I colori messi alla prova
Come doveva affrontare il pittore questa improvvisa espansione della tavolozza? I nuovi colori avevano un aspetto vivace e invitante e molti artisti ne subirono immediatamente il fascino; ma gli accademici raccomandavano cautela, facendo notare che la durata dei nuovi colori era in gran parte ignota: mai prima di allora vi era stato un maggior bisogno di eseguire prove rigorose sui materiali. Questo era un compito da specialista, cioè da chimico. Nel 1891 il pittore francese Jean-Georges Vibert caldeggiava una lista accuratamente scelta di pigmenti su cui l’artista poteva contare perché «conservavano il loro splendore e la loro freschezza»; tra essi figuravano il bianco di zinco, il giallo cadmio, il cromato di stronzio giallo, il blu cobalto, l’ossido di cromo verde (non il verde di Guignet, ma la sua versione non idrata, opaca), il verde cobalto, il violetto cobalto, e il violetto manganese scoperto nel 1868.
Questi consigli incentivarono gli studi di una nuova categoria di tecnici del colore: chimici provetti, cui erano familiari le più recenti teorie sul colore di scienziati come Chévreul, Helmholtz e Maxwell, e intimamente legati al mondo delle Belle Arti; costituivano un ponte tra la scienza e l’arte e appartenevano a una specie destinata a estinguersi con la fine del secolo.
In Francia Chaptal, sempre preoccupato che gli artisti traessero vantaggio dal primato francese nella chimica, incaricò J.-F-L. Mérimée, chimico all’Ecole Polytechnique, di trovare nuove sostanze coloranti. Poiché aveva anche studiato per diventare pittore, questi aveva analizzato le tecniche dei grandi maestri fiamminghi, e riteneva che gli artisti dovessero conoscere i metodi tradizionali se volevano evitare il deterioramento evidente in alcune opere contemporanee: «I quadri di Hubert e Jan Van Eyck... i cui colori dopo tre secoli ci stupiscono con la loro brillantezza, non furono dipinti nello stesso modo di quelli che vediamo chiaramente alterati dopo solo pochi anni».15
Doveva essere una lamentela ricorrente nei decenni successivi. Ma per Mérimée la ricerca di nuovi pigmenti non fu particolarmente fruttuosa, benché lo portasse a scoprire una nuova forma di lacca robbia, il carmin de garance, che divenne popolare in Francia, nota in Italia col nome di lacca di garanza.