Catrame di carbone sulle tele
Data la venerabile e costante presenza dell’indaco e della robbia nella storia dell’arte, ci si sarebbe potuti aspettare che i coloranti derivati dal catrame di carbone e i loro discendenti avessero un impatto straordinario sulla pittura. Alcuni artisti del tardo Ottocento avrebbero invece preferito che ciò non accadesse. Jean-Georges Vibert sostenne che i colori all’anilina erano «una catastrofe per la pittura» e pretese che fossero subito eseguiti dei test sui nuovi materiali. Il problema stava proprio nella loro bellezza: questa attrattiva si rivelava spesso una falsa promessa, perché le lacche pigmento prodotte coi nuovi colori tendevano ad alterarsi o a sbiadire rapidamente. Secondo Max Doerner «la loro introduzione frettolosa e sconsiderata nella pittura fu causa di danni rilevanti». Vincent Van Gogh fu uno di quelli che non diedero retta alle ammonizioni... e un’effimera lacca all’eosina che egli prediligeva ha devastato alcune delle sue opere.
Quando i colori derivati dal catrame di carbone furono presentati per la prima volta ai pittori, il loro deterioramento era talmente rapido – si verificava nel giro di pochi giorni – che i nuovi materiali acquistarono ben presto una pessima reputazione. Per questo motivo non compaiono spesso nell’arte del XIX secolo. Nella lista dei pigmenti raccomandati come «adatti per la pittura a olio» redatta da Arthur P. Laurie nel suo studio sui materiali per pittori del 1960, non figura un solo colore basato su un pigmento sintetico, a parte le lacche di alizarina.
Questo eccesso di cautela era tuttavia ingiustificato. Benché fosse saggio diffidare dei coloranti derivati dal catrame di carbone prima della fine del secolo, in seguito la situazione migliorò leggermente. Nel 1907 i fabbricanti di colori sintetici per Belle Arti si accordarono per sottoporre i propri prodotti a test di stabilità per parecchi anni, prima di immetterli sul mercato.
Ci si era già accorti che la lacca di alizarina era un pigmento più duraturo della lacca di robbia naturale, e venne deciso che gli altri colori sintetici dovessero essere altrettanto affidabili prima di offrirli ai pittori.21 Il resoconto di Doerner su quanto accadde in seguito, tuttavia, non stupirà chi conosce bene la realtà del mondo degli affari: «Disgraziatamente, gli accordi furono violati da un produttore, e gli altri ben presto lo seguirono per far fronte alla concorrenza. Ne scaturirono dichiarazioni entusiastiche e pubblicità esagerata, che dovevano essere seguite da una più pacata considerazione dei fatti».22
I gialli limone ricavati dal catrame di carbone, per esempio, pubblicizzati come materiali più brillanti e duraturi dei già affermati gialli al cromo e cadmio, si rivelarono essere esattamente il contrario. Ma a poco a poco il grano fu separato dal loglio. Nel 1911 vennero introdotti in Germania i cosiddetti pigmenti Hansa, affini agli azocoloranti; il giallo Hansa G si dimostrò anche più stabile della lacca di alizarina. Perfino il diffidente Doerner consigliò l’uso del giallo sintetico indantrene della IG Farben, mescolato con giallo cadmio, come sostituto per il giallo indiano dorato, e il rosa brillante indantrene come colore affidabile, a metà strada tra il vermiglione e la lacca di robbia chiara. Il rosso indelebile Helio, sempre della IG Farben, soggiunge, potrebbe essere usato per sostituire il vermiglione, e il blu indantrene per il blu di Prussia. Se si desiderava un azzurro verdastro, negli anni Quaranta la lacca azzurra di ftalocianina era considerata una scelta del tutto sicura.
Verso la metà del XX secolo, i pittori, alle prese con centinaia di colori basati su tinte sintetiche (fig. 9.1), scoprirono che le loro decisioni non erano certo facilitate dalla discutibile scelta dei nomi da parte dei produttori, i quali non si facevano scrupolo di battezzare un nuovo pigmento col nome di un suo equivalente classico, come se avessero deciso che "giallo indiano", "vermiglione" e "blu cobalto" non indicassero una sostanza ben precisa ma una tonalità. «Spesso si inventano i nomi e le miscele più arbitrari e fantasiosi», si lamentava Doerner nel 1934, «che è impossibile controllare ed è quindi meglio evitare.» Ma, in ultima analisi, non era possibile ignorare i colori sintetici... e i pittori non ne avevano la minima intenzione; per molti di loro i nuovi materiali non rappresentavano unicamente una quantità di sfumature inedite sulla tavolozza, ma qualcosa di più significativo: erano l’emblema di una nuova epoca, in cui la tecnologia regnava sovrana.