I Refusés

Nessun innovatore può aspettarsi vita facile, ma stupisce che gli impressionisti abbiano trovato la forza di volontà per proseguire nel loro cammino nonostante il disprezzo, il ridicolo e il veleno rovesciati su di loro a ogni passo nel periodo 1860-80. All’inizio furono pressoché invisibili al pubblico: le loro opere venivano semplicemente e reiteratamente respinte dall’importantissimo Salon. Si trattava di un colpo mortale per le possibilità di vendita: ci sono perfino aneddoti su acquirenti che chiedevano un rimborso, se il quadro acquistato veniva poi rifiutato dalla giuria. Il giudizio sull’ammissione restava saldamente in mano all’implacabile establishment, perfino dopo varie riforme della procedura di selezione dei giurati.

Tra il primo gruppo che doveva essere definito "impressionista", Edouard Manet (1832-83) fu quasi l’unico a vincere l’occasionale (anche se stentato) favore del Salon. Questi, forse il meno radicale del gruppo, aveva almeno un sostenitore influente nella persona dell’anziano Delacroix, che nel 1857, non essendo più considerato un pericolo per l’arte, divenne finalmente membro dell’Accademia. Manet in realtà non si considerava affatto un rivoluzionario e per tutta la vita il suo desiderio di essere accettato dal pubblico e dall’Accademia creò un rapporto difficile con i suoi compagni, in particolare con l’intransigente Edgard Degas. Egli piuttosto riteneva di seguire la via indicata da Gustave Courbet, che verso la metà del secolo aveva acquistato importanza e una certa notorietà come pittore realista; le sue opere, dipinte direttamente dalla natura, esprimevano un’immediatezza e una spontaneità che nulla avevano a che vedere con la grazia calcolata e la compostezza degli artisti accademici. Quando alcune delle sue opere di maggior pregio furono rifiutate dai giurati dell’Esposizione Mondiale del 1855, Courbeť fece il gesto teatrale di allestire una propria mostra vicino all’edificio dove aveva luogo quella ufficiale, col risultato di attirarsi l’ira e il dileggio dei critici. Il realismo era considerato pericoloso e all’apertura del Salon nel 1857, un ministro francese invitò gli artisti a restare «fedeli alle tradizioni dei loro illustri maestri» e alle «alte e pure regioni dei sentieri belli e tradizionali».

Anche Claude Monet e Auguste Renoir ammiravano e imitavano Courbet, benché egli fosse alquanto diffidente dell’omaggio di questi giovani, la cui versione di realismo si spingeva un po’ troppo in là. Il realismo informa Le déjeuner sur l’herbe (1863) di Manet e le Donne in giardino (1866) di Monet, entrambi respinti dalla giuria. Stranamente, lo studio di nudo Olympia (1863) di Manet fu accettato dal Salon del 1865, benché provocasse scoppi di indignazione perché si era osato ritrarre una persona in carne e ossa («una piccola modella distesa su un lenzuolo»), invece delle figurine idealizzate della tradizione classica. Era questo, come pure l’uso nuovo del colore e l’audace esecuzione, che creava contrarietà; questi giovani realisti erano tanto volgari da mostrare persone come loro... effettivamente spesso ritraevano le proprie compagne o i propri colleghi, e Manet dichiarava di detestare l’uso di modelli professionisti.

La giuria del Salon del 1863 fu molto severa e rifiutò due terzi dei quadri presentati. Questa esclusione non colpì soltanto la piccola cerchia di innovatori realisti e causò tanto scalpore che l’imperatore Napoleone III fu costretto a intervenire, stabilendo che le opere rifiutate venissero esposte separatamente in un’altra parte del Palais d’Industrie; ma questo "Salon des refusés", come venne subito battezzato, fu un disastro: stigmatizzato fin dall’inizio, divenne solo un oggetto di scherno da parte del pubblico e la giuria decise che era «contrario alla dignità dell’arte» e da non replicarsi.

Tuttavia l’idea, una volta lanciata, divenne un’arma con cui molti artisti insoddisfatti potevano battere il Salon e nel 1873 se ne tenne una seconda edizione, che fornì una vetrina per quello che sarebbe presto stato il gruppo impressionista, ma che finì però con l’essere messo di nuovo in ridicolo đalla stampa e dal pubblico. Nel 1874 Renoir, Monet, Degas, Pissarro, Sisley, Morisot, Cézanne e altri del gruppo, ormai stanchi della situazione, decisero di tenere una loro mostra; Manet, rivelando i suoi istinti più conservatori, si astenne dal prendervi parte poiché riteneva che soltanto tramite il Salon si potesse ottenere un serio riconoscimento.

Monet non dava grande peso ai titoli da attribuire alle proprie opere, e quando gli fu chiesto di comunicarli prima della mostra del ’74, suggerì di farli precedere dalla parola impression, da cui: Impressione: sole al tramonto (Nebbia) (1872), uno degli archetipi dell’Impressionismo. Il termine fu ripreso da un critico sarcastico il quale soprannominò «gli impressionisti» questi pittori, che non furono affatto scontenti della definizione e spesso cominciarono a usarla essi stessi.

Questa mostra scissionista fu anche più disastrosa dei Salon des refusés e l’intero gruppo venne attaccato violentemente per aver respinto «la buona educazione artistica, la devozione alla forma e il rispetto per i maestri». Nel 1876 tennero una seconda mostra collettiva, più o meno con gli stessi esiti: i loro colori brillanti e insoliti offendevano la sensibilità dei critici. «Cercate di far capire a monsieur Pissarro che gli alberi non sono violetti e il cielo non ha il colore del burro fresco...» disse uno, mentre «le macchie verdi e violette» di Renoir sugli incarnati «denotano lo stato di completa putrefazione di un cadavere». Inutile dirlo, tutti tranne Manet (e a volte Renoir) non incontrarono successo commerciale, e Monet in particolare era spesso in disperate ristrettezze, costretto a scrivere lettere imploranti ai benefattori, per evitare di essere gettato in mezzo a una strada.

Colore. Una biografia: tra arte, storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore
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