Ricette per il colore

Da questo calderone di chimica a fini pratici (si potrebbe dire addirittura domestici) affiorarono ricette per fabbricare pigmenti a uso e consumo dei pittori antichi. Due dei documenti più preziosi e rivelatori su questi remoti mestieri emersero agli inizi del XIX secolo, quando Johann D’Anastasy, viceconsole svedese ad Alessandria d’Egitto, acquistò una collezione d’antichi papiri scritti in greco, probabilmente trafugati da una tomba. D’Anastasy ne regalò alcuni all’Accademia Svedese delle Antichità con sede a Stoccolma; altri li vendette al governo dei Paesi Bassi, che li depositò all’Università di Leida. Furono tradotti con tutta calma, e solo nel 1885 si scoprì che uno dei manoscritti di Leida, denominato Papiro X, conteneva un gran numero di ricette chimiche per produrre pigmenti. Nel 1913 un testo simile, scritto dalla stessa mano, fu scoperto nella collezione di Stoccolma (che nel frattempo era stata trasferita a Uppsala). Furono ritenuti opera di un artigiano egizio del III secolo d.C., ma che riportava senza dubbio raccolte d’informazioni risalenti a tempi più antichi.

Sembra che i papiri di Leida e Stoccolma fossero estratti di un manuale d’istruzioni da laboratorio artigiano: chiunque li abbia scritti, desiderava essere compreso da persone che svolgevano la stessa attività. Dove i testi sono oscuri, è più perché l’autore ha dato per scontate determinate nozioni, che non a causa di un tentativo intenzionale (caratteristico della letteratura alchemica dell’epoca) di mantenerle segrete. Il papiro di Stoccolma contiene ricette per tingere, mordenzare e produrre gemme artificiali; quello di Leida è dedicato alla metallurgia. Le sue centouno ricette riportano metodi per dorare, argentare e tingere metalli, compresi trucchi del tipo «come dare a oggetti di rame l’aspetto dell’oro».

Il documento rivela un’impressionante abilità chimica, un distillato di conoscenze accumulate nel corso di molti secoli. Il chimico francese Marcellin Berthelot riconobbe nel papiro di Leida una miniera d’informazioni sulla chimica dell’antichità, e ne pubblicò una traduzione francese, con un’esauriente analisi critica; ma fino a che punto tali ricette sono informate da una reale comprensione dei princìpi della chimica? Si è tentati di concludere che non abbiano a che fare con la scienza più della lavorazione di utensili di pietra. Dopotutto, gli Assiri non credevano che la chimica applicata all’artigianato fosse soggetta a influenze magiche e astrologiche?

Se si insiste nel ricercare in questi testi analogie con concetti chimici moderni, gli antichi protochimici sembreranno davvero mal informati; ma in realtà gli sforzi che essi dedicarono alla creazione di nuovi colori stabilirono alcune idee cardine per lo sviluppo della chimica teorica. L’importanza del concetto stesso di trasformazione non potrà mai essere abbastanza sottolineata: che le sostanze della terra non abbiano una composizione fissa, ma possano mutare per influenza dell’uomo è un’intuizione straordinaria. La stessa nozione di elementi – costituenti fondamentali della materia — non sarebbe stata nemmeno lontanamente così feconda e potente, se non ci fosse stata la certezza che potevano essere mutati l’uno nell’altro. Senza la convinzione che i minerali vili potessero essere tramutati in oro, non sarebbe stato dedicato tanto impegno a gran parte della chimica applicata. Nella filosofia naturale dell’Occidente si è a lungo posto l’accento sull’invariabilità della natura: princìpi assoluti, immutabili di geometria, matematica, fisica e astronomia. Anche oggi questo pregiudizio continua a condizionare la nostra percezione della scienza; alcuni commentatori pretendono di identificarne le origini nel tentativo di Talete di Mileto, attorno al 600 a.C., di «trovare un’unità fondamentale in natura» (per citare le parole del biologo Lewis Wolpert). Talete, invece, si rese conto che una simile unità si può ottenere solo tramite il cambiamento e la trasformazione; per la scuola ionica di filosofia classica da lui fondata «tutto è in uno stato di cambiamento». Il principio unificatore di Talete – l’acqua – eseguiva il suo compito in virtù della capacità, che a quel tempo sembrava unica, di adottare la forma solida, liquida e gassosa della materia.

Se i papiri di Leida e Stoccolma trasmettono un messaggio scientifico, è questo: l’uomo può creare. Può cambiare la struttura, la forma e l’aspetto della materia, e nel farlo può accrescere la bellezza del mondo.

Colore. Una biografia: tra arte, storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore
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