Colori dalla terra

Fino all’avvento, nel XIX secolo, dei pigmenti sintetici "moderni", molti dei colori usati in pittura erano minerali finemente macinati: composti contenenti metallo estratti dalla terra. I loro colori sono in genere determinati dalla natura degli atomi di metallo che contengono; e questo è vero anche per molti dei nuovi colori sintetici, tra cui si distinguono in particolar modo i composti di cromo, cobalto e cadmio. I minerali dai colori forti contengono in genere i cosiddetti metalli di transizione, che occupano il centro della Tavola periodica, una specie di foto di gruppo degli elementi chimici.

I dotti dell’antichità e del Medioevo si sforzarono inutilmente di assegnare colori particolari ai quattro "elementi" aristotelici; si sa ora che il colore degli elementi dipende dal loro contesto. Tuttavia alcuni di essi presentano temi cromatici ricorrenti: chiedete a un chimico di attribuire un colore ai metalli di transizione più comuni, e lo farà all’istante. Il rosso per il ferro, risplendente nel sangue ruggine e nelle ocra rosse stese dai pittori fin dall’Età della Pietra. Il rame si riserva una sfumatura turchese associata a questo minerale, riecheggiata dalla patina dei vecchi paioli ossidati. Il blu profondo e intenso è proprio del cobalto; il nichel prende un verde mare; mentre il cromo provoca qualche esitazione, un elemento camaleontico ben noto per questa proprietà.

Non si tratta di identità rigide – il rame per esempio può formare sali rosso ruggine, e il ferro offre verdi e gialli, e perfino lo scuro splendore del blu di Prussia – tuttavia questi metalli operano scelte cromatiche tutt’altro che arbitrarie. Come mai?

Nei composti inorganici come i cristalli e i sali, gli atomi di metallo sono ioni: hanno un patrimonio ridotto di elettroni e quindi possiedono carica elettrica positiva; questa è compensata da cariche negative sugli ioni circostanti di elementi non-metallici: ossigeno, doro, zolfo, per nominarne solo alcuni. Questi ioni sono sistemati nel cristallo con la regolarità di mele e arance nella vetrina di un fruttivendolo, ma con fantasia assai maggiore; l’attrazione elettrica delle cariche opposte tiene unito tutto l’insieme, fornendo un collante potentissimo. I cristalli ionici sono sostanze nel complesso resistenti, e macinarli nelle botteghe degli artisti costò sudore e fatica.

I metalli di transizione forniscono colore perché i loro ioni tendono ad avere transizioni elettroniche le cui frequenze risonanti rientrano nella gamma della luce visibile. Ma la lunghezza d’onda esatta richiesta per stimolare tale transizione dipende dalla collocazione dello ione del metallo nella scala atomica; i campi elettrici combinati degli ioni circostanti — il cosiddetto "campo cristallino" — modificano l’energia degli elettroni sullo ione del metallo. Ma oltre alla composizione chimica dei vicini dello ione ha importanza anche la loro disposizione geometrica; quindi, uno ione di metallo non fornisce un unico colore: questo dipende dagli altri componenti chimici con cui è legato nel cristallo e da come questi sono collocati.

A volte le variazioni del campo cristallino da una sostanza all’altra causano solo una differenza insignificante nella frequenza alla quale uno ione di metallo assorbe la luce. Gli ioni di rame, per esempio, in genere assorbono la parte rossa dello spettro, e quindi i sali di rame appaiono verde-azzurri; ma la quantità di azzurro e di verde dipende dalla natura chimica degli altri ioni. In altri casi, le differenze possono provocare un incredibile cambiamento di colore. Tracce di cromo colorano varie pietre preziose: sono rosso cupo nel rubino, ma verde mare nello smeraldo, perché il campo cristallino è notevolmente più forte in quest’ultimo che nel rubino. Lo stesso materiale ospite – ossido di alluminio o corindone – diviene uno zaffiro blu quando al contrario è legato con ferro e titanio.

Il calore può alterare la composizione chimica o la struttura di un minerale, e indurre così un cambiamento di colore. Se si scalda del solfato di rame blu per eliminare molecole d’acqua dal reticolo cristallino, esso diventa quasi bianco. Il pigmento noto come biacca diventa giallo e poi rosso se lo si scalda. La biacca è carbonato basico, di piombo, con acqua (per la precisione: ioni idrossido) incorporata nella struttura cristallina: quando la si scalda, l’acqua e il biossido di carbonio (formato dagli ioni carbonato) vengono espulsi dal cristallo sotto forma di gas, lasciandosi dietro il composto del tetraossido di piombo; questo pigmento, il minio, è molto antico. Tutti gli ioni piombo sono ora circondati da ioni ossigeno, e questo ambiente diverso fa sì che assorbano fotoni nelle zone verdi e azzurre dello spettro, cosicché viene riflesso il rosso. Se scaldata più dolcemente, tuttavia, si forma un composto diverso: monossido di piombo. Quest’ultimo contiene ancora solo ioni piombo e ossigeno, ma in proporzioni diverse e con una disposizione diversa; il piombo quindi assorbe luce a frequenze diverse. Questa sostanza è gialla, e in passato ha dato luogo a un altro pigmento a base appunto di piombo, chiamato un tempo "massicot".

In molti composti metallici, la diversa collocazione degli elettroni indotta dall’assorbimento della luce è limitata in gran parte agli ioni metallici medesimi. In alcuni casi, però, gli elettroni vengono spostati in modo più marcato; il marchio rosso caratteristico del ferro è prodotto dal movimento di un elettrone sullo ione di metallo provocato da uno ione d’ossigeno adiacente: il cosiddetto processo di trasferimento di carica, che in questo caso diminuisce quella positiva del ferro. Lo stesso fenomeno, benché più elaborato, si verifica nel blu di Prussia: qui la struttura cristallina contiene una miscela di ioni di ferro con due diversi stati di carica, frammisti a ioni di cianuro; l’assorbimento della luce rossa può spedire un elettrone attraverso un "ponte" di cianuro, tra ioni di metallo con carica diversa.

Il colore di alcuni importanti pigmenti minerali si forma tramite una ricollocazione di elettroni di vasta portata: l’assorbimento della luce libera completamente gli elettroni dalla loro orbita intorno a particolari ioni e li lascia liberi di vagabondare attraverso il solido; quando ciò accade, il materiale acquista una maggiore conduttività elettrica. I semiconduttori sono sostanze che hanno bisogno solo di poca energia supplementare perché i loro elettroni siano portati a uno stato tanto mobile; uno di questi è il solfuro di cadmio, utilizzato come pigmento a partire dal XIX secolo. Esso assorbe la luce azzurra e violetta, e il suo colore può variare dal giallo all’arancio, a seconda del modo in cui è preparato; la sfumatura più profonda del "rosso cadmio" è prodotta sostituendo una parte dello zolfo con selenio. Il solfuro di mercurio, che si trova in natura sotto forma di cinabro, è anch’esso un semiconduttore di colore rosso; la sua versione sintetica corrisponde al rinomato pigmento vermiglione. Uno dei rischi di quest’ultimo è che gli ioni che lo costituiscono possono spostarsi dalle loro posizioni normali in una nuova collocazione, assumendo la forma del composto detto "metacinabro", che assorbe la luce rossa, come pure l’azzurro e il verde, e quindi sembra nero... una iattura, naturalmente, se ciò avviene sulla tela.

Nei metalli puri, come il ferro, il rame, l’argento e l’oro, alcuni elettroni sono per loro natura mobili; ecco perché i metalli sono buoni conduttori elettrici. L’interazione di questi elettroni mobili con la luce crea una lucentezza metallica riflettente: la luce non viene assorbita, ma anzi riflessa senza troppa diffusione, e ne risulta un effetto "a specchio". Metalli come il rame e l’oro però assorbono una parte dei raggi con lunghezza d’onda corta (bluastri) che li colpiscono, e quindi tendono ad assumere una sfumatura rossiccia. Per gli artisti medievali questo apparentava la foglia d’oro zecchino ai pigmenti rossi.

Colore. Una biografia: tra arte, storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore
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