Capitolo sessantanove

Rose

Oggi

 

Mi sono addormentata sul divano appena arrivata a casa.

Ho preparato un tè, mi sono seduta e non ricordo altro. Il semplice sforzo di affrontare Gareth Farnham mi aveva sfinita.

Mi risveglio di soprassalto, il cuore che martella nel petto, allarmato per i colpi ripetuti alla porta sul retro.

Scorgo una figura familiare, distorta dal vetro opaco decorato.

«Eric!».

«Scusa il disturbo, Rose», ansima lui affannato, sostenendo la propria mole robusta contro l’angolo della parete. «Abbiamo un problemino a casa di papà… un ospite che non riusciamo a mandare via e che ha bevuto».

Da quando è tornato Eric, Ronnie non ha più bisogno che mi occupi di lui e, per quanto mi senta divorata dal senso di colpa malgrado i sospetti che ancora nutro, non riesco a passare a trovarlo neanche per una visita di cortesia. Con tutto quello che sto passando, e le visite a Gareth, credo proprio che sarebbe la classica goccia che fa traboccare il vaso.

«Rose?». Eric osserva il mio sguardo assente con aria preoccupata. «Mi hai sentito? È agitatissimo e non la smette di bere».

«Chi?»

«Jed! Ma non hai ascoltato una sola parola?»

«Scusa, io…». Allungo lo sguardo oltre la sua spalla per vedere se Jed è in giardino. «Cosa dovrei farci io

«Non lo so, parlargli, sbarazzarti di lui, magari. È in cerca di guai, insiste che papà parli di quando eravamo tutti giovani, vuole sapere chi ha detto o fatto cosa, ma lui non ricorda tutti quei particolari».

Sospiro, ma non mi muovo.

«Continua a blaterare cose sulla sorella morta», aggiunge Eric. «Cassie. Era tua amica».

«Era la mia migliore amica. Vado a mettermi le scarpe».

Non ho nessuna intenzione di parlare di Cassie con Eric. È evidente che l’empatia non è il suo forte; non lo è mai stata, da quel che ricordo.

Lui non mi aspetta, perciò infilo le ballerine e un cardigan, chiudo la porta a chiave e faccio un salto nella casa accanto.

Mentre apro il cancelletto comunicante, penso all’ultima volta che ho visto Jed. Camminava davanti al supermercato, una figura misera e ingrigita, aggrappata a una bottiglia di birra quasi fosse questione di vita o di morte e a malapena capace di reggersi sulle gambe.

Ogni volta che lo incontro cerco di salutarlo, ma lui mi guarda come se non mi riconoscesse e continua per la sua strada.

Sono stata anche a casa sua per tentare di parlargli, anni dopo le rispettive tragedie. Sapevo che Cassie avrebbe voluto che lo facessi, ma lui si rifiutò… non riusciva a sopportarlo. A dirla tutta, mi ha sbattuto la porta in faccia.

Anche adesso, quando ci incrociamo, è come se guardando me lui rivedesse Cassie, e i ricordi dolorosi e insopportabili dell’esuberanza della sorella e del suo amore per la vita gli confondono la mente.

La porta secondaria di Ronnie è aperta e mi giungono le voci concitate dall’interno.

«Se non te ne vai dovrò chiamare la polizia», dichiara Eric alzando il tono della voce, mentre io accorro in salotto. «Tanto nessuno crederà a una sola parola di quello che dici. Hai il cervello annegato nell’alcol».

Rimango congelata sulla soglia.

Jed è sul divano, metà seduto e metà sdraiato. È più trasandato che mai. I jeans sono luridi e strappati, i piedi neri di sudiciume spuntano dai sandali aperti. Ha i capelli grigi, adesso, unti e incollati alla testa.

Quando mi vede, sbianca.

«Cosa ci fai tu qui?», biascica. «Cassie è morta. Morta! Capito?»

«Lo so, Jed», rispondo mantenendo un tono calmo e controllato. «Cassie non avrebbe voluto vederti in questo stato. Se vuoi, possiamo farti aiutare».

Le mie parole suonano patetiche. Avrei dovuto rimanere in contatto con lui nel corso degli anni.

Lui piega la testa indietro e scoppia a ridere, i pochi denti rimasti ancorati alle gengive come picchetti di legno marcito.

«Aiutarmi? Sei tu ad avere bisogno di aiuto, tu e quel cavolo di ragazzo che hai». Farfuglia, ma riesco a cogliere qualche parola e a metterle insieme. «Cassie lo odia. Lo odia. Voglio parlare di quello che è successo».

È chiaro che non riesce a distinguere il passato dal presente. È in condizioni pessime.

«Se non te ne vai, chiamo la polizia», sbotta Eric. Cammina irrequieto per la stanza, paonazzo in viso. «A nessuno interessano le tue storie inventate sul passato».

Guardo Ronnie, lui scuote la testa e abbassa gli occhi sul tappeto.

«Dov’è Billy?», grida di colpo Jed, io trasalisco e faccio un passo indietro. «Dov’è Billy Tinsley?»

«Basta!». Eric mi sorprende con la sua voce forte e tonante. «Non ti permetto di pronunciare il nome di Billy in questa casa».

Apro la bocca per protestare. Cosa intende dire? Il nome di Billy non è certo qualcosa da dimenticare o censurare.

Prima che io possa ribattere, Jed emette un ruggito potente e corre fuori, cadendo in mezzo alla strada.

«Grazie a Dio!», esclama Eric furibondo e sbatte la porta.

«Non possiamo certo lasciarlo in quello stato», protesto riaprendola.

Jed si è già rimesso in piedi e zoppica lungo la strada, agitando le braccia come un pazzo.

«Jed, aspetta!». Gli corro incontro. «Per favore, parliamone».

«Non posso», piagnucola lui, le lacrime che gli rigano il volto. «È finito tutto, non si può più aggiustare niente».

«Le cose non miglioreranno mai per te se non butti fuori un po’ di veleno, Jed», gli dico con dolcezza. «Io lo so bene».

Lui si ferma a osservarmi e per un attimo scorgo in quei profondi occhi azzurri il ragazzo che conoscevo. Quando riprende a parlare, lo fa lentamente, con voce più nitida e calma di poco fa, a casa di Ronnie.

«Parlerò con te, Rose, ma non qui, non davanti a loro. Vieni all’abbazia, stasera alle dieci».

«Cosa? Non posso! Non a quell’ora», gli grido dietro, mentre lui si allontana barcollante lungo la via. «Perché non subito?»

«Alle dieci all’abbazia», risponde Jed, senza guardarsi alle spalle.

Scuoto la testa e torno verso casa. Non ho intenzione di passare da Ronnie, non ho voglia di sentire qualche altro commento insensibile di suo figlio.

Negli ultimi sedici anni non sono mai uscita da sola alle dieci di sera. Mi si serra lo stomaco al solo pensiero.

Voglio aiutare Jed, ma mi ha chiesto di fare una cosa troppo difficile per me.

E perché non voleva parlarne davanti a Eric e Ronnie?

Non fidarti di lui
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