Capitolo cinque

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Rose spalancò la porta sul retro con il piede e barcollò goffamente all’interno, sforzandosi di reggere il materiale del corso d’arte.

Ovviamente Billy, il fratellino di otto anni, era arrivato a casa subito prima di lei. Si sedette su uno sgabello in cucina e si sfilò le scarpe da ginnastica consumate.

«Ti ho vista con un tipo in fondo alla strada». Billy fece un sorrisetto e si ficcò in bocca una manciata di caramelle gommose alla Coca-Cola fissando Rose che avanzava a fatica dentro casa. «Ti aiutava a portare le cose. È il tuo ragazzo?».

Lei lanciò un’occhiata ansiosa alla porta, chiedendosi se i genitori avessero sentito, ma in salotto la TV era accesa perciò dovevano essere entrambi sul divano, a mangiare la cena davanti allo schermo.

«Abbassa la voce», sibilò al fratello. «Non è il mio ragazzo».

«Come si chiama?»

«Gareth».

«Allora come fai a sapere il suo nome se non è il tuo ragazzo?». Billy scoppiò a ridere e schivò la mano di Rose che per colpirlo aveva lasciato cadere la cartelletta.

«Non è il mio ragazzo, Billy». Rose si morse il labbro. «Vuoi mettermi nei guai con mamma e papà?».

Lui prese dalla tasca altre caramelle e scosse il capo con cenno solenne. Rose non era l’unica vittima dei malumori del padre. A giudicare dallo stato della zazzera arruffata del fratellino, Rose dedusse che non si era spazzolato i capelli in tutto il giorno. Posò la borsa e l’occorrente da disegno sul tavolo a ribalta e cominciò a lisciare con le mani i ricci scarmigliati di Billy. Lui ondeggiava la testa da una parte all’altra per evitare le dita meticolose della sorella.

«Allora smetti di dirlo, altrimenti ti sentiranno. Dài, beviamoci qualcosa». Rose prese due bicchieri dalla credenza e aprì il frigorifero in cerca del succo d’arancia fresco che non trovò. «Cosa hai fatto a scuola, oggi?»

«Roba noiosa», rispose Billy con una smorfia.

Rose aveva propinato innumerevoli discorsetti al fratello sull’importanza di impegnarsi a scuola.

Sospirò. «Sei ancora sicuro di voler diventare un pilota da grande?».

Lui fece spallucce ma non rispose.

«Perché quella faccia?». Rose riempì i bicchieri di una bibita all’aroma di arancia in mancanza del succo.

«Carl Bennett, che è in classe con me, dice che è solo uno stupido sogno». Billy fissò la sorella oltre il bordo del bicchiere con gli espressivi occhi castani. «Dice che la gente come noi non può fare lavori entusiasmanti, solo andare in miniera perché qui non c’è altro».

«Non è più così, Billy», replicò Rose. «Ormai la miniera è chiusa da una vita e per i ragazzini come te è una vera fortuna. Puoi diventare quello che vuoi, se ti impegni davvero». Bevve una lunga sorsata di bibita. «Ricordi quante volte ti ho detto che è importante studiare?».

Ma lui non l’ascoltava più; si era messo ad allineare con precisione le figurine del calcio sul lato opposto del tavolo.

Rose moriva dalla voglia di chiamare Cassie per raccontarle di Gareth, ma il telefono era in corridoio e i suoi genitori avrebbero sentito di sicuro. Per il momento avrebbe dovuto tenere tutto per sé. Le sembrò una specie di segreto succoso che solo lei conosceva.

La sera, le ci volle un sacco di tempo per addormentarsi.

 

Il giorno seguente, al college, Cassie aspettava Rose alla fermata dell’autobus e andò subito in delirio non appena l’amica le confidò il suo segreto.

«Che cosa? Ti ha davvero dato un appuntamento?», domandò incredula.

Rose sfoderò un gran sorriso, pensando che gli occhi azzurri e sgranati di Cassie correvano il serio rischio di saltare fuori dalle orbite.

«Quanti anni ha?»

«Non lo so di preciso. Ma come ti ho detto, sembra un bel po’ più grande di me». Le due ragazze si incamminarono lungo Nottingham Road verso il college, abbarbicato sulla collina. «A occhio e croce sarà sulla trentina».

Cassie si illuminò. «Scommetto che mercoledì sera lo farete. Sarà lui il primo, te lo dico io».

«Oh, per l’amor del cielo! Andiamo solo al cinema!». Rose guardò l’amica di traverso, ma non riuscì a trattenere un sorriso.

«Come no, non me la bevo. Non ti vedi: stai sbavando dalla voglia, mia cara verginella».

Cassie balzò indietro con un gridolino mentre Rose tentava di colpirla con la borsa a tracolla. Poi iniziò a ballare intorno a lei, intonando Like A Virgin di Madonna.

«Dài, piantala», sibilò Rose, guardandosi attorno per accertarsi che nessuno avesse sentito.

«Parlo sul serio, Rose, stai facendo progressi». Cassie si mise al passo con l’amica. «Cominciavo a temere che avresti ereditato dalla signorina Carter il titolo di zitella ufficiale del paese».

«Molto divertente».

Cassie aveva la stessa età di Rose, ma in materia di ragazzi era molto più esperta. Ne aveva già avuti tre fissi ed era andata a letto con tutti. Fino a quel momento erano state solo storie con i coetanei del college, ma Rose notò che l’età di Gareth la affascinava particolarmente.

«Sarei pronta a uccidere per farmela con uno più grande», commentò l’amica sognante. «Con tutta quell’esperienza».

«Cassie!».

«È vero!». Cacciò fuori la lingua. «Se pensi di fare la santarellina tutta casa e chiesa, puoi sempre presentarlo a me. Magari potrei insegnargli un paio di cosette».

«Ah, senti questa…», proseguì Rose, ignorando la provocazione, «mi ha recitato una poesia di Byron». Attese di vedere l’amica impallidire d’invidia.

«Ora mi prendi in giro», sbuffò Cassie.

«È vero!». Rose ridacchiò e le diede una gomitata. «C’era perfino il mio nome nella poesia. Parlava delle foglie di una rosa, le prime dell’anno».

Il sorriso di Cassie si spense. «Che fortuna sfacciata, Rose, sembra l’uomo dei sogni. Guai a te se mandi tutto all’aria».

«In che senso?»

«Mostrandoti troppo naif. Devi fargli vedere che non sei una bambina solo perché sei più giovane».

«E come?».

Cassie sospirò sconsolata. «Ne parliamo più tardi. Vieni da me stasera e ti spiego io come si accalappia un uomo».

Sporse il seno in fuori e lo sbatté contro l’amica di proposito. Le due ragazze si sbellicarono dal ridere.

Rose si sentì pervadere da un piacevole tepore. La vita era bella. Eccitante.

Non fidarti di lui
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