I professionisti del colore
Per acquisire i nuovi pigmenti tanto rapidamente, Turner aveva bisogno di una fonte sicura. Egli comperava i suoi colori da parecchi commercianti con sede a Londra, compresi J. Sherborne, James Newman, e Winsor e Newton; ma il suo fornitore principale era il massimo fabbricante inglese di colori dell’Ottocento, George Field, con cui Turner fece conoscenza attorno all’inizio del secolo. Non vi è alcun dubbio che, senza la collaborazione con un chimico così esperto, avrebbe incontrato serie difficoltà a raggiungere i suoi effetti brillanti con prodotti di qualità inferiore e bisogna ringraziare Field e l’accuratezza delle sue prove sui colori, per il fatto che i quadri di Turner non sono ancor più scoloriti di quanto già non appaiano.17
Il paradosso che caratterizza la carriera di Field come fabbricante di colori è che ne aveva scarse conoscenze teoriche. Non credeva alle idee di Newton; affermando che «non è possibile comporre il bianco con qualsivoglia miscela di colori», non comprese mai la differenza tra sintesi additiva e sintesi sottrattiva. Era essenzialmente un tecnico e aveva pochissimi contatti con eminenti scienziati, nonostante si vantasse di aver studiato chimica con Humphry Davy e Michael Faraday. Tuttavia il suo trattato su colore e pigmenti, Cromatografia (1835), ebbe molta influenza tra i pittori che cercavano una guida ai materiali. (Ruskin però ammoniva gli studenti a ignorare le osservazioni del libro su «princìpi o armonie di colori».) Gli artisti più importanti dell’epoca, fra cui Constable e Thomas Lawrence, si rivolgevano a lui per rifornirsi di colori.
Field cominciò la carriera producendo lacca di robbia a Londra e più tardi, nel 1808, ingrandì l’impresa in un colorificio vicino a Bristol. L’industria tintoria aveva una grande necessità di robbia, e nel 1755 la Society for the Encouragement of the Arts offrì un premio a chi fosse riuscito a introdurre in Inghilterra la coltivazione della pianta da cui era ricavata, per ridurre la dipendenza dalle importazioni dall’Olanda, fonte di approvvigionamento incerta in tempo di guerra con altre nazioni europee, sicché Field tentò di dedicarsi a questa coltura. Ideò anche una pressa per estrarre il colorante e migliorò la preparazione delle lacche di robbia, comprese le varietà marrone, rosa e porpora, oltre al suo ricco, tipico, rosso carminio.
Seguace della trinità primaria di rosso, giallo e azzurro (che egli collegava a considerazioni teologiche) Field considerava importante individuare e fabbricare i pigmenti corrispondenti a queste tinte pure che erano, secondo lui, giallo limone (o in precedenza giallo indiano), rosso robbia e blu oltremare. Ma nonostante il grande contributo ai fuochi d’artificio di Turner, i suoi gusti erano molto più conservatori, dato che preferiva paesaggi dai toni sommessi, a base di colori terziari: «L’occhio casto riceve maggior soddisfazione dall’armonia dei terziari, in cui i tre primitivi [i primari] sono più strettamente combinati». A questo scopo si sforzava anche di creare pigmenti puri per i colori terziari, restando fedele alla vecchia (e non ingiustificata) credenza che «l’artista dovrebbe usare i colori più essenziali e puri possibile».
I pigmenti fabbricati da Field erano molto apprezzati da numerosi pittori britannici: il più richiesto era il suo "arancio vermiglio", una versione del tradizionale solfuro sintetico di mercurio, che egli perfezionò dopo aver studiato i colori preparati dal pittore tedesco del XVIII secolo Anton Raphael Mengs. Field stesso affermava che il suo colore dava «tinte carnicine più pure, più delicate e più calde di qualsiasi pigmento conosciuto, molto simili a quelle di Tiziano e di Rubens». Popolare dagli anni Trenta dell’Ottocento in poi, veniva venduto dal mercante di colori Charles Roberson e più tardi da Winsor e Newton; ma Field non rivelò come veniva prodotto, e il preraffaellita William Holman Hunt dopo la sua morte disse: «Credo che abbia portato il suo segreto nella tomba»; tuttavia, aggiungeva: «la tinta continua ancora a essere venduta col suo nome come miglior garanzia», anche se non sempre era all’altezza delle aspettative.
Le prove di resistenza dei nuovi pigmenti eseguite da Field erano tra le più severe dell’epoca. Il suo Cromatografia contiene innumerevoli campioni dipinti a mano, il cui stato di conservazione oggi è una vivida testimonianza dei rischi che l’artista del XIX secolo doveva affrontare. Lo scarlatto di iodio, per esempio, era un pigmento all’apparenza attraente, a base dell’omonimo elemento scoperto da Bernard Courtois nel 1811-12 e battezzato da Humphry Davy nel 1814; nello stesso anno, Vauquelin studiò il composto rosso cupo di iodio e mercurio, che fu introdotto di lì a poco come pigmento. Le prove di Field lo lasciarono perplesso sul nuovo colore «traditore» : «Nulla in effetti gli si sta alla pari come colore per dipingere gerani scarlatti, ma la sua bellezza è effimera quasi quanto quella dei fiori», e sembra che abbia sconsigliato a Turner questo rosso allettante, che compare tra i materiali dell’atelier del pittore, ma che egli non usò quasi mai negli oli.18 Passò ben presto di moda e si può vederne il perché nell’opera di Field, dove appare come una macchia smunta e confusa.
Il rapporto di Field con Turner era soggetto ad alti e bassi, il che non stupisce visto i loro gusti tanto differenti in fatto di colori. Verso il 1820-30, i due si trovavano vicini, anche geograficamente: Turner a Twickenham, Field a Islewort, a ovest di Londra. Ma nella seconda edizione dell’opera di Field, Chromatics; or the Analogy, Harmony and Philosophy of Colours (Cromatologia; o l’analogia, l’armonia e la filosofia dei colori, 1845), il fabbricante di colori rimproverava Turner per «il bell’errore di applicarsi il prisma all’occhio mentre dipingeva, invece di rappresentare gli oggetti come appaiono naturalmente attraverso lo spettro solare diffuso di luce viva e ombra, errore con cui trasforma la scena in un mondo irreale, visto attraverso l’artificio, non dall’occhio naturale».19
Non c’è bisogno di chiedere ora, naturalmente, che cosa sia meglio: «gli oggetti come appaiono naturalmente» o il «mondo irreale» di Turner. Il pittore stesso tagliò corto amabilmente: «Non ci avete detto troppo?», rispose a Field.