L’occhio della mente
Sia la sintesi additiva di luce rossa e verde per il giallo, sia la vibrazione che i pigmenti rosso e verde acquistano quando sono affiancati sono dovute al modo in cui nell’occhio si crea la sensazione di colore. Come suggeriva Goethe, una completa comprensione scientifica del colore ha una dimensione biologica oltre che fisica; Maxwell diede a quest’idea la sua autorevole approvazione: «La scienza del colore deve... essere considerata essenzialmente una scienza mentale».
In tutto il suo Ottica Newton ipotizza che la luce abbia natura corpuscolare: ciò si accordava con la sua visione dell’universo come un sistema di corpi in collisione, obbediente alle sue Leggi del moto. Ma il fisico e astronomo olandese Christiaan Huygens affermò nel 1678 che la luce è composta non di particelle, ma di onde che si propagano attraverso un etere onnipresente. All’inizio del XIX secolo lo scienziato inglese Thomas Young ricavò prove schiaccianti a sostegno di questa teoria. (In fondo sia Newton sia Huygens avevano visto giusto, grazie alla fisica dei quanti e alla sua abilità di sostenere contemporaneamente due interpretazioni.)
Gli interessi di Young spaziavano oltre la fisica, comprendendo la medicina, e nel 1801 le combinò insieme per proporre una teoria circa la visione a colori. Ipotizzò che la retina — la parte dell’occhio stimolata dalla luce – contenesse sensori luminosi che rispondono ai raggi vibrando in risonanza; queste vibrazioni creano un segnale che viene inviato dalla retina al cervello, lungo il nervo ottico. Young però ritenne impossibile che alle infinite sfumature di colore che compongono lo spettro visibile corrispondesse un numero infinito di punti di risonanza sulla retina; notando che i tre colori allora considerati primari – rosso, giallo e azzurro – potevano essere mescolati per creare praticamente tutti gli altri, egli suggerì che bastassero tre soli recettori per permettere all’occhio di percepire una gamma completa di colori: «Ogni filamento sensibile del nervo [ottico] potrebbe consistere di tre porzioni, una per ogni colore principale», e immaginò che il daltonismo fosse dovuto all’assenza di una delle tre serie di recettori presenti nell’occhio.
La teoria di Young fu sviluppata dal fisico e fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz, che fornì prove indirette dell’esistenza di tre recettori del colore. Gli studi di Maxwell sulla sintesi additiva della luce nel decennio 1860-70 fornirono un valido sostegno all’ipotesi che la retina sia in grado di produrre una visione completa di tutti i colori con i soli recettori sensibili ai tre primari (seppure ai primari additivi: rosso, azzurro e verde), ma la conferma sperimentale dell’intuizione non si ebbe per altri cent’anni.
Le cellule sensibili alla luce – i "risonatori" di Young – presenti nell’occhio sono divise in due categorie, e sono distinguibili al microscopio per la loro forma differente. Sono situate nella retina, alle estremità di milioni di filamenti provenienti dal nervo ottico, e possono essere a forma di cono o di bastoncello (fig. 2.5). Vi sono 120 milioni di bastoncelli e cinque milioni di coni in ogni retina umana; la maggior parte dei coni è situata in un leggero infossamento della retina, detta "fovea centrale", che si trova nel punto focale del cristallino; questa piccola cavità è priva di bastoncelli, che sono invece di gran lunga più numerosi dei coni in tutti gli altri punti della retina.
Quando vengono colpiti dalla luce, bastoncelli e coni generano segnali nervosi: i bastoncelli assorbono l’intero spettro visibile della luce, ma in particolar modo quella verde-azzurra (la possibilità che questa venga assorbita è quindi maggiore). L’assorbimento di luce da parte dei bastoncelli scatena una risposta neurale identica, indipendentemente dalla lunghezza d’onda, e perciò senza operare distinzioni tra i colori, ma solo tra chiaro e scuro; essi sono molto sensibili e costituiscono i principali recettori luminosi quando l’illuminazione è scarsa, come sotto le stelle: ecco perché è difficile individuare i colori in queste circostanze. E dato che i bastoncelli rispondono meglio alla luce verde-azzurra, di notte gli oggetti che riflettono queste lunghezze d’onda (come le foglie) appaiono più luminosi di quelli rossi.
Alla viva luce del giorno, i coni, sensibili al colore, forniscono il segnale visivo al cervello; in queste circostanze, i bastoncelli sono "sbiancati"... saturi di luce e incapaci di assorbire fotoni. Solo quando la luce viva viene spenta, i bastoncelli possono rilassarsi e ritornarsene allo stato iniziale, pronti ad assorbire fotoni e a scatenare impulsi nervosi; questo rilassamento richiede parecchi minuti, ed ecco perché si acquista in modo graduale la visione notturna dopo aver lasciato un ambiente fortemente illuminato. Se ci si trova fuori casa all’imbrunire, la visione notturna subentra dolcemente allo svanire degli ultimi raggi del sole; la diversa sensibilità ai colori di bastoncelli e coni dà luogo a un cambiamento nell’intensità con cui si percepiscono gli oggetti verde-azzurri rispetto a quelli rossi, man mano che il crepuscolo avanza. Questo fenomeno fu riconosciuto chiaramente per la prima volta nel 1825 dal fisiologo boemo J.E. Purkinje, benché i pittori l’avessero già notato.11
L’ipotesi di Young sulla visione a colori fu verificata negli anni Sessanta da esperimenti che misurarono la capacità di assorbimento dei singoli coni, confermando che rientrano in tre classi con diverse sensibilità ai colori della luce. I coni per la luce azzurra sono i meno sensibili, per cui l’azzurro completamente saturo sembra relativamente scuro. È dunque in definitiva per motivi biologici che il blu è stato riconosciuto tardi come colore a sé, e non come una sfumatura di nero.
La sensibilità complessiva dell’occhio ai colori dello spettro è la somma delle risposte di tutti i tre tipi di coni, e aumenta dal rosso al giallo, per declinare poi dal giallo al violetto. Quindi il giallo è percepito come il colore più brillante: la striscia gialla dell’arcobaleno spicca non perché è più intensa (cioè non perché vi sono più fotoni gialli che di altri colori), ma perché i fotoni gialli generano la maggiore risposta ottica da parte dell’occhio. Fatto curioso, in molte culture il giallo è considerato il colore meno gradevole, e le sue associazioni metaforiche e simboliche sono spesso negative: è per tradizione il colore del tradimento e della codardia, e gli stilisti ammettono che è un colore molto difficile da vendere. È popolare in Cina (dove era il colore dell’imperatore, huang), ma in Occidente è meglio chiamarlo "oro".
Ogni colore "visto" è costruito nel sistema visivo combinando gli stimoli provenienti dai tre tipi di coni: la luce rossa eccita soprattutto quelli "rossi", ma una mescolanza di raggi rossi e verdi può stimolare nelle stesse proporzioni i coni rossi e verdi, come fa la luce gialla... e quindi le sensazioni di colore sono identiche. Se si unisce la luce azzurra, si vede bianco.
Le cellule di coni e bastoncelli sono cosparse di molte migliaia di recettori individuali di luce, detti "fotopigmenti"; ognuno di questi è una singola molecola di proteina, immersa tra le pieghe affastellate delle membrane cellulari. Tutti i fotopigmenti contengono un’unità molecolare che assorbe la luce, detta "retinale", dotata di una nuvola zigzagante di elettroni, molto simile a quella dei pigmenti carotenoidi delle piante. Il retinale funziona come una specie d’interruttore: eccoci in piedi davanti a una delle sculture blu di Yves Klein, inondati di luce azzurra riflessa; un fotopigmento sensibile al blu assorbe un fotone di luce azzurra, e in risposta la sua unità retinale modifica la propria forma, da attorcigliata a diritta, permettendogli di mettere in moto una sequenza di meccanismi molecolari che portano a un cambiamento degli impulsi elettrici nel nervo a cui fa capo il cono. Una zona della corteccia cerebrale che presiede alla vista si attiva, e ci fa registrare l’“azzurro”... che cosa ne faremo poi, dipende da noi.