Gli anni purpurei
Un’altra tintura sintetica effimera della metà dell’Ottocento fu un colorante porpora chiamato muresside, che veniva sintetizzato dall’acido urico estratto dal guano del Perù. Dal 1835 venivano raccolti e portati in Europa immensi depositi di questi escrementi solidificati di uccelli, ricchi di urea e di acido urico. In Inghilterra la muresside veniva anche venduta come "porpora romana" nel tentativo di sfruttare la relazione con la favolosa tintura dell’antichità. Verso il 1850 si sostenne addirittura che fosse chimicamente identica alla porpora di Tiro (del tutto falso), il cui segreto era stato riscoperto verso la fine di quel decennio, con grande entusiasmo a Parigi ma senza vantaggi commerciali.
Forse il trucchetto di marketing funzionò, perché i patiti della moda si infiammarono di passione per il porpora. Un’alternativa a questo colore sintetico era la cosiddetta "porpora francese", un estratto naturale, abbastanza indelebile e intenso, di alcuni licheni europei. Affine alla morella dei tintori medievali e all’estratto di tornasole usato come indicatore di acidità, questa sostanza poteva avere una tonalità variabile, dall’azzurro al rosso, a seconda del fissativo usato. La più richiesta era però la sfumatura porpora e, nel 1853, il tintore James Napier commentava che «se questo colore avesse un carattere permanente e si fissasse al cotone, il suo valore sarebbe inestimabile»; poteva essere applicato senza mordenti alla seta e alla lana, e la scoperta, avvenuta verso la fine degli anni Cinquanta, di un processo di mordenzatura per il cotone suscitò grande entusiasmo per la "porpora francese". In Francia questa era anche nota come mauve, malva (dal nome della pianta), e intorno al 1857 tale termine in Inghilterra indicava una sfumatura di colore e non un tipo di colorante: divenne la tinta dell’alta moda e gli anni a cavallo del 1860 furono detti "il decennio mauve". La splendida fascia di tessuto purpureo che domina l’Amore d’aprile (1856; tav. 9.2) di Arthur Hughes innalza un peana a questo colore.
Frederick Crace Calvert perse per un soffio la possibilità di fornire un contributo decisivo al "movimento mauve". Fu uno dei primi a capire che la chimica, soprattutto se applicata ai derivati del catrame di carbone, poteva aprire le porte di un nuovo mondo di coloranti sintetici, e nel 1845 egli condusse esperimenti su un altro di questi derivati: l’anilina. Che tale composto potesse essere strettamente legato ad agenti coloranti era implicito nel fatto che figurava come sottoprodotto dell’estrazione dell’indaco. Il nome stesso derivava da anil, termine portoghese per indaco, che a sua volta proviene dall’arabo an-nil, adattamento della parola sanscrita nila, che significa blu scuro. Crace Calvert riferì che quando l’anilina veniva trattata con agenti ossidanti – i quali introducono nel composto gruppi chimici contenenti ossigeno – dava coloranti porpora e rossi, che si potevano fissare su seta, lana e cotone opportunamente mordenzati. Un tintore e chimico di nome Alexander Harvey, di Glasgow, ottenne risultati simili quando ossidò l’anilina usando polvere da sbianca. Ma poiché le tinture rosso intenso erano già fornite dall’estratto di robbia, queste alternative sintetiche non furono perfezionate.
A quell’epoca probabilmente non esisteva al mondo chimico che conoscesse l’anilina meglio di August Wilhelm Hofmann. Nel decennio 1840-50 egli ne illustrò la stretta affinità col fenolo e al composto progenitore da cui entrambi derivano: l’idrocarburo benzene. Verso il 1850 Hofmann cominciò a sospettare che i composti del catrame di carbone potessero fornire precursori adatti per la sintesi chimica del chinino, il principale farmaco antimalarico, di cui c’era grande richiesta, dato che a quei tempi la malaria era ancora molto diffusa in Europa. Questa sostanza, isolata chimicamente per la prima volta nel 1820, veniva estratta dalla corteccia della Chincona, un albero del Sudamerica; era costosa da produrre e da importare, quindi un metodo per sintetizzarla da materie prime abbondanti come gli estratti di catrame di carbone avrebbe avuto un enorme valore in medicina (per non parlare di quello commerciale).
Hofmann affidò a un suo giovane allievo, William Henry Perkin, la ricerca del chinino sintetico. Questi, figlio di un costruttore londinese, ancora adolescente aveva mostrato un vero talento per la chimica, sotto la guida di Thomas Hall al City of London College of Chemistry. Hall, antico discepolo di Hofmann, prese accordi per far accettare Perkin al Royal College of Chemistry nel 1853, quando il ragazzo aveva solo quindici anni. Hofmann gli assegnò il compito di produrre equivalenti dell’anilina da idrocarburi aromatici derivati dal catrame di carbone e Perkin installò un proprio laboratorio in casa dei genitori. Non era una novità per la famiglia Perkin: il nonno di William, Thomas Perkin, aveva eseguito esperimenti nella cantina della propria casa a Black Thornton, nello Yorkshire, guadagnandosi una reputazione locale di alchimista. Nel 1856, Perkin tentò così, in una baracca del giardino della sua abitazione a Shadwell, East London, di produrre chinino sintetico, partendo da un composto detto alliltoluidina, derivata dal toluene di catrame di carbone. Pensò, basandosi su poco più del conteggio degli atomi, che due molecole di alliltoluidina potessero combinarsi con ossigeno per generare una molecola di chinino e una di acqua; in altre parole, sperava che l’ossidazione dell’alliltoluidina potesse essere un mezzo per produrre chinino sintetico.
Non era così. Quando trattò l’alliltoluidina con bicromato di potassio, un agente ossidante, tutto ciò che ottenne fu un residuo bruno rossiccio. I chimici organici imparano presto a conoscere questo tipo di reazione... in genere significa che i reagenti si sono combinati formando un intruglio incomprensibile, che è meglio gettare nel lavandino. Ma Perkin era abbastanza ingenuo da credere che valesse la pena di approfondire le ricerche; fu così che il giovane diciottenne diede il via all’industria chimica, conducendo esperimenti casalinghi come fanno i ragazzini col Piccolo Chimico.
Egli decise di ripetere la reazione usando anilina come base di partenza. Questa volta l’ossidazione produsse una polvere nera che si scioglieva in alcool metilico dando luogo a una soluzione purpurea. I tessuti avrebbero assunto questo colore? Perkin spiegò molti anni dopo: «Sperimentando col colorante così ottenuto scoprii che si trattava di un composto molto stabile che tingeva la seta di un bel color porpora, in grado di resistere alla luce per molto tempo». Il colore è davvero splendido ancor oggi (tav. 9.3).
Benché inaspettata, la scoperta di Perkin non era di per sé un gran passo avanti nella produzione di tinture. Altri prima di lui avevano trovato colori rossicci derivanti da composti del catrame di carbone e non era successo nulla. Nel caso di Perkin, furono il suo vigore e la sua inesperienza giovanili a fare la differenza, non lasciando che si scoraggiasse davanti ai formidabili ostacoli che bisognava affrontare per rendere commercialmente interessante la sua scoperta.
Preparare una tintura con l’anilina andava benissimo in laboratorio, ma questa era di per sé una sostanza costosa, prodotta in due fasi dal benzene di catrame di carbone. In primo luogo, si trasforma il benzene in nitrobenzene usando acido nitrico; poi questo viene "ridotto" ad anilina.9 A quel tempo non si parlava neppure di sintesi chimica multifase su scala industriale: se non si poteva ottenere il prodotto in un unico recipiente, diceva la saggezza corrente, non valeva la pena di prepararlo.
Prima di affrontare questo problema, Perkin doveva sapere se la sua tintura valesse qualcosa. Ne inviò campioni in esame ai tintori scozzesi John Pullar & Sons, a Perth, che furono colpiti dai risultati... purché, dissero, «la vostra scoperta non renda le merci troppo care». Era sufficiente per convincere Perkin a chiedere il brevetto, dopodiché si recò a Perth per collaborare ai tentativi di trovare un mordente adatto per il cotone. Ma i produttori di calicò stampato di Glasgow che visitò gli fecero notare che il colore veniva eliminato dal candeggio e si dimostrarono dubbiosi e preoccupati del costo. Il suo porpora all’anilina sembrava destinato a essere un prodotto ad alto valore aggiunto per la seta, non per lana e cotone.
A questo punto, Perkin aveva diverse scelte. Se fosse stato incline alla circospezione, avrebbe abbandonato l’idea e ripreso gli studi accademici. Altrimenti, avrebbe potuto vendere i diritti a Pullar o a qualche altra industria, lasciando loro il compito di affrontare la commercializzazione della tintura. Invece, convinse il padre, George, e suo fratello Thomas che dovevano aprire un’azienda. Nell’ottobre 1856 diede le dimissioni dal Royal College of Chemistry, con grande costernazione di Hofmann, e la famiglia Perkin cominciò a cercare un sito su cui costruire una piccola fabbrica.
Ormai non era più possibile evitare il problema di come condurre la sintesi senza renderla proibitivamente costosa. Il giovane ideò un sistema abbastanza semplice per trasformare il nitrobenzene in anilina, ma la produzione di quest’ultimo su larga scala partendo da benzene e acido nitrico era rischiosa: non si potevano usare recipienti di ferro poiché venivano corrosi dall’acido concentrato e così vennero adoperati enormi contenitori di vetro... con il conseguente pericolo di romperli e di provocare esplosioni. Il benzene poteva essere acquistato a prezzo ragionevole dai distillatori di catrame di carbone, ma in forma così impura che era necessario ridistillarlo prima dell’uso.
Fu forse la smania per il porpora che salvò l’impresa di Perkin, a prima vista un folle atto di fede. In Francia, i fabbricanti di "porpora francese" avevano virtualmente il monopolio delle tinture di questo colore, che i tintori lionesi di seta volevano infrangere. Annuncio della scoperta di Perkin da parte della Chemical Society di Londra nel marzo 1857 la lasciò esposta al pericolo di plagio nell’Europa continentale, dove non era coperta dai diritti di brevetto. Il tentativo di ottenere brevetti francesi fallirono e chimici sia francesi sia tedeschi cominciarono a fare esperimenti col porpora all’anilina. Entro la fine del 1858 veniva usato dai produttori francesi di calicò stampato, il che costrinse quelli britannici a ricredersi. Alla fabbrica di Perkin, ormai in piena attività a Greenford Green, vicino a Harrow, gli ordini aumentarono.
Perkin continuò ad affrontare i problemi tecnici inerenti la produzione e fuso della tintura: nel 1857 scoprì un procedimento di mordenzatura efficace per il cotone; in seguito l’azienda fu in grado di sostituire i recipienti di vetro con altri di ferro usando acido nitrico meno concentrato, mescolato ad acido solforico. In un primo tempo la tinta fu immessa sul mercato col nome di "porpora di Tiro", ma nel 1859 era già nota semplicemente come "mauve"... era più vantaggioso collegarla alla haute couture parigina che non all’antichità. Già nel maggio 1857 John Pullar a Perth poteva annunciare a Perkin che era cominciata una "frenesia" per il suo nuovo colore, il quale negli anni seguenti sbaragliò i concorrenti, muresside e "porpora francese". ,
La mania del mauve era decisamente pacchiana per gli standard dell’epoca e gli opinionisti conservatori la disapprovarono. Il periodico britannico Punch lamentò che Londra era afflitta dal morbo dei malva. Altri furono più caritatevoli: il periodico di Charles Dickens All the Year Round cantò le lodi di Perkin nel settembre 1859 (anche se sbagliò a scriverne il nome): «Quando guardo fuori dalla finestra, l’apoteosi della porpora di Perkins sembra a portata di mano... mani purpuree salutano da carrozze aperte... mani purpuree si stringono a vicenda sulle porte delle case... mani purpuree si minacciano dai lati opposti della via; abiti a strisce porpora affollano i calessi, gremiscono le carrozze di piazza, s’assiepano sui vapori, riempiono le stazioni ferroviarie: tutti volano verso la campagna, come altrettanti uccelli del paradiso porpora».10