Capitolo sessantacinque

Rose

Oggi

 

«Come sta Rose, oggi?», chiede Jim alle mie spalle quando arrivo al lavoro.

«Come? Oh, bene, Jim, grazie. Scusa, negli ultimi tempi sono un po’ distratta, in questi giorni hai dovuto ripetermi ogni cosa almeno una volta».

«Non preoccuparti, tesoro. Sei stata una brava vicina per Ronnie, ma le nostre care vecchiette dicono che si sta riprendendo. Credo che il ritorno di Eric gli abbia fatto bene».

Sorrido, al pensiero di cosa direbbero la signorina Carter e la signora Brewster se sapessero come Jim le ha appena chiamate. Mi solleva sapere che mi creda soltanto impegnata a occuparmi di Ronnie. Dio solo sa cosa penserebbe di me se scoprisse che sono stata da Gareth Farnham.

Nel pomeriggio, la signora Brewster si ferma alla mia scrivania. «Hai dei bei capelli, oggi, Rose», osserva, piegando il capo di lato per studiarmi. «Hai una luce diversa in viso».

«Oh», mormoro, rigirandomi tra le mani la sovraccoperta di un libro. «Grazie».

«Non sarai una di quelle persone, vero, Rose?». La donna si corruccia e mi scruta da sopra gli occhiali con la montatura dorata, finché non alzo lo sguardo. «Intendo quelle che si sentono più a loro agio di fronte a una critica piuttosto che a un complimento». Mi sorride con aria di rimprovero, se la cosa è possibile, come si farebbe con un bambino birichino.

«No», replico allegra, agitandomi sulla sedia e allontanando lo sguardo dai suoi occhi penetranti. «Sono solo occupata. Sa come funziona qui, c’è sempre da fare».

La verità è che non ricevo complimenti spesso e, nelle rare occasioni in cui capita, mi si accappona la pelle in segno di protesta. Come adesso, sotto lo sguardo della signora Brewster.

Di primo acchito penso sempre che chi mi porge un complimento stia mentendo, o che dica qualcosa di carino solo per farmi stare meglio. Perché dovrebbe pensarlo sul serio?

Ricordo che, qualche mese dopo la morte di Billy, la terapista mi illustrò un concetto che lei definiva “autodisprezzo”.

«È un modo per sopravvivere», spiegò Gaynor nel tipico modo contorto di esprimersi dei terapisti. «Nutrire basse aspettative per evitare ulteriori delusioni».

In un paio di sedute “approfondimmo il concetto”, per usare la terminologia a lei così cara.

«Voglio che pensi alle cose che ti ripeti di continuo, Rose», suggerì. «Le parole che ti risuonano nella mente come una musica che riparte sempre da capo. Intendo quelle che sono lì da tanto di quel tempo che non ci fai più caso».

Temporeggiai, per far passare i minuti della seduta, ma Gaynor non ci cascò. Appoggiò la schiena alla poltrona, incrociò le mani in grembo e attese in silenzio.

«Credo di ripetermi piuttosto spesso di essere una persona cattiva», mormorai.

«E perché?», pungolò lei. «Perché credi di essere una persona cattiva?»

«Per quello che è successo a Billy», risposi, come se fosse ovvio.

«Non sei stata tu a fargli del male».

«No, ma è successo per colpa mia», mi affrettai a replicare, ansiosa di concludere. «Sono stata io a portare Gareth Farnham nelle nostre vite. Io ho smesso di passare del tempo con Billy, forse se avesse sentito di poterne parlare con me, avrebbe potuto…».

Deglutii a stento per via della gola secca, ma scossi il capo quando Gaynor mi offrì dell’acqua.

«Cos’altro ripeti a te stessa?».

Feci spallucce, poi dissi la seconda cosa che mi balenò per la mente, per evitare quell’orribile silenzio. «Che nessuno mi desidererà più».

Detestavo quell’autoanalisi. Sembrava così indulgente, tanto per cominciare, quando l’unica vera cosa importante era che avevo perso mio fratello.

Io, io, io. Nessuno avrebbe mai desiderato la scialba e vecchia me.

Ma è proprio quello che ripeteva sempre Gareth Farnham verso la fine e io sapevo che era vero. La sensazione di inferiorità era nata allora, si era annidata dentro di me e non mi aveva più lasciata.

Ogni tanto, prima di tagliarmi i capelli, mi capitava di vedere qualche uomo lanciarmi occhiate d’apprezzamento. Io le rifuggivo subito come se scottassero, nascondendo il viso dietro i capelli finché quelli non proseguivano oltre.

Forse gli altri non riescono a vedere i miei difetti, ma io so di averli da un sacco di tempo e di non essere nemmeno lontanamente degna di suscitare l’interesse di una persona perbene.

Comunque sia, ho affrontato le mie paure. Ho fatto molto di più che scrivere una lettera a Gareth Farnham, gli ho parlato faccia a faccia.

Speravo che notasse quanto sono cambiata. Che la mia vita è andata avanti lo stesso senza di lui.

Esulterebbe, se solo sapesse la verità sulla mia patetica esistenza.

Non fidarti di lui
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