Una storia di rivoluzioni
Ma fra dieci o vent’anni esisterà ancora la pittura? Non è un’arte di moda. I pittori sono diventati relativamente rari tra i candidati al Premio Turner, assegnato ogni anno in Gran Bretagna a giovani artisti. (Quando ricordo che il primo Premio Turner, nel 1984, fu conferito a un esponente della sterile, anche se impeccabilmente postmoderna, pittura fotorealista, mi conforta pensare che non è indicativo dell’arte destinata a durare.) Nessuno parla ormai di qualche giovane pittore per più di qualche settimana. Certo, per fortuna esistono ancora i Frank Auerbach, gli Howard Hodgkin, Lucian Freud; ma dove sono i Klee, i Goya, i Raffaello?
Il rischio è cominciare a comportarsi come Plinio, che rimpiangeva l’Età dell’Oro in cui Apelle maneggiava i pennelli. O forse come un Plinio al contrario, che lamenta l’attuale scarsa abilità nell’uso dei colori forti e brillanti al posto della fanghiglia grigiastra (fosse almeno il marrone di Rembrandt!) stesa su molte tele contemporanee. La verità è che nella pittura del XX secolo ci sono comunque stati molti e notevoli esempi di grandezza e poco importa se gli ultimi anni si sono rivelati meno fecondi. Chi si è mai lamentato, per esempio, del periodo anonimo alla fine del XVII secolo, quando Vermeer, Velázquez, Rubens e Rembrandt erano scomparsi e nessuno si era fatto avanti a prenderne il posto?
E quindi quali saranno i traguardi dei prossimi grandi coloristi, e che cosa ci sarà sulle loro tavolozze? Forse i pigmenti convenzionali resteranno sempre più in secondo piano, via via che le scaglie metalliche e i getti fluorescenti di Stella e dei pittori pop verranno arricchiti da nuove possibilità: colori perlacei (John Hoyland li ha già usati), o pigmenti che cambiano colore a seconda dell’angolo di visuale, entrambi ora fabbricati come vernici per automobili. Forse i pittori useranno cristalli liquidi che cambiano colore col variare della temperatura, o che offrono un arcobaleno iridescente nello stesso istante.
Chissà. Può darsi che tutti questi mezzi verranno adoperati, poiché è nella natura dell’arte cercare di sfruttare creativamente ciò che offre la tecnologia. Questo, spero, è il messaggio fondamentale di questo libro: la tecnologia spalanca nuove porte agli artisti... e i tecnici non sono in grado di prevedere quali essi varcheranno, né tantomeno che cosa combineranno una volta al di là di esse. «Il pittore del futuro», disse Van Gogh, «sarà un colorista come non se ne sono mai visti prima.» Lo spero proprio. La deliziosa ironia è che i produttori di vernici, i teorici del colore e i fabbricanti di pigmenti, persone dotate di senso pratico e per tradizione di mentalità alquanto convenzionale, finiscono storicamente col mettere nuovi strumenti luccicanti nelle mani di visionari che se ne servono per combinare cose folli, spezzare lo stampo, creare una rivoluzione. Che possa durare a lungo.