Capitolo Terzo
LA FUCINA DI VULCANO
La tecnologia del colore nell’antichità
Ora che persino la porpora riveste le nostre pareti non si eseguono più opere famose. Dobbiamo credere che, quando l’attrezzatura del pittore era più scarsa, i risultati fossero migliori da ogni punto di vista.
PLINIO (I SECOLO D.C.)
Naturalis historia
Non credo abbiate mai pensato che la pittura comportasse tanta chimica e tanta cucina.
ROBERTSON DAVIES
What’s Bred in the Bone (1986)
Da parte mia, non riesco a credere che i quattro colori capitali degli antichi si potessero mescolare fino a ottenere la straordinaria perfezione che vediamo nelle opere di Tiziano e di Rubens. E senza una conoscenza sicura dei metodi di colorazione di quelli che vissero nel secolo scorso, come potremmo comprendere quelli di coloro che vissero duemila anni fa?
THOMAS BARDWELL
The Practice of Painting and Perspective Made
Easy (1756)
Il pezzo che tutti ricordano della Grande Esposizione di Londra del 1851 non è uno dei raffinati prodotti dell’arte o del commercio messi in mostra, ma l’edificio in cui furono ospitati: il Crystal Palace, eretto in Hyde Park con tutto il suo tripudio di vetro. Disegnato da Joseph Paxton e ispirato, si dice, dalla forma di una ninfea, questo meraviglioso zoo di vetro fu distrutto dal fuoco nel 1936, dopo che era stato ricostruito sull’imponente cima di una collina a Sydenham, nella zona sudorientale di Londra. Il compito immane di ornare l’edificio per l’Esposizione ricadde sul decoratore d’interni gallese Owen Jones: egli sentì che per essere all’altezza di tale splendore avrebbe dovuto fare ricorso all’antichità, dichiarando: «Se si esaminano i resti dell’architettura degli antichi, si troverà ovunque che nei periodi più remoti i colori prevalenti usati per la decorazione erano quelli primari: azzurro, rosso e giallo».1
Questo in gran parte era vero: le pareti di Pompei erano colorate in un modo che oggi potremmo definire sgargiante, adornate di vermiglione brillante e lucidate fino a risplendere. I Greci dipingevano gran parte dei loro edifici dalle colonne ai bassorilievi, alle statue; le figure venivano rappresentate su ricchi fondi di rosso, giallo, azzurro e nero. Quando questo fu chiaro agli archeologi agli inizi del XIX secolo, gli architetti occidentali fornirono ricostruzioni vivacemente colorate dell’aspetto che i templi – delle cui superfici non restava ora che la nuda pietra – dovevano avere nei giorni del loro massimo splendore. Jones fu uno di quelli che cominciarono a incorporare nei propri disegni soggetti classici dipinti con intensi colori primari.
Tuttavia, lo schema di Jones per il Crystal Palace si basava più sul sistema di colori primari proposto da un suo contemporaneo, il fabbricante inglese di colori George Field, che su qualsivoglia principio di organizzazione del colore sostenuto dagli antichi. Egli convenne che i tre colori dovessero essere distribuiti con la specifica percentuale di tre parti di giallo, cinque parti di rosso e otto di azzurro, proposta da Field come l’ideale dell’armonia cromatica. Altri architetti esitarono davanti a quest’idea, considerata alquanto indecorosa per i sobri gusti vittoriani. Sia come sia, Jones l’ebbe vinta... ma solo fino a un certo punto, perché si scontrò con il problema dei materiali: le tinte industriali che fu costretto a usare non erano affatto brillanti come i pigmenti per Belle Arti disponibili all’epoca, e quindi il Palazzo fu decorato con un giallastro sporco, un azzurro pallido, e un pesante rosso brunastro.2
Il colore nell’arte antica ha giocato un ruolo molto variabile. Gli Egizi dedicarono più sforzi e abilità nel preparare i colori per dipingere di qualsiasi altro popolo a ovest del Nilo, per parecchie migliaia d’anni. I Greci e i Romani diedero prova di un gusto per la decorazione d’interni che oggi appare decisamente moderno, se non audace. E tuttavia parecchi dei frammenti di dipinti che restano mostrano una gamma cromatica non molto più ampia di quella di alcune pitture rupestri. Tiziano, il maggiore colorista del Rinascimento, ammirava il pittore greco classico Apelle, ma si ritiene che questi – come abbiamo visto nel Capitolo 1 – impiegasse soltanto quattro colori. Tuttavia i Greci non esitavano a usare lo sfarzoso oro come pigmento. A confronto con i pittogrammi piatti dell’Egitto, il poco che resta dell’arte greca regala di tanto in tanto immagini dipinte con un’abilità e una delicatezza che ricordano l’Alto Rinascimento... anche se le tecniche artistiche impiegate dovettero essere reinventate all’inizio del XIV secolo. Per i maestri rinascimentali la Grecia classica rappresentava l’età d’oro dell’arte; per noi, oggi, è quasi una pagina bianca. Ciò che conosciamo davvero dei metodi e dei materiali della pittura di quell’epoca proviene in gran parte dai resoconti di scrittori romani, che sono ora la principale fonte d’informazione non solo sull’arte dell’antichità ma anche sull’abilità degli antichi di ricombinare gli elementi chimici.