Sì. L’ho trovata lì dentro e ho bisogno di capire come ci è finita». Osservo la sua espressione frastornata. «Capisci quello che sto dicendo, vero, Ronnie? La polizia ha cercato questa copertina dappertutto e io la ritrovo sedici anni dopo, a casa tua. Non posso ignorare la scoperta; tradirei la memoria di Billy».

«Ma… come… Io non so perché, Rose. Insomma, se Billy l’aveva con sé il giorno in cui è sparito, come ci è finita qui?».

O gioca d’astuzia facendo il finto tonto, oppure è sinceramente confuso. Non riesco a distinguere.

«È il mio stesso dilemma, Ronnie». Esito un istante ma poi, consapevole che la gravità della situazione superi il rischio di turbarlo, proseguo. «Solo la persona che ha fatto del male a Billy poteva avere la copertina, capisci? Non c’è altra possibilità».

Ronnie annuisce perplesso. Socchiude gli occhi e alza lo sguardo verso l’alto. «Ma non si spiega perché sia qui», riflette.

Parlargli senza peli sulla lingua, senza accusarlo direttamente di essere coinvolto nell’omicidio di mio fratello, non ha funzionato.

Respiro a fondo.

«Il punto è, Ronnie, che quando andrò alla polizia, vorranno sapere…».

«La polizia?». Era pallido anche prima, ma d’un tratto il suo viso si prosciuga di ogni traccia di colore.

«Sì. La copertina è una prova cruciale. Non posso fingere di non averla trovata».

«No, ma…». Si porta una mano tremante alla bocca. «Potrebbero pensare che io c’entri qualcosa con la morte di Billy… Cosa dirà il mio Eric?». Gli si riempiono gli occhi di lacrime e si preme la mano sulla fronte. Il suo respiro si fa irregolare.

Balzo in piedi e corro da lui.

«Respira, Ronnie. Respira». Gli avvicino alle labbra il bicchiere d’acqua che Claudia ha lasciato accanto al letto e lui ne beve un piccolo sorso. «Va tutto bene. Non volevo farti agitare, ma dovevo chiedertelo. Lo capisci, vero, Ronnie?»

«Sì», risponde lui con un filo di voce.

«Lasciamo stare per il momento; non puoi agitarti così, mentre sei ancora convalescente». Una parte di me si oppone frustrata alle mie stesse parole. Ma la parte più grande rifiuta di accettare che quest’uomo fragile e anziano abbia fatto del male a mio fratello. «C’è solo una cosa che ho bisogno di sapere, Ronnie. Mentre ti portavano in ospedale, mi hai chiesto specificatamente di non salire al piano di sopra. Anche se non te lo ricordi, ti viene in mente perché puoi averlo detto? Perché non volevi che io venissi qui?».

Lui sprofonda nel cuscino e chiude gli occhi. Quando li riapre brevemente, gli tremano le labbra.

«Per quella roba nel baule». Gli trema la voce, cerca la mia mano e io lascio che me la prenda. «Mi vergogno così tanto, Rose. Ho portato un tale peso per tutti questi anni. Desideravo da tanto tempo confidarlo a qualcuno, ma…».

Mi precipito ai piedi del letto e scoperchio il pesante baule di legno intagliato.

«Rose, ti prego…».

Sento il ronzio delle sue parole, ma non riesco a distinguerle. Avevo già cercato lì dentro, ma…

Tiro fuori le lenzuola e le poso da una parte. Niente… Continuo a cercare. Coperte, federe. Guardo Ronnie con espressione frustrata.

«Tra le pieghe di un lenzuolo, c’è una busta…».

Riprendo in mano le lenzuola piegate con cura, le apro una a una finché… avverto un lieve fruscio di carta e le mie dita si stringono attorno a una grossa busta. La estraggo e la poso sulle gambe.

Ronnie continua a parlare, blatera qualcosa a proposito di famiglia e perdita e… Bandisco la sua voce e apro la busta con dita tremanti.

Sono solo documenti. Deglutisco il nodo che mi sta crescendo in gola e prendo un bel respiro. Spiego il primo foglio: un certificato di nascita con un nome che non riconosco.

«Si chiamava George alla nascita ma, sai, Sheila si è intestardita a volerlo cambiare».

I tre documenti successivi sono certificati di morte. Le parole scribacchiate dall’anagrafe mi si confondono davanti agli occhi.

«Il nostro primo, piccolo Eric sopravvisse solo una settimana, ma il secondo era più forte e fu una benedizione averlo con noi per cinque mesi». Guardo Ronnie, sconvolta. Non capisco il senso di quello che dice, ma ormai è troppo tardi per fermarlo.

Lui sorride, lo sguardo rivolto alla finestra, e mi accorgo che non è più qui. La sua mente sta viaggiando nel passato. Non dico una parola e lui di colpo si gira di scatto verso di me.

Apro il successivo foglio ingiallito e lo sollevo alla luce. Una smorfia d’orrore adombra il volto di Ronnie nel riconoscere il certificato d’adozione.

«Lui non lo sa, Rose! Eric non sa di essere stato adottato». Le lacrime gli scendono copiose sul viso segnato e avvizzito. «So che non dirglielo è stato un errore, ma… avrebbe spezzato il cuore di Sheila. Lei aveva bisogno di credere che fosse vero, capisci? Che lui fosse davvero nostro».

«Ronnie, io…».

«Lei non voleva parlarne. Ci provai un paio di volte, ma la faceva stare male. Eric ha il diritto di sapere ma… sono stato un debole, provavo una tale vergogna per questo segreto. Ho lasciato perdere, come voleva Sheila, per provare a dimenticare, ma negli ultimi anni è tornato a incombere sempre più minaccioso nella mia mente».

Penso a tutti i ricordi e gli oggetti intoccati a casa di Ronnie. Armadietti e scatole stipati di oggetti dai quali non riesce a separarsi, almeno così credevo.

E ora scopro che Ronnie ha sempre avuto paura di affrontare i segreti del passato.

Lo lascio divagare e, con un certo imbarazzo, ripiego i documenti strettamente personali che ho di fronte. Quello che Ronnie mi sta raccontando sembra non avere alcun senso… eppure lui spiega come Sheila avesse finto di essere incinta e poi avessero adottato un orfano di tre mesi di nome George Holland, che divenne Eric Turner, loro figlio.

«Dopo la morte di Sheila, mi assalì il terrore che per qualche ragione saltasse fuori che Eric era stato adottato e che lui lo avrebbe scoperto dai pettegolezzi di paese. Non mi avrebbe più rivolto la parola e io non lo avrei sopportato, così…». Ronnie deglutisce a fatica e si osserva le mani avvizzite. «Ho pensato di distruggere i documenti, naturalmente, ma non servirebbe a cancellare la verità, giusto, Rose?».

Scuoto piano la testa, pensando che nemmeno nascondere la copertina di Billy ha cancellato l’orribile realtà dell’accaduto.

«Non ci sono riuscito. Mi sentivo un mostro per aver mentito a mio figlio per tutti questi anni, perciò credo di essermi rassegnato all’idea che scoprirà la verità quando me ne sarò andato».

«Per questo mi hai chiesto di non salire?».

Ronnie annuì. «Una cosa stupida, lo so. Non esco mai perché sto di guardia al segreto di Eric, sai? Quando mi hanno portato in ospedale ho pensato che era giunta l’ora, che ero spacciato. Volevo che Eric lo venisse a sapere solo sgombrando la casa».

Ronnie chiude gli occhi e gli sistemo i cuscini dietro la schiena in modo che possa appoggiare la testa con più comodità.

Sembra che si stia appisolando, ma i suoi occhi si riaprono di scatto.

«Sono così dispiaciuto che tu abbia trovato la copertina di Billy in casa mia, Rose. Lo giuro, io non so come ci sia finita». Le sue lunghe dita fredde si stringono alle mie come una morsa. «Devi credermi, Rose. Non lo sapevo».

Serro le labbra, abbozzando il sorriso più rassicurante possibile, e sfilo le dita dalle sue.

Mentre Ronnie si addormenta, ripongo la copertina nella borsetta e lascio la stanza, un poco traumatizzata ma con determinazione rinnovata.

Ronnie si è liberato del peso di un segreto che ha tenuto nascosto per cinquant’anni. Dev’essere bravissimo a mantenere i segreti. Che stia cercando di proteggere se stesso o qualcun altro, negando di sapere della copertina o mi ha detto la verità?

Quel che è certo è che adesso mi rimane un unico sentiero da percorrere.

Devo parlare con qualcuno che potrebbe avere la risposta ai miei interrogativi, e arrivare alla verità molto più in fretta di quanto farebbe la polizia.

Nonostante la promessa fatta a papà, so di non avere altra scelta che mettermi in contatto con Gareth Farnham.

Non fidarti di lui
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