Il computer nell’arte
Proprio come le tecniche di stampa, quali xilografia e linografia (incisione su linoleum), sono state usate come veri e propri mezzi d’espressione artistica, così anche l’era digitale offre agli artisti un nuovo modo di manipolare disegno e colori. La computer art è ancora un fenomeno tanto nuovo che non si sa se liquidarlo come moda passeggera o acclamarlo come il futuro dell’arte visiva. Ma stento a immaginare che la tecnologia digitale non verrà valorizzata come mezzo di espressione creativa quando esisterà una generazione di artisti più abituati a maneggiare un mouse piuttosto che un pennello. Finora non si è affermato alcun "pittore digitale" in grado di rivaleggiare con quelli abituati a trattare sostanze strizzate da tubetti, che macchiano le dita... ma dopotutto i visionari elettronici possiedono le loro scatole di colori soltanto da vent’anni.
L’uso del computer nell’arte nacque nel 1960-70, quando la tecnologia digitale era ancora così nuova e misteriosa che la grafica con essa creata suscitava attenzione soltanto di riflesso. Le opere in bianco e nero elaborate al computer erano esibite in gallerie d’arte e, anche se non avevano meriti maggiori della computer music che entrava nelle sale da concerto, era comunque un inizio. Il pittore americano Robert Rauschenberg fu uno degli artisti di alto profilo che intuì come sarebbero andate le cose, e nel 1967 si unì al fisico Billy Kluver dei Bell Laboratories per dare il via a un’iniziativa chiamata "Experiments in Art and Technology".
Dato che questi primi tentativi non erano a colori, non fa meraviglia che la computer art degli anni Sessanta e Settanta si concentrasse su linea e volume, ossia sulla costruzione dello spazio. Questa tendenza è evidente nelle opere eseguite al computer dai primi pionieri Frieder Nake e Manfred Mohr; ma il pericolo di un approccio algoritmico all’arte è manifesto nella ricerca svolta dal filosofo tedesco Max Bense negli anni Sessanta allo scopo di identificare leggi esatte che il computer potesse esplorare e usare per produrre immagini «esteticamente corrette». Tornano alla memoria i tentativi degli scienziati di imporre severe regole cromatiche in pittura, e di "correggere" le opere che vi contravvenivano.
Perché la computer art si ampliasse e fiorisse, i tre ingredienti più importanti erano il basso costo, l’interfacciamento interattivo e il colore. Tutto questo arrivò negli anni Ottanta, quando la Apple lanciò il personal computer economico Macintosh, con il software grafico interattivo MacPaint (che però, nonostante il nome allettante, all’inizio era in grado di trattare solo immagini in bianco e nero). Via via che la grafica a colori diventava più sofisticata, i pittori si decisero a interessarsi alla nuova tecnologia: David Hockney cominciò a usare il computer per lavori di fotocollage, mentre Andy Warhol comprò un modello Amiga per sperimentare combinazioni di colori per le sue serigrafie.
Poiché la tecnologia informatica è attualmente un bersaglio in piena corsa, un’istantanea non ne coglierà molti aspetti destinati a essere validi a lungo. Il pittore ha ora una tela virtuale su cui si possono tracciare segni che assomigliano a pennellate, linee a matita o a pastello, getti di bombolette spray e così via... in qualcosa come diciassette milioni di colori diversi. Le tele possono essere rivedute in un istante, firmate o scartate a costo zero. Ma è tuttora una questione aperta se l’imitazione della pittura manuale sia il modo migliore di sfruttare il nuovo mezzo, quando le possibilità di interazione, animazione, collage e rimandi sono tanto ampie. Il maggior problema del computer è ora la sua versatilità: una gamma troppo vasta di scelte soffoca l’arte, come ben sapevano i coloristi del Rinascimento.
Inoltre non esistono concetti riconosciuti da tutti di autenticità e originalità per un’opera d’arte creata digitalmente. Ogni copia a stampa è un originale? Se no, dov’è esattamente l’originale? Alcuni artisti informatici affrontano questo problema con edizioni limitate: Manfred Mohr produsse una sola stampa delle sue opere. In un certo senso questo dilemma si presenta anche a coloro che creano opere d’arte con la fotografia; ma almeno in questo caso esiste sempre un negativo originale. Dato che Internet rende sempre più facile la diffusione di immagini, e poiché è impregnata della cultura di libero accesso per tutti, l’argomento dell’"autenticità" nell’arte informatica e le sue ramificazioni commerciali diverrà probabilmente sempre più complesso.
La liberazione dell’arte dal rituale prevista da Walter Benjamin non è ancora avvenuta, in parte perché la fotografia non ha mai raggiunto lo stesso status artistico della pittura o della scultura. Forse sarà il computer, e non la macchina fotografica, a promuovere davvero questa emancipazione.