Febbre da scarlatto
Mentre il blu oltremare era il pigmento più pregiato per i pittori medievali, i tessuti più fini erano quelli rosso cupo; ciò spiegherebbe alcuni dei simbolismi cromatici dei dipinti del tardo Medioevo, che non sembrano collegati al valore dei pigmenti in sé. Nel San Francesco rinuncia all’eredità (1437) del Sassetta, la rinuncia è raffigurata come l’atto di gettar via un prezioso mantello rosso; e gli splendidi drappeggi rosso cremisi della Vergine in La Madonna del cancelliere Rolin (1437 ca.; tav. 9.1) di Jan Van Eyck contrastano con l’abbigliamento oltremare dei dipinti altomedievali mentre, in virtù della tinta purpurea, rimandano alla tintura più preziosa dell’antichità.
Il tessuto scarlatto o cremisi era generalmente tinto con l’estratto dell’insetto chermes, il colorante delle lacche pigmento carminio, e un manuale fiorentino per tintori del XV secolo descrive questo rosso carico come «il primo e il più alto e il più importante colore che abbiamo». Non era chiaro se fosse la qualità della stoffa o quella del colore a determinare il valore finale del tessuto, in quanto spesso coincidevano. Mentre oggi "scarlatto" è quasi un sinonimo di cremisi, nell’XI secolo indicava un tipo di stoffa di colore imprecisato; in Germania, nel primo Medioevo, si riferiva a un tessuto di lana particolarmente fine, che poteva essere di qualsiasi colore, dal nero al blu al verde. Ma stoffe pregiate tendevano ad attrarre tinture pregiate... perché sprecarne una non colorandola con l’altra? Quindi il buon tessuto scarlatto era spessissimo tinto col chermes. Nel XIV secolo "scarlatto" indicava ormai la tintura e poco dopo il termine era usato per definire un preciso colore.
Per le tinture purpuree avvenne il processo contrario: nel X secolo in Spagna purpura aveva finito per denotare un tessuto di seta e in seguito, per molti secoli, una stoffa "porpora" poteva essere di un colore qualsiasi, a dimostrazione di quanto le idee sul colore e i suoi impieghi fossero strettamente collegate ai materiali che li rappresentavano. Come si vede nel caso dell’indaco – ricavato sia da una lumaca che da una leguminosa
– anche i nomi indicanti i colori dei materiali hanno una validità limitata finché la composizione chimica alla base della sostanza colorata resta misteriosa. Nel XIX secolo la questione dell’"identità" nella produzione e nell’uso delle tinture doveva essere sviscerata come mai prima. Perfino la distinzione tra naturale e artificiale stava per svanire per essere sostituita da uno schema in cui i coloranti venivano definiti soltanto dai crittogrammi del chimico.