Capitolo nove
Sedici anni prima
Rose divorò il pasticcio di carne fatto in casa che la mamma le aveva messo davanti e addusse un pretesto per uscire il prima possibile.
I suoi stavano litigando di nuovo per i soldi. Perfino Billy aveva trovato la scusa di una partita di calcio al campo e si era precipitato fuori prima di lei.
Cassie e la sua famiglia vivevano in Byron Street, all’altro capo del paese, dieci minuti a piedi di buon passo da casa di Rose.
Era un pomeriggio gradevole, così decise di prendere la strada più lunga per arrivare dall’amica. Mentre camminava, ripensò alle lezioni della giornata. Aveva scelto di riprodurre su carta delle figure classiche a carboncino, invece Cassie aveva utilizzato i pastelli più vivaci e le sue moderne esplosioni di colore si erano rivelate agli antipodi rispetto agli sforzi più conservatori di Rose.
Cassie adorava Picasso e Bansky; Rose preferiva Van Gogh e Turner. Il famoso detto sugli opposti che si attraggono… be’, a loro due calzava alla perfezione.
Rose aveva capito che sarebbero diventate amiche per la pelle fin dal primo giorno di scuola elementare, quando si erano scambiate gli appendini per le giacche e i grembiuli da pittura: Cassie voleva quello rosso e lei quello rosa chiaro.
Ora l’amica viveva con la madre Carolyn e il fratello maggiore Jed. Il padre, noto a tutti come Bomber, ma che in realtà si chiamava Brian, era stato un grande amico di Ray, il papà di Rose. Quando erano piccole, i due uomini si trovavano spesso al circolo dei minatori a bere una birra dopo il lavoro ed erano soci della medesima sala da biliardo di Hucknall.
Bomber morì in miniera. Ray Tinsley stava lavorando allo stesso turno quel giorno, ma in un punto più distante. Il soffitto del tunnel nel quale lavorava Bomber cedette. Per settimane, dopo l’accaduto, riecheggiò in paese il racconto di come tutti i minatori, incluso Ray, avevano scavato la terra a mani nude per raggiungere il compagno prima dell’intervento della squadra di sicurezza.
Lo avevano trovato, ma ormai per Bomber non c’era più niente da fare.
Quando tornò a casa, Ray era distrutto. Fu una delle due uniche volte in cui Rose lo vide piangere. Il padre disse che non aveva mai visto niente del genere; la testa di Bomber era rimasta schiacciata come un pancake. Rose non lo riferì mai a Cassie.
Ray soffrì di incubi per mesi di fila. Il National Coal Board, l’ente nazionale per l’industria carbonifera, negò l’errore umano e il tribunale decretò che il cedimento del tunnel era avvenuto per «volontà di Dio», perciò non era attribuibile all’inadempienza della ditta in termini di sicurezza.
L’ente nazionale decise comunque di risarcire Carolyn con una piccola somma, che la stampa locale definì «atto riparatorio».
Rose stava per bussare alla porta dell’amica, che invece si aprì nel medesimo istante per mano del fratello di Cassie.
«Ciao, Jed», lo salutò.
Lui bofonchiò qualcosa e le sfrecciò accanto come un fulmine, diretto alla strada.
«Quando si dice andare di fretta», disse Rose a Cassie, comparsa sulla soglia.
«Lascialo perdere». L’amica alzò gli occhi al cielo. «È un parassita schifoso, vive sulle spalle della mamma. Si è fatto dare un bigliettone da dieci da scolarsi allo Station Hotel. Abbiamo appena avuto una megadiscussione in proposito. Comunque sia…», cambiò discorso, «andiamo di sopra davanti allo specchio. Ti farò diventare Christina Aguilera in un batter d’occhio».
Rose fece una smorfia divertita. «Hai la bacchetta magica in camera, per caso?»
«No, solo le mie incredibili doti artistiche. Da questa parte, madame».
Nella minuscola stanza al piano superiore, Cassie aveva messo in bella mostra sul ripiano della specchiera tutto l’armamentario per il trucco. Rose si sedette sullo sgabello, commossa che l’amica si prodigasse tanto per aiutarla. La implorava da una vita di poterla truccare, e lei aveva acconsentito. Ma, ogni volta che arrivava il momento, sembrava intromettersi sempre qualcos’altro.
«Devo rientrare alle sette e mezza, nel caso Gareth chiamasse prima», disse Rose.
«Sì, cavolo, me l’hai già detto… almeno tre volte!», sospirò Cassie. «Vuoi rilassarti un minuto?».
Schiacciò un pulsante sul lettore CD e la stanza si riempì della voce di Britney Spears che cantava I’m a Slave 4 U. Raccattò da terra un paio di vecchi collant beige aggrovigliati e se li passò attorno alle spalle. Poi cominciò a ruotarli e annodarli perché ricordassero un serpente.
«Cass, sei proprio identica a Britney ai Video Music Awards… come no!». Rose scoppiò a ridere, mentre l’altra si liberava dei collant per lanciarglieli.
«Bleah». Rose se li tolse di dosso e li scaraventò a terra. «Dài, mettiti al lavoro altrimenti arriverà subito l’ora di tornare a casa».
Cassie abbassò un po’ il volume della musica.
«Sei molto carina, sai, Rose», osservò, sollevando una ciocca dei lunghi capelli ramati dell’amica e fissandola sulla nuca. «Devi solo imparare a valorizzarti meglio».
Ordinò a Rose di girare lo sgabello per voltare le spalle alla specchiera.
«Così sarà una sorpresa, come nei programmi di cambio look che danno alla tele», spiegò.
Gli occhi di Rose perlustrarono la stanza. Notò il letto disfatto e le lenzuola sporche che avevano bisogno di una bella rinfrescata. Il comodino traboccava di tazze e piatti usati e sacchetti di patatine vuoti, in un angolo della stanza giaceva una pila di vestiti da lavare. Non c’era da stupirsi che puzzasse di stantio.
«Scusa, so che c’è un casino terribile». Cassie fece spallucce, senza il minimo imbarazzo.
Rose si sforzò di distogliere lo sguardo dal caos e di fissarlo sul viso dell’amica.
Cassie era ancora ossessionata dal gruppo pop dei No Doubt, che ormai giravano da un pezzo. Aveva ispirato il suo look a quello della cantante Gwen Stefani: capelli ossigenati all’inverosimile, trucco pesante e abiti aderentissimi. La somiglianza era impressionante.
Purtroppo Rose sapeva bene che, anche vestendosi da pop star, bazzicare per un paesino insignificante come Newstead non suscitava lo stesso effetto che calpestare il palcoscenico come i veri artisti. Anziché destare ammirazione per la somiglianza con la famosa cantante, Cassie si era guadagnata ben presto la reputazione di ragazzina ribelle dal look provocante. Non che la descrizione fosse tanto errata, pensò Rose; all’amica piaceva essere sempre sopra le righe.
«Preferirei guardare lo specchio per vedere cosa combini», brontolò Rose. «Credevo mi avresti insegnato come usare questa roba».
«Te lo insegnerò infatti», rispose secca Cassie, versando un po’ di base da trucco sul dorso della mano e intingendovi una spugnetta sudicia. «Ma prima voglio dimostrarti quanto puoi essere bella. Dài, rilassati».
Rose non ci riusciva. Non le piaceva avere Cassie a un centimetro dalla faccia; così vicina da notare che aveva un sopracciglio più alto dell’altro, tre cicatrici da varicella sulla guancia sinistra e un enorme foruncolo rosso e pronto a esplodere in mezzo alla fronte. L’unica cosa positiva era non essere costretta a guardarsi allo specchio. Rose detestava i propri capelli rosso Tiziano e la pelle diafana. Li odiava con tutta se stessa.
Se da un lato le sembrava di essere seduta su quello sgabello da ore, controllando l’orologio di continuo si rese conto che erano passati appena venti minuti.
«Ta-da!». Cassie tolse la pinza dai capelli di Rose, scompigliandoli perché le ricadessero sulle spalle. «Ora puoi voltarti».