Capitolo cinquantasette
Rose
Oggi
Mentirei se negassi che continuo a pensare al passato. Ripenso a ogni momento ma, in particolare, il ricordo che mi brucia davvero è quel primo fatidico incontro che cambiò la vita a me e a tutti coloro che mi circondavano.
Ci penso costantemente. Immagino cosa avrei potuto dire o fare per scoraggiare Gareth Farnham, quando mi offrì il suo aiuto per portare il materiale del corso d’arte dalla fermata dell’autobus fino a casa.
Penso alle persone con le quali avrei potuto confidarmi ai primi segnali di crollo della sua facciata.
Ma in fondo, in tutta onestà, come facevo a soli diciotto anni a sapere che esistessero persone del genere? Come potevo prevedere come sarebbero andate le cose se, almeno all’inizio, tutto sembrava così… così perfetto?
Quegli interrogativi sono i miei primi pensieri quando mi sveglio e spesso gli ultimi ad attraversare il mio stato di coscienza prima che mi addormenti la sera.
Ho capito da tempo che quanto è accaduto non mi abbandonerà mai. Mai più.
«Piano piano andrà meglio», mi rassicurava di continuo la terapista. «Vedrai».
Ma non va meglio, è chiaro.
Più che altro ci si abitua a colpevolizzare se stessi. La forza di quella sensazione, la vergogna… non ti abbandona mai, ma in un certo senso ti abitui a conviverci. Cominci ad accettare che non ti sentirai mai felice o in pace con te stessa.
Ma ora… quello che provo al momento… Conviverci è semplicemente impossibile.
L’incertezza… le orribili possibilità che si presentano, una peggiore dell’altra.
I compartimenti che mi sono creata nella testa tanti anni fa e nei quali ho seppellito il dolore? Be’, da quando mi sono avventurata nel ripostiglio di Ronnie, si sono svuotati tutti. Uno dopo l’altro.
La mia mente è una confusione totale di ricordi intollerabili appena sguinzagliati e non so quanto a lungo riuscirò a sopportarli.
Billy non era scivolato battendo la testa mentre cercava il suo aquilone; era stato rapito.
Lo cercammo per due giorni prima di ritrovare il corpo tra i cespugli di rododendro sul terreno dell’abbazia. L’autopsia rivelò che era morto soffocato.
Si scatenò la caccia all’uomo. Il paese si riempì di benefattori, volontari e giornalisti.
I sospetti si concentrarono fin da subito su una sola persona. Gareth Farnham fu arrestato, interrogato e infine accusato dell’omicidio di Billy.
Lui negò di avere ucciso mio fratello, e continuò a farlo anche in seguito. Ma ormai avevo scoperto che era un bugiardo patentato, un manipolatore che diceva esattamente ciò che gli serviva per arrivare allo scopo.
In tribunale la difesa chiamò a testimoniare una psichiatra, una certa dottoressa Simeon Chambers, che tentò di convincere la giuria che Gareth era un sociopatico, incapace di trattenersi dal controllare la gente attorno a lui. La cosa, per quanto riprovevole, aveva sottolineato la psichiatra, non c’entrava nulla con l’omicidio di un bambino. Arrecare del male a Billy non rientrava in quel quadro clinico.
Io avevo subìto le sue menzogne e la sua aggressività in prima persona e lo riferii davanti alla corte.
Leggendo la sentenza finale, il giudice dichiarò, secondo la sua esperta opinione: «Farnham è un manipolatore narcisista più che un sociopatico. È perfettamente consapevole delle sue azioni».
Avrei voluto correre a baciarlo per aver impedito a Gareth di evadere la giustizia, ma naturalmente mi trattenni. Rimasi seduta con le dita intrecciate perché smettessero di tremare. Fissai dritto davanti a me, senza mai guardare Gareth, nemmeno quando arrivò il suo turno di parlare.
Nel momento in cui non fu in grado di giustificarsi, sentii il suo sguardo addosso, ansioso che lo ricambiassi per potermi iniettare il suo veleno silenzioso. Per minacciarmi di tenere la bocca chiusa, per implorarmi di aiutarlo… Era in grado di trasmettere tutte quelle cose senza dire una parola, tale era la portata del controllo che esercitava su di me.
Ma io non cedetti; non lo guardai.
L’ultima volta che i nostri occhi si incrociarono brevemente, lui era già un uomo condannato all’ergastolo, che stava per essere condotto in cella.
Avevo giurato che non gli avrei mai più rivolto la parola, né uno sguardo, e avevo promesso a me stessa di fare del mio meglio per non pensare mai più a lui.
Certo, era stato prima della mia scoperta nel ripostiglio di Ronnie.