La scienza del contrasto
I dualismi cromatici abbondano nella Theory of Colours (Teoria dei colori, 1810) di Goethe, ma fu Chévreul il chimico, non Goethe il sedicente fisico, ad apportare il maggior contributo per insegnare agli artisti l’uso razionale dei colori complementari. Nel 1824 diventò direttore della manifattura Gobelin di Parigi e gli fu chiesto di rimediare all’apparente tristezza delle tinture che venivano adoperate;6 ma egli scoprì che non esistevano motivi per lamentarsi dei coloranti, poiché invece a distruggere la brillantezza cromatica dei filati era il modo in cui questi venivano tessuti. Tonalità complementari, o quasi, venivano affiancate e il risultato era che guardati da lontano i colori non si distinguevano, ma si fondevano sulla retina producendo una sensazione di grigiore: si tratta di una forma di sintesi additiva, simile a quella prodotta da James Clerk Maxwell coi suoi dischi rotanti. Isaac Newton aveva osservato qualcosa di simile in esperimenti sulle miscele di pigmenti asciutti: riferisce infatti che una mescolanza di orpimento giallo, porpora brillante, verde chiaro e azzurro si fondeva dando, alla distanza di parecchi passi, un’impressione di biancore brillante.
Le osservazioni di Chévreul lo spinsero a sperimentare gli effetti prodotti dall’accostamento di colori complementari: scoprì che visti da una distanza inferiore a quella necessaria perché si produca la miscela sulla retina, la giustapposizione in realtà esaltava la forza di entrambi i colori: «Nel caso in cui l’occhio vede contemporaneamente due colori contigui, questi appaiono il più diversi possibile, sia nella composizione ottica sia nell’altezza del tono».7
Da tempo ai pittori era noto in modo empirico che la percezione del colore viene influenzata da ciò che lo circonda, ma Chévreul sistematizzò questa nozione, con il marchio (sempre più rispettato) dell’autorità scientifica. Le sue scoperte furono pubblicate nel 1828 e si diffusero rapidamente fra i teorici dell’arte: quando egli ampliò e generalizzò il suo lavoro in De la loi du contraste simultané des couleurs (Sulla legge del contrasto simultaneo dei colori, 1839), questo divenne un manuale fondamentale per i pittori.8
Chévreul illustrò le relazioni tra i colori con una delle ruote di colore più complesse mai ideate, suddivisa in settantaquattro segmenti e con venti gradi di variazioni tonali tra il bianco e il nero: gli inizi di una rigorosa mappatura dello spazio colorato tridimensionale. Queste gradazioni cromatiche furono riprodotte nel suo manuale tecnico destinato prevalentemente ai fabbricanti di vernici e coloranti, dal titolo Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels (Dei colori e delle loro applicazioni nelle arti industriali, 1864).
Delacroix dichiarava di nutrire profonda antipatia per gli scienziati («... sempre in attesa che qualcuno più abile di loro gli apra uno spiraglio»), ma qualsiasi artista interessato al colore non poteva permettersi di ignorare un aspetto tanto fondamentale della percezione dei colori. In parecchi disegni di interni Delacroix usò colori complementari adiacenti, avvalendosi delle intuizioni di Chévreul, la cui influenza si può notare (anche se non chiaramente come alcuni hanno preteso) in Donne algerine nei loro appartamenti (1834; tav. 8.1), considerato dal giovane Renoir «il più bel dipinto del mondo». Ma la reputazione di colorista "scientifico" attribuita a Delacroix è discutibile ed è dovuta più all’insistenza con cui il suo amico e critico d’arte Charles Blanc sostenne questa versione, che non a quanto si può riscontrare nelle sue opere. Inoltre, complementari contrastanti figurano anche nell’Odalisca con la schiava di Ingres, che colloca il rosso brillante dei tessuti contro i verdi pallidi del pavimento e della mobilia... composizione che Delacroix presumibilmente criticò.
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FIGURA 8.1 Nel suo Modern Chromatics (1879), Ogden Rood mostrava contrasti di colore sotto forma di pigmenti per artisti, così come erano determinati da esperimenti con dischi rotanti colorati.
Fu solo intorno al 1860 che le leggi di Chévreul sui complementari contrastanti ebbero larga diffusione attraverso varie traduzioni del suo libro. Anche l’esposizione di queste idee da parte di Charles Blanc in Grammaire des art du dessin (Grammatica delle arti del disegno, 1867) doveva diventare un manuale corrente in Francia ed esercitò un influsso formativo sul neoimpressionista Paul Signac. Ma già attorno a quegli anni, molti pittori attingevano invece agli studi di Hermann von Helmholtz sull’accostamento dei colori: la sua opera fondamentale sull’argomento (del 1852) era stata presto tradotta in francese.9 Helmholtz proponeva piò o meno gli stessi accoppiamenti di colori contrastanti di Chévreul e sosteneva che solo con l’uso dei contrasti di colore l’artista poteva sperare di imitare gli effetti della luce naturale con pigmenti non all’altezza della reale radiosità della natura: «Se quindi coi pigmenti a sua disposizione l’artista desidera produrre nel modo più stupefacente possibile l’impressione data dagli oggetti, deve dipingere il contrasto che essi producono».10
Ciò che i pittori apprezzavano maggiormente negli scritti di Helmholtz era che, da esperimenti condotti con dischi rotanti, egli tradusse i complementari di Chévreul in miscele degli specifici pigmenti a disposizione degli artisti. Questo approccio fu approfondito ulteriormente da Ogden Rood, fisico americano della Columbia University, nel suo Modern Chromatics (La scienza moderna dei colori, 1879). Pittore (acquerellista) dilettante, con una buona conoscenza della chimica, Rood era interessato a collegare la teoria del colore ai materiali; i suoi diagrammi di contrasti, simili a ruote di colori, arricchivano le tonalità pure di "azzurro", "verde" e così via, con pigmenti come oltremare, verde smeraldo, vermiglione e gommagutta arancione (fig. 8.1). Quest’opera divenne un testo base per gli impressionisti, anche se il tradizionalismo artistico dell’autore lo portava a detestare i loro dipinti: vedendoli esposti si dice abbia esclamato: «Se questo è tutto ciò che ho fatto per l’arte, vorrei non aver mai scritto quel libro!».
Claude Monet (1840-1926) presenta alcuni dei suoi contrasti di colore più "chevreuliani" in quadri che raffigurano acqua, dove il gioco della luce solare è al massimo della luminosità. In Regata ad Argenteuil (1872; tav. 8.3), l’acqua azzurra è arricchita da arancione vivo, la casa dal tetto rosso è collocata tra fogliame verde, e figure e ombre violette si stagliano contro le vele giallo-crema. Le intenzioni di Monet erano esplicite: nel 1888 fece eco a Helmholtz dichiarando: «Il colore deve la sua brillantezza alla forza di contrasto piuttosto che alle sue qualità intrinseche... i colori primari appaiono più vivaci quando sono messi in contrasto coi loro complementari». Quando in Impressione: sole al tramonto (Nebbia) (1872) Monet utilizza la stessa audace giustapposizione di arancione e azzurro, il disco solare sembra quasi balzare fuori dalla tela.