«Grazie tante, no»
Nel Bauhaus dei primi anni Venti, l’apparente rifiuto degli aspetti materiali del colore può essere stato originato non soltanto dalle tendenze mistiche del suo Meister, ma da fattori più concreti. Il maestro di Itten, Hölzel, era un dichiarato oppositore della teoria dei colori del chimico tedesco Friedrich Wilhelm Ostwald (1835-1932). Nel 1909 questi aveva ricevuto il Premio Nobel per il suo lavoro nella chimica fisica, disciplina che era stata praticamente inventata da lui stesso e da pochi altri. Pittore dilettante, abituato fin dall’infanzia a prepararsi i pigmenti, Ostwald sviluppò un profondo interesse per il colore in tutti i suoi aspetti.
Tra coloro che hanno ricevuto il Nobel, egli non fu certo l’unico a essere convinto che questa onorificenza conferisse un carattere di dogma a qualsiasi sua idea successiva, ma pochi hanno dimostrato presunzione e arroganza tanto pertinaci nel diffonderle. La ferma persuasione che nell’arte esistessero princìpi coloristici assoluti (i suoi, beninteso), la cui violazione portava a opere "sbagliate" e che andavano corrette, l’avrà difficilmente reso popolare tra coloro che possedevano un temperamento più istintivo; abbinata a una strenua convinzione socialista che l’arte dovrebbe essere al servizio del popolo e non dell’individuo, doveva per forza pilotarlo su più di una rotta di collisione. Max Doerner parlava senza dubbio a nome di molti quando disse: «Ai pittori sembrava abbastanza divertente che il professor Ostwald, analizzando Tiziano, annunciasse che l’azzurro di un mantello fosse di due toni troppo alto o troppo profondo! Era semplicemente l’azzurro tipico di Tiziano».10
AI Bauhaus, l’ostilità di Itten alle teorie di Ostwald era condivisa con pari vigore da Klee: benché da giovane, nel 1904, fosse stato uno dei pochi artisti a esprimere entusiasmo per il manuale di Ostwald Malerbriefe (Lettere a un pittore), definendolo «una eccellente trattazione scientifica di tutte le materie tecniche», in seguito le sue opinioni divennero feroci: «Quello che molti artisti hanno in comune, un’avversione per il colore come scienza, mi diventò comprensibile quando, poco tempo fa, lessi la teoria dei colori di Ostwald. Mi concessi un po’ di tempo, per vedere se riuscivo a trame qualcosa di valido, ma riuscii invece a ricavarne qualche pensiero interessante... Gli scienziati spesso trovano puerile l’arte, ma in questo caso la posizione è invertita... Sostenere [come faceva Ostwald] che la possibilità di creare armonia usando un tono di eguale valore dovrebbe diventare una regola generale significa rinunciare alla ricchezza dell’anima. Grazie tante, no». 11
Ma Kandinskij era volubile, e nel 1925 cominciò a sostenere le idee di Ostwald, mentre Gropius e i designer più portati alla tecnologia le considerarono con simpatia.
Un aspetto, apparentemente strano per uno scienziato, della teoria di Ostwald, fu che collocava il verde tra i primari, assieme al rosso, al giallo e all’azzurro. La ruota di colori che appare nel suo libro Il sillabario dei colori (1916) concede al verde non meno di nove delle ventiquattro suddivisioni; egli non discuteva il concetto di verde come miscela "secondaria" di azzurro e di giallo, ma considerava piuttosto il verde come percettivamente autonomo, un riconoscimento della dimensione psicologica del colore che deve molto a Goethe. Lo schema di Ostwald era tratto dalle teorie dello psicologo viennese Ewald Hering, il quale ipotizzava tre serie di "colori antagonisti" che hanno una forte affinità con i dualismi della teoria goethiana: bianco e nero, rosso e verde, giallo e azzurro.
Il connotato più rilevante della teoria dei colori di Ostwald, tuttavia, riguardava il ruolo assegnato alla componente grigia dei colori: introdusse la dimensione del valore (o brillanza) della gamma grigia nello spazio colorato. La sfera cromatica di Otto Runge aveva cercato di estendere la ruota di colori unidimensionale progredendo dal nero a un polo fino al bianco al polo opposto, ma non aveva trovato una collocazione per il grigio in quanto tale. Lo spazio colorato tridimensionale di Albert Munsell andava oltre, e Ostwald ne fu molto influenzato quando i due si incontrarono ad Harvard nel 1905. Ostwald desiderava tradurre questo spazio astratto in una serie di princìpi che potessero essere di guida per l’artista, permettendogli così di ottenere una composizione cromatica armoniosa.
Innanzitutto stabilì una scala di tonalità percettive grigie che variavano in modo graduale e uniforme. Secondo Ostwald, queste gradazioni obbedivano a una relazione matematica tra le percentuali progressive di bianco e di nero; applicò poi questa gamma di grigi a ciascuna delle tinte della sua ruota di colori divisa in ventiquattro parti e sostenne che l’armonia cromatica scaturiva dall’uso di colori i cui valori – le loro componenti grigie – erano equilibrati. Questa era l’idea centrale esposta nel Sillabario dei colori, condannata da Klee in modo tanto drastico. La conclusione per i pittori era una raccomandazione a temperare e armonizzare i colori col bianco.
Fin qui sarebbe stato un contributo abbastanza notevole alla teoria dei colori, ma Ostwald lo trasformò nella base di partenza per una crociata. La sua competenza chimica gli consentiva di tradurre con abilità insolita la teoria in termini riguardanti i pigmenti da cui ottenere i colori, e il suo ruolo di consulente dell’industria tedesca delle vernici gli permise di applicarla ai prodotti commerciali. Nel 1914 organizzò una "mostra" di vernici e coloranti industriali per conto della Deutsche Werkbund, l’associazione tedesca per l’arte e il design, e nel 1919 inaugurò a Stoccarda una serie di conferenze tecniche sull’argomento del colore, la cui tradizione continua ancor oggi. I suoi figli lo descrissero, già anziano, occupato a lavorare nel suo laboratorio con la barba incolta così piena di particelle di pigmenti che brillava di tutti i colori dell’arcobaleno.
Negli anni Venti, il vigore con cui propagandò le sue idee fece sì che prevalessero fra gli artisti europei del tempo, sia come base concreta per la loro attività, sia come oggetto di sprezzo. Si dice che diventò una specie di figura carismatica tra i pittori olandesi del De Stijl, come Theo Van Doesburg, Jacobus Johannes Oud e Piet Mondrian; ma sembra che quest’ultimo, molto attento alla questione dei primari, abbia lottato per capire che cosa la teoria di Ostwald richiedesse per poter usare il colore in modo corretto: bisognava includere il verde oppure no? Forse c’è qualche cosa da imparare dall’immagine di Mondrian che si arrovella sul modo in cui riempire le sue griglie secondo princìpi teorici mal compresi, mentre Klee incendia le proprie con libera intuizione.