Mattoncini da costruzione
Il lavoro del chimico non era molto più semplice quando in catalogo c’erano solo quattro elementi, anche se era meno colorato. In confronto alla ricchezza della tavola periodica, in cui novantadue elementi naturali esibiscono la loro gamma di vezzi e idiosincrasie, la terra, l’aria, il fuoco e l’acqua aristotelici dell’antichità classica sembrano davvero banali come componenti primari di tutto il creato.
Gli elementi sono gli attori protagonisti della chimica, e i tentativi di sezionare la materia oltre l’atomo non possono avere lo stesso fascino dell’identificazione di quell’illustre compagnia. Dato che protoni ed elettroni non hanno colore, non si confezionano tinture mescolando quark o gluoni, e i "colori" che i fisici attribuiscono loro sono puramente frutto di fantasia. È manipolando gli elementi – alterandone le proporzioni, le combinazioni, la carica elettrica – che i chimici svolgono il loro compito, e altrettanto fecero i fabbricanti di colori.
Nel Chimico scettico Robert Boyle sfidava il sistema di elementi aristotelico, ipotizzando che potessero esservene più di quattro... forse anche più di cinque. Quali erano? Boyle, forse per prudenza, non lo dice, ma solleva dubbi sul fatto che terra, aria, fuoco e acqua siano irriducibili, e costituiscano la base di tutta la materia. Poiché, dice, «da alcuni corpi non possono essere estratti i quattro elementi, come l’oro, dal quale finora non è stato estratto neppure uno di essi; lo stesso si può dire dell’argento, del talco calcinato e diversi altri corpi fissi, ridurre i quali in quattro sostanze eterogenee è un compito che finora si è dimostrato troppo duro per Vulcano [cioè il fuoco]».1
Si è tentati di sopravvalutare la portata innovativa di Boyle. Il quartetto di Aristotele era in parte vulnerabile fin da quando Congrega Gesner dimostrò nel 1586 che era solo uno dei sistemi di elementi diffusi nell’antichità, ma il contributo di Boyle fu di portare il dibattito oltre proposte del tipo togliere il fuoco o aggiungere zolfo e sale (con buona pace di Paracelso), indicando la necessità di analisi diretta delle sostanze in cui i corpi si scompongono durante una trasformazione chimica: «Il modo più sicuro è apprendere da esperimenti particolari di quali parti eterogenee consistano corpi particolari, e in quali modi con fuoco reale o potenziale possono essere separate nel modo migliore e più adeguato... »2 e in questo modo definiva il compito primario del chimico per almeno un secolo a venire; ma solamente cento anni più tardi le componenti basilari di due degli elementi di Aristotele – aria e acqua – cominciarono a svelarsi.
L’assistente di Boyle, Robert Hooke, era già sulla strada giusta con la sua osservazione che l’aria contenesse un componente inerte il quale rimaneva dopo che una sostanza era stata bruciata in un contenitore sigillato. Ma bisognò attendere il 1774 perché lo scienziato inglese e ministro di culto presbiteriano Joseph Priestley giungesse alla prima chiara identificazione del componente "attivo" dell’aria, che Lavoisier avrebbe chiamato oxygène. Per Priestley non si trattava di un elemento a sé stante, ma di aria privata di flogisto. Facendo dell’ossigeno un elemento che viene assorbito dalle sostanze che bruciano, Lavoisier pilotò la chimica nella giusta direzione, e ogni altra cosa cominciò ad andare al suo posto; l’unione dell’ossigeno con l’idrogeno, prodotta per azione di acidi su alcuni metalli, dava acqua: osservazione compiuta da Henry Cavendish nel 1781 e confermata (si potrebbe dire "fatta propria") da Lavoisier nei due anni successivi.
«La chimica è una scienza francese», scriveva Adolphe Wurtz nel 1869, «fondata dall’immortale Lavoisier»3 e avrebbe potuto aggiungere: «notevolmente astuto». A dispetto di accanite resistenze (in particolare degli scienziati inglesi), Lavoisier consolidò la sua teoria sul ruolo dell’ossigeno nella combustione, rivedendo e ridefinendo l’intero schema degli elementi. Il suo Méthode de nomenclature chimique (Metodo di nomenclatura chimica, 1787), compilato con i chimici francesi Bernard Guyton de Morveau, Claude-Louis Berthollet e Antoine-François Fourcroy, diede alla chimica un nuovo vocabolario e una classificazione sistematica degli elementi che comprendeva diciotto metalli (alcuni, come il calcio e il magnesio, ancora travestiti da composti, poiché erano troppo reattivi per poter essere facilmente separati dall’ossigeno).4
I quattro chimici francesi fondarono la rivista scientifica Annales de chimie, per diffondere il loro sistema. Formavano un gruppo curioso. Il cortese Lavoisier era in realtà altezzoso, segnato dall’arroganza di chi è nato nel privilegio, veloce nell’accaparrarsi i meriti e lento a riconoscere le scoperte altrui. Questa combinazione di retroterra borghese e alterigia ne segnò la sorte quando, dopo la Rivoluzione francese, fu arrestato dagli agenti di Robespierre a causa delle sue attività come esattore delle imposte. Fourcroy fece appello alla clemenza di Robespierre, ma inutilmente: nel 1794 Lavoisier venne giustiziato.
Fourcroy, nato da una famiglia nobile decaduta, era un sostenitore della Rivoluzione e fece la sua parte per la fraternité, tenendo lezioni all’Accademia delle Scienze sulla fabbricazione della polvere da sparo; tutt’altro che brillante come scienziato, doveva i suoi modesti successi alla diligenza. Berthollet e Guyton de Morveau provenivano entrambi da famiglie agiate; quest’ultimo, durante la Rivoluzione lasciò sommessamente cadere il patronimico, benché più tardi, sotto il regno di Napoleone, chiedesse la restituzione del titolo nobiliare. Divenne professore di chimica all’Accademia di Digione, dove, sul finire del XVIII secolo, si trovò impegnato nella ricerca per l’industria delle vernici.