I colori degli dei
L’autore di questi papiri parlava a nome delle generazioni precedenti, e a beneficio delle molte che sarebbero seguite. Il suo Egitto non era lo stesso di quello della Prima dinastia (3100 a.C. ca.), ma possedeva una tecnologia del colore molto simile; l’antica civiltà egizia era considerata dai suoi cittadini opera del Grande Creatore, il dio Ptah di Menfi. Proprio come Ptah aveva portato l’ordine nel caos elementare di un mondo primordiale di acqua, così i re-sacerdoti egizi consideravano le arti e i mestieri come una razionalizzazione della vita quotidiana; l’alto sacerdote di Ptah portava il titolo di «Sommo direttore degli artefici», e le abilità manuali erano tenute in grande considerazione.
Uno degli aspetti più incredibili della pittura egizia è la sua secolarità in senso letterale: è, per buona sorte degli antropologi, un’arte documentaria. Raffigura persone intente ai loro compiti quotidiani: pescano, lavano i panni, costruiscono edifici, vanno a caccia, recano offerte al faraone (tav. 3.3): si ha l’impressione complessiva di una società calma e ordinata. Il mondo degli Egizi non si conformava necessariamente a quest’immagine armoniosa, l’artista raffigurava piuttosto un ideale, un desiderio che il caos cedesse il passo all’ordine e alla ragione. E l’arte era un mezzo per raggiungere questo fine, poiché le si attribuiva il magico potere di trasformare il mondo; il completamento di un’opera d’arte era accompagnato da un rito col quale acquistava questa capacità divina.
L’importanza sociale dell’arte egizia era rispecchiata dall’accumulazione sistematica di pigmenti brillanti esistente in questa cultura; la maggior parte di questi era costituita semplicemente da sostanze naturali macinate: i minerali di rame malachite (verde) e azzurrite (blu), i solfuri di arsenico orpimento (giallo) e realgar (arancione), assieme alle terre dai colori spenti come le ocre (ossido di ferro), il nero fuliggine e il bianco calce. A volte ottenevano i verdi mescolando pigmenti blu e gialli, per esempio fritta blu e ocra gialla; il silicato naturale di rame offriva un’altra sfumatura di verde: i Greci chiamavano questo minerale χρυσóκoλλα ("colla d’oro") e lo usavano come collante per far aderire le dorature.
Per dipingere su papiro, questi pigmenti venivano generalmente mescolati con una gomma solubile in acqua, ottenendo una versione primitiva degli acquerelli. Come agenti agglutinanti si usavano anche una colla ottenuta facendo bollire pelli di animali, e l’albume d’uovo. La tecnica pittorica egizia era quindi fondamentalmente ciò che chiameremmo un metodo a tempera.
Gli Egizi peraltro sapevano che la tavolozza naturale poteva essere ravvivata dall"‘arte" chimica. Oltre alla fritta blu e all’antimoniato di piombo, alcune scoperte meritano una menzione speciale: la fabbricazione di biacca e minio, e la creazione di lacche coloranti ricavate da tinture organiche.