Capitolo sessantatré

 

 

 

 

 

Carcere di Wakefield, oggi

 

Sedici anni prima, quegli stessi occhi l’avevano implorata di aiutarlo a dimostrare la sua innocenza. Rose si era rifiutata perché credeva sinceramente, come tutti, che avesse rapito lui Billy.

E lo credeva ancora.

L’istinto le diceva di voltarsi, invece si ritrovò a sostenere quello sguardo. Eccoli, quegli occhi da bugiardo che le erano parsi così affidabili.

Ma Rose non era più la stessa ragazza ingenua e impressionabile. Adesso sapeva che quell’uomo era marcio fin nel midollo. Sapeva di cosa fosse capace.

In quel momento non riusciva a individuare niente in quegli occhi: né rabbia né amore né rimpianto… Le parvero più cupi di come li ricordava, più vuoti.

Le labbra di Gareth, premute in una linea ferma e sottile, con gli angoli incurvati verso il basso, somigliavano alla bocca di uno squalo bianco.

«Ciao, Rose», esordì lui come niente fosse e si sedette. Le sovvenne che un tempo quella voce forte e profonda le faceva rammollire le ginocchia. Ora sembrava più lieve, più stridula.

Gareth intrecciò le dita, rispecchiando la posa di Rose.

Lei schiuse le labbra, ma non riusciva a parlargli. Non ci riusciva proprio. Aveva fatto appello a tutta la propria determinazione per non respingere la sedia e uscire al volo da quel posto, perciò si costrinse a riportare l’attenzione su di lui.

Era molto ingrassato. La pelle del viso e delle mani ridondava pallida e gonfia, e il mento e la fronte erano cosparsi di brufoli. Quando Gareth aprì la bocca per parlare, lei notò i denti gialli e trascurati.

«Oh, Rose. Cosa hai fatto ai tuoi bellissimi capelli?», mormorò lui.

Senza rendersene conto, lei si toccò timidamente le ciocche tinte di scuro e sistemate alla buona in un piccolo chignon. Rabbrividì nello sfiorare con le dita il collo nudo e sudato.

D’impulso abbassò la mano, ma a Gareth naturalmente non sfuggì e un sorrisetto gli attraversò le labbra.

«Sai quanto mi piacevano lunghi e rossi». Si protese in avanti e la fissò con intensità. «Forse li hai tagliati perché non volevi farti guardare da nessun altro. È così, tesoro?».

Rose sentì il calore infiammarle il viso e capì che stava per diventare paonazza. Senza alcun dubbio, Gareth si sarebbe goduto lo spettacolo plateale dei suoi nervi a fior di pelle, ma lei ormai si conosceva abbastanza da accettare di non poterci fare niente.

C’erano in ballo cose molto più importanti.

«Allora, come sta la mia Rosie?».

Lei non rispose.

«Alla fine sei venuta. Mi piacerebbe credere che è perché non puoi vivere senza di me». Gareth fece una pausa per studiare la sua espressione vacua. «Ma non ne sono così sicuro».

Rose infilò una mano nella borsetta ed estrasse una fotografia dalla tasca laterale. La fece scivolare sul tavolo e gliela mise di fronte.

«Ah», disse lui. «Billy».

Sentendolo pronunciare a voce alta il nome di suo fratello, a Rose venne voglia di prenderlo a pugni, invece gli parlò con tono impassibile. «Sì, sono qui per Billy».

Si sentiva la lingua gonfia e riarsa; le giaceva in bocca apatica, riluttante a formulare le parole che Rose aveva bisogno di pronunciare.

Si pentì di non aver preso un bicchiere d’acqua dalla macchinetta prima di entrare, ma ormai era troppo tardi. Doveva tenere viva l’attenzione di Gareth, farlo continuare a parlare.

«Non voglio parlare di Billy», dichiarò lui con freddezza. «Voglio parlare di noi».

«No. Sono qui per parlare di mio fratello».

Rose inspirò con forza dal naso, ma l’aria non raggiunse i polmoni e lei si sentì mancare il fiato.

Gareth si mosse sulla sedia e si avvicinò un po’ di più.

«Sai, sento ancora il tuo sapore, Rose. Di notte, nella mia cella, mi immagino sopra di te, dietro… dentro. È questo che mi ha aiutato ad andare avanti in tutti questi anni».

Il calore le esplose sul viso, ma lo ignorò.

«Che dolce». Gareth sorrise e fece scivolare la mano verso quella di Rose. Lei ritrasse le dita e spostò entrambe le mani sotto il tavolo. «Sei ancora una ragazzina timida, dopo tanto tempo». Gareth piegò la testa da una parte e la osservò per qualche istante, come per ponderare qualcosa.

«Non sei più stata con nessun altro dopo di me. Si vede che sono ancora l’unico».

«Perché non la pianti?», sbottò lei.

Gareth tirò indietro la testa e scoppiò a ridere. «Accidenti, ho toccato un tasto dolente, eh? Ti leggo come un libro aperto, Rose. Ti conosco. So tutto di te».

Rose ingoiò il boccone amaro e guardò la fotografia di Billy. L’aveva scattata lei al parco, pochi mesi prima della sua morte. Il fratellino penzolava dal castello per l’arrampicata come una scimmietta, il viso pieno di vita, gioia e audacia.

«Finora hai scontato metà della pena». Rose si stupì del tono calmo della propria voce. «Inutile negare ancora l’accaduto».

Vide le dita di Gareth tamburellare a ritmo sul tavolo e notò le unghie dei pollici lunghe e curate.

Distolse lo sguardo.

«Potrei uscire prima per buona condotta, dicono. Sapevi di questa eventualità? Tu e io… potremmo riprendere da dove abbiamo interrotto, Rose». La lingua di Gareth guizzò fuori e sparì di nuovo. «Ti piacerebbe?».

Rose percepì un sapore metallico in bocca e si accorse di essersi morsa la lingua. Rilassò la mandibola e guardò Gareth, sbattendo le ciglia di proposito. Che pensasse pure di avere un’altra occasione… ne valeva la pena, pur di arrivare alla verità.

«Dimmi cosa ne hai fatto della copertina di Billy», gli sussurrò, torcendosi le mani sotto il tavolo.

«Perché mi fai una domanda del genere, così di punto in bianco? Sembra molto specifica, Rose».

«Per nessuna ragione», si affrettò a precisare lei. «Mi sono sempre chiesta che cosa ne avessi fatto».

Lui assottigliò lo sguardo. «Stai mentendo. Te lo leggo in faccia. Cos’è successo? Sono emerse nuove prove?».

Rose avvertì un pizzico di panico nel constatare che tutto quello che le passava per la testa, i pensieri e le preoccupazioni erano così trasparenti per lui.

«Me lo chiedo da sempre», ripeté. «Ecco perché sono qui, per avere la risposta. Avrei preferito riceverla per lettera, ma…».

Gareth la interruppe con una risatina lunga e profonda.

«Bel tentativo, Rose, ma ti è andata male. Come ho già detto, ti conosco. Nemmeno una mandria di cavalli selvaggi sarebbe riuscita a trascinarti qui se non per una ragione speciale».

Non fidarti di lui
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