Capitolo cinquantacinque

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Due giorni dopo la scomparsa di Billy, il paese individuò il suo principale sospettato.

Farnham c’entrava qualcosa con la sparizione; lo dicevano tutti. E a essere sincera, in cuor suo anche Rose lo sapeva. Proprio come sapeva che l’aggressione di Cassie, dopo quel commento barbaro, non poteva essere una coincidenza.

Il pensiero di Gareth che faceva una cosa simile… di ciò che aveva subìto l’amica… la nauseava. Ma in quel momento non poteva pensarci; la sua mente era concentrata su Billy.

Trovarlo era l’unica cosa che contava e Rose sapeva che Gareth non le avrebbe rivelato niente di utile, perché gli importava soltanto di se stesso. Credeva ancora di poterla convincere a dimostrare la sua innocenza, quando era chiaro come il sole che fosse colpevole.

Al momento, era lui il principale sospettato delle indagini. La polizia del Nottinghamshire continuava a portarlo in centrale, interrogarlo e poi rilasciarlo.

Gli abitanti del paese dichiararono di averlo visto scuotere Billy e tirarlo per un braccio in mezzo alla strada, quando la famiglia era convinta che il bambino fosse al campo, a giocare con gli amici.

Rose aveva notato lo strano livido sul braccio del fratello e gliene aveva chiesto il motivo, preoccupata che fosse vittima di qualche bullo. Non aveva capito che era opera di un adulto.

La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato il comportamento aggressivo di Gareth nei confronti di Billy di fronte ai suoi occhi e lei lo aveva riferito alla polizia. Aveva raccontato anche del commento di Gareth sul fatto che avrebbe reso la vita di Cassie un incubo.

Rose si rifiutava categoricamente di coprirlo ancora.

Era come se avesse ingerito una fiala di siero della verità e riuscisse finalmente a vedere Gareth com’era davvero: scaltro, subdolo, pericoloso.

Se c’era di mezzo lui, Rose non poteva fidarsi di se stessa. Ma poteva fidarsi degli altri, e tutte le persone che per lei erano importanti, e la cui opinione stimava molto, pensavano la stessa cosa.

Gareth sapeva dove si trovava Billy.

Rose afferrò la maniglia della credenza e aprì l’anta. Si inginocchiò, sparpagliò sul pavimento tutti i sacchetti di plastica accartocciati e cominciò a controllarli a uno a uno.

Non ricordava il colore, né il marchio del sacchetto che conteneva i fiori. Infilò tutti quelli del supermercato in una borsa e la ripose nel mobile. Ne rimaneva circa una dozzina.

Il suo sguardo fu attirato da un sacchetto di plastica rosa con una scritta argentata. Lo prese con mano tremante.

La scritta diceva: FIORERIA SIMPKIN. Rose lisciò le pieghe del sacchetto e lo aprì. All’interno trovò una ricevuta bianca, compilata a mano. Indugiò e prestò ascolto all’incessante ronzio di voci nella stanza accanto. Certa che nessuno sarebbe entrato in cucina a breve, rivolse di nuovo l’attenzione al sacchetto.

Con dita tremanti, Rose distese la ricevuta sul pavimento di fronte a sé.

La lisciò ripetutamente con la mano, posticipando il momento della lettura.

Chinò lo sguardo verso il fondo del foglietto. Era fin troppo dettagliato. La grafia tonda e chiara riportava che i fiori erano stati acquistati alle 15:26 del pomeriggio in cui Billy era sparito.

Rose si sedette sui talloni e la ricevuta le cadde di mano, fluttuando nella corrente leggera che entrava dalla finestra aperta.

In quel preciso momento, lei e Billy stavano ancora giocando con l’aquilone sul prato dell’abbazia.

All’apparenza, Gareth si trovava a Derby, dal fioraio. Distava almeno quaranta minuti d’auto da Newstead. In teoria, avrebbe potuto farcela a prendere Billy, ma i tempi erano stretti. Molto, molto stretti.

Sempre che avesse detto la verità, ovviamente.

Rose non era certa di quando fosse iniziato, ma a poco a poco si rese conto che le voci provenienti dal resto della casa si erano trasformate in sussurri che non le giungevano mai a portata d’orecchio.

In quella situazione infernale, il senso del tempo le era scivolato tra le dita. Poteva essere giorno o notte, il suo stato di consapevolezza non arrivava oltre. Sapeva solo che Billy non era stato ancora ritrovato ed era l’unica cosa che le occupava la mente.

Ora le sentiva meglio, le voci basse e preoccupate che filtravano dal salotto. Aprì piano la porta per ascoltare, ma non riuscì a decifrare una sola parola di quel mormorio profondo e allarmato.

Una poliziotta, Rose credette di ricordare che si chiamasse Collette, comparve sulla soglia.

«Ciao, Rose…», la salutò con voce troppo allegra. «Niente di nuovo da queste parti. Perché non vai a rilassarti un po’ in camera tua?».

Stava scherzando? Rilassarmi?

«Nessuno qui si sta rilassando», replicò Rose accigliata, aprendo del tutto la porta. «Di cosa stanno parlando di là?».

Gli occhi della poliziotta guizzarono verso la porta chiusa del salotto.

«Posso chiedere a tua madre di fare un salto in camera tua tra poco, se vuoi».

«Non serve, ormai sono già qui».

Rose spalancò la porta del salotto e le voci si interruppero all’istante. I suoi genitori, l’ispettore North e un paio di compaesani si voltarono verso di lei, gli occhi sgranati.

«L’avete trovato?», gridò Rose, posando lo sguardo di scatto sul viso pallido della madre. «Avete trovato Billy?»

«No, Rose. Non l’abbiamo ancora trovato», rispose North.

«Allora che c’è?». Si scagliò contro il padre, gli afferrò un braccio e prese a scuoterlo. «Dimmelo, papà… Cos’è successo?».

La stanza piombò nel silenzio. L’aria attorno a loro crepitava come se fosse satura di elettricità. Ray Tinsley si irrigidì da capo a piedi, poi sospirò e abbassò le spalle.

«Mi dispiace tanto, Rose…», disse stringendola a sé. «Si tratta di Cassie».

Non fidarti di lui
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