Capitolo trentacinque

 

 

 

 

 

Sedici anni prima

 

Gareth l’aspettava alla fermata dell’autobus e Rose gli crollò tra le braccia, incurante che qualcuno li vedesse.

«Ehi, che succede?». Lui la scostò con dolcezza per creare un po’ di spazio tra loro e guardarla negli occhi. «Cos’ha che non va la mia ragazza?».

Tra lacrime e naso colante, Rose piagnucolò l’orrenda realtà dell’accaduto.

«Che cosa? Oh, mio Dio, ma è terribile… povera Cassie!».

Rose proseguì, rosicchiandosi le unghie: «È stata violentata. Un bastardo ignobile l’ha…».

«Ho capito, Rose», la interruppe Gareth. «Povera ragazza, sono… sconvolto per lei… e per te, che sei sua amica. Non voglio più che tu esca da sola quando è buio».

Rose scosse la testa lentamente. Gareth aveva ragione, ma sembrava così… falso. La sua minaccia di far rimpiangere a Cassie di essere nata le riecheggiava ancora nelle orecchie e le riusciva difficile conciliarla con la reazione di quel momento.

«Che c’è?». Gareth la scrutò.

«Non… riesco a credere a quello che è successo», balbettò Rose.

«È una storia terribile, okay, ma hai detto tu stessa che Cassie non bada tanto alla propria sicurezza personale».

«Come?». Rose si sentì pervadere da una fiammata. «Cosa vorresti insinuare? A prescindere dal suo stile di vita, Cassie non merita di essere in un letto di ospedale e…».

«Ma certo che no», la interruppe Gareth brusco. «Non intendevo quello».

«È la mia migliore amica e io…».

«Migliore amica? Stiamo parlando della stessa ragazza?», sbottò Gareth con una risatina amara. «Scusa, pensavo fosse la stessa persona che ti ha ignorata tutta la settimana, scagliando minacce contro entrambi».

Rose faticava a deglutire.

«Siamo amiche da sempre», ribatté seria. «Le minacce sono state solo un incidente di percorso».

«Un incidente di percorso? Definisci così la minaccia di raccontare di noi a tuo padre?»

«Sono certa che non dicesse sul serio, è stato solo un accesso di rabbia».

«Svegliati, Rose. La tua amica potrebbe non essere l’angioletto che credi».

«Basta! Non me ne starò a sentire questo schifo». Rose si divincolò dall’abbraccio e indietreggiò. «Non ti sopporto quando fai così, Gareth. Non capisco perché tu debba dire cose tanto orribili, è come se…».

Rose esitò.

«Vai avanti, Rose». Gareth si avvicinò. «Parlavi a briglia sciolta un attimo fa; mi stavo proprio godendo un piacevole assaggio di dove riponi la tua fedeltà. È come se, cosa?».

Rose avvertì che la faccenda le stava sfuggendo di mano, ma non riuscì a frenarsi. Le parole le ruzzolarono fuori di bocca prima di poterle trattenere.

«Non sembri affatto sorpreso che Cassie sia stata aggredita. Continuo a pensare a quando hai detto che le avresti fatto rimpiangere di essere nata. Perché hai dovuto dire una cosa del genere?».

Gareth le afferrò una mano e la strinse così forte da farla gemere.

«Credi sia stato io, Rose? Credi sia andato a casa della tua amica ieri sera e l’abbia violentata?»

«No! Non dirlo nemmeno per scherzo».

«Perché le sarebbe piaciuto, sai. Non volevo raccontartelo, ma quando sei salita a lavarti il viso a casa sua, lei ci ha provato con me».

«Che cosa?». Rose indietreggiò barcollante. Sentiva il frastuono del traffico e il gracchiare dei corvi nel bosco vicino, poi tutti i rumori cominciarono a confondersi nelle sue orecchie.

«Ha cercato di baciarmi, Rose. Mi ha chiesto se non preferissi una vera donna come lei, anziché una ragazzina come te».

«Stai mentendo», mormorò Rose. «Cassie non lo farebbe mai. Non lo farebbe e basta».

«Interessante», aggiunse Gareth a denti stretti, «che, quando Cassie dice qualcosa, non intende sul serio. Se invece io faccio commenti tanto per parlare, tu non te li togli più dalla testa».

«Perché tu hai detto che Cassie avrebbe rimpianto di essere nata e subito dopo è stata aggredita». Rose sospirò e si guardò le mani. «Non credo che tu sia coinvolto, Gareth».

«Non sembrerebbe». La fissò negli occhi. «Mi spiace averti stretto la mano così forte, Rose. Ora potrai vendicarti».

«In che senso… vendicarmi?»

«Se vai a raccontare alla polizia quello che ho detto, mi sbatteranno dentro. Diventerò il sospettato numero uno». Gareth abbassò lo sguardo a terra. «Non te ne farò una colpa, se è quello che vuoi».

Quell’osservazione la fece riflettere. Rose non aveva pensato alla polizia.

Gareth si avvicinò e l’abbracciò.

«Non capisci, Rosie? Cercheranno qualcuno da accusare e io sarei un perfetto capro espiatorio. Un forestiero che era stato a casa di Cassie pochi giorni prima dell’aggressione. Mi sembra già di sentire i pettegolezzi della gente sulla faccenda, getterei un fascio di luce sulle loro misere vite insignificanti». Gareth sbuffò dal naso. «Farei prima ad andare io stesso alla polizia e raccontare quello che ho detto. Così ti risparmio la fatica».

«Che cosa?»

«Andrò a riferire il mio commento casuale, così non sarai tu a tradirmi», spiegò lui tranquillo. «Ma so come funziona nei paesini come questo. La gente improvviserà un processo farsa e sarò giudicato colpevole all’istante. Dovrò lasciare il lavoro e trasferirmi».

«Non dire così». Rose scosse il capo. «Non succederà».

«Ah, no? Perché qui la gente è incline al perdono, vero, Rose?».

Le sovvenne di colpo che un paio di anni prima era giunto a Newstead un giovane dall’aspetto trasandato, un vagabondo che si era trattenuto nella zona per circa una settimana. La gente diceva che si fosse stabilito in un capanno fatiscente nel cimitero della chiesa.

Rose lo vedeva per strada, seduto o sdraiato sul bordo del marciapiede, pallido e arruffato, la mano tesa a chiedere l’elemosina.

Un paio di residenti gli fornirono cibo e coperte e Jim Greaves lo invitò addirittura a mangiare pollo e patatine allo Station Hotel.

Poi la gente cominciò a trovare i capanni dei propri giardini forzati e trafugati nella notte. Qualcuno disse di aver visto il vagabondo su una bicicletta identica a quella rubata in casa degli O’Reilly in Byron Street.

I benefattori svanirono nel nulla. Un gruppo di uomini fece visita alla dimora improvvisata dal ragazzo e lo mise sotto torchio. Fu avvertita la polizia che lo condusse in centrale. Dopodiché Rose non lo rivide più.

«Non andrò alla polizia», mormorò. «So che non hai fatto niente di male, era solo un commento stupido».

«Devi fare quello che ritieni giusto, Rose», replicò Gareth, voltando lo sguardo. «Se ti senti in dovere di sostenere Cassie a mie spese, fai pure. Non posso pretendere che tu sia fedele a me anziché a qualcuno che conosci da una vita».

«Gareth…». Rose gli tese le braccia e lo attirò a sé con dolcezza. «Io sono fedele a te. Voglio stare con te. Io… ti amo». A lui piaceva sentirselo dire, ma quelle parole continuavano a suonare strane quando le pronunciava Rose, come se qualcosa dentro di lei si ribellasse.

Gareth le infilò le dita tra i capelli e la baciò sulla fronte.

«Allora stai lontana da Cassie», sussurrò. «È gelosa di quello che abbiamo. Non vedi, Rose? Noi abbiamo solo bisogno l’uno dell’altra».

Non fidarti di lui
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