Pigmenti e pittori
Ogni pittore deve porsi la domanda: a che cosa serve il colore? Bridget Riley, tra gli artisti moderni più attenti ai rapporti tra i colori, si è espressa con parole molto chiare al riguardo: «Per i pittori il colore non è soltanto in tutte le cose che chiunque può vedere, ma anche, in modo affatto straordinario, i pigmenti sparsi sulla tavolozza; e qui, fatto decisamente singolare, sono semplicemente e unicamente colore. Nell’arte del dipingere è questo il primo elemento importante da comprendere. Tali pigmenti vividi e lucenti non continueranno tuttavia a rimanere sulla tavolozza come colori puri in sé, ma verranno adoperati... perché il pittore dipinge un quadro, quindi l’uso del colore dev’essere condizionato da questa funzione creativa... Il pittore ha a che fare con due sistemi ben distinti di colore: uno fornito dalla natura, l’altro richiesto dall’arte... il colore percepito e il colore pittorico. Entrambi saranno presenti, e il lavoro dell’artista dipende dall’enfasi che egli pone prima sull’uno e poi sul l’altro».4
Non si tratta di un rompicapo contemporaneo: si è presentato agli artisti di tutte le epoche. E tuttavia alla situazione del pittore descritta dalla Riley manca qualcosa. I pigmenti non sono «semplicemente e unicamente colore», ma sostanze con proprietà e attributi specifici, non ultimo il costo. Quanto viene condizionato il desiderio di blu, se questo pigmento costa tant’oro quanto pesa? Quel giallo sembra splendido, ma che accade se qualche traccia rimasta sulle dita può provocare un’intossicazione se si tocca del cibo? Questo arancione è allettante come luce solare distillata, ma come sapere se entro un anno non sbiadirà in un marroncino sporco? In breve: qual è il rapporto di un pittore con i suoi materiali?
Il colore è molto di più di un semplice mezzo fisico con cui gli artisti possono costruire le loro immagini. «I materiali influenzano la forma», affermava il pittore americano Morris Louis negli anni Cinquanta; ma influenzare è una parola troppo blanda quando ci troviamo di fronte all’esplosiva vivezza coloristica del Bacco e Arianna (1522) di Tiziano, dell’Odalisca con la schiava (1839-40) di Ingres, o dell’Atelier rosso (1911) di Matisse. Questa è arte che deriva direttamente dall’impatto del colore, da possibilità delimitate dalla tecnologia chimica dominante.
Ma benché i monocromi di Yves Klein siano stati resi possibili dalla tecnologia, sarebbe insensato ipotizzare che Rubens non ne abbia dipinti perché non aveva a disposizione quegli stessi colori. E altrettanto assurdo supporre che, se avessero posseduto la stessa conoscenza tecnica dell’anatomia e della prospettiva, e l’abilità chimica di ampliare la gamma dei pigmenti che aveva Tiziano, gli antichi Egizi avrebbero dipinto nel medesimo stile. L’uso del colore nell’arte è determinato dai materiali a disposizione dell’artista almeno quanto lo è dalle sue inclinazioni personali e dal contesto culturale in cui opera.
Sarebbe quindi un errore presumere che la storia del colore nell’arte sia una somma di possibilità proporzionale alla somma di pigmenti; ogni scelta del pittore è un atto di esclusione ma anche di inclusione. Prima di poter raggiungere una chiara comprensione di come le variabili tecnologiche entrino in questa decisione, vanno valutati i fattori sociali e culturali che incidono sull’atteggiamento dell’artista. Alla fin fine, ogni pittore sigla il proprio contratto con i colori del suo tempo.